Pierluigi Magnaschi, ItaliaOggi 12/11/2014, 12 novembre 2014
DOPO LA VICENDA DEL PORTO DI IMPERIA I CAPITALI STRANIERI DIFFIDANO DELL’ITALIA
Partendo dal convincimento che nel tratto di costa che va da Genova a Ventimiglia c’è un quindicesimo dei posti barca per la nautica da diporto che si trovano nella vicina Francia, tra Mentone e Marsiglia, il Comune di Imperia, che a quel tempo era guidato in sostanza da Claudio Scajola, decise di costituire una società a capitale misto pubblico-privato per realizzare un porto in grado di rivaleggiare con quelli, pur molto attrezzati e importanti, della Costa Azzurra. Questa società, denominata Porto Imperia spa, era di proprietà, per un terzo, del Comune di Imperia, per un terzo dalla Acquamare, società controllata da AcquaMarcia di Francesco Caltagirone Bellavista e, per un altro terzo, da una cordata di imprenditori locali, prevalentemente immobiliari. L’iniziativa, anche se si proponeva di creare 400 nuovi posti di lavoro in una zona dove la disoccupazione è dilagante e di vivacizzare l’attività terziaria in una città assopita sulla coltivazione dei fiori in serra e priva di particolari motivi di attrazione turistica, incontrò subito, e come al solito, un nutrito fuoco pregiudiziale di sbarramento da parte della minoranza di sinistra e da parte dei movimenti ecologisti (che poi, spesso, sono la stessa cosa: l’importante, per costoro, è impedire). I contestatori negavano l’utilità dell’opera, anzi ne denunciavano la pericolosità (!) e hanno quindi cercato di sbarrare la strada alla realizzazione del porto turistico con ripetute azioni di disturbo, non solo politico-agitatorie, ma anche giudiziarie, che però non ebbero successo.
A fermare il tutto c’è riuscita, autonomamente, la procura di Imperia che, molto tempo dopo, a lavori quasi ultimati e dopo cospicui investimenti, arrestò Caltagirone Bellavista che, pur avendo 75 anni, venne subito messo in carcere e lì tenuto per nove mesi e che adesso però (anche se due anni e mezzo dopo) è stato assolto da ogni addebito dal Tribunale di Torino che ha sancito che «dietro i lavori del porto di Imperia non ci fu nessuna truffa».
In questo processo, il pm Giancarlo Avenati Rossi aveva chiesto, per Caltagirone Bellavista (che invece, ripeto, è poi stato assolto con formula piena), otto anni di carcere e, già che c’era, aveva anche presentato istanza di sequestro, a fine di confisca, di beni per 50 milioni (non noccioline) a carico della società Acquamare costruttrice del porto.
Parliamo della vicenda Caltagirone Bellavista perché è quella cronisticamente più vicina, essendosi conclusa nei giorni scorsi, ma purtroppo essa non è unica. Basterebbe ricordare, fra le tante, la vicenda, analoga, di Silvio Scaglia, fondatore di Fastweb, assolto dopo tre mesi di carcere e nove di arresti domiciliari. Il Fatto quotidiano, pur essendo un giornale tradizionalmente vicino alle procure e agli arresti comunque, non ha esitato a definire Scaglia, addirittura nel titolo, venerdì scorso, 7 novembre, come un «arrestato e assolto».
L’assoluzione di Caltagirone è arrivata un sacco di tempo dopo il suo arresto che fu appositamente concepito in modo tale da fargli avere un’immediata ed enorme risonanza a livello nazionale attraverso i media che davano l’arresto (come purtroppo capita spesso) come un’avvenuta condanna. Caltagirone infatti fu arrestato mentre usciva dal Comune di Imperia dove, secondo la procura, sarebbe stata organizzata e consumata la truffa. Quindi Caltagirone in quella mattinata di sole sulla piazza del municipio era, anche simbolicamente, il topo colto in fallo mentre usciva dal formaggio con ancora sui baffi i resti della scorpacciata. Il massimo, per i palati sbrigativamente giustizialisti di troppi media (quasi tutti) e per le tricoteuses in servizio permanente effettivo. Ad accogliere l’operazione di manettamento dell’imprenditore c’erano infatti delle troupe televisive e dei fotoreporter che non si sa a che titolo fossero presenti in forze, e nel momento esatto dell’arresto, davanti al portone del municipio di un capoluogo di provincia che è sistematicamente lontano da qualsiasi grande fatto. Evidentemente, le troupe debbono essere state avvisate da qualcuno. Non si sa chi sia stato, dato che, a questo proposito, non sono state fatte delle indagini che, invece, per turbativa al corretto esercizio della giustizia e a tutela della dignità degli inquisiti ma anche, e a maggior ragione, dei magistrati corretti, avrebbero dovuto esser fatte. Il convocatore delle troupe ha ancora il volto sconosciuto, ma si potrebbero fare delle supposizioni in proposito che, non essendo state provate, ci teniamo per noi, che restiamo garantisti.
Le conseguenze economiche di questo arresto (di cui, economicamente, non risponderà nessuno) sono state devastanti. La società quotata Acquamarcia che partecipava, per un terzo, al capitale della società Acquamare che ha costruito il porto di Imperia, è stata annientata. Inoltre, siccome l’arresto di Caltagirone è avvenuta a lavori quasi ultimati e quindi nel momento in cui l’esposizione debitoria della società costruttrice con la banche era al suo massimo, esso ha comportato il rientro dei crediti concessi. Inoltre, coloro che avevano cominciato ad acquistare posti barche o strutture annesse al porto e avevano già versato cospicui anticipi non solo non sono venuti in possesso dei beni acquistati ma si sono visti anche congelare i loro versamenti. Di conseguenza, si è bloccata la campagna di vendite che stava procedendo a gonfie vele perché il porto d’Imperia è stato costruito a regola d’arte (vedi foto) ed è collocato in un posto strategico, essendo anche al servizio della clientela internazionale che non trova posto nei porti francesi da tempo intasati.
Come possono reagire gli investitori internazionali davanti a fatti come Caltagirone o Scaglia che, pur essendo stati poi ritenuti innocenti, sono stati messi improvvisamente nel tritacarne giudiziario, incarcerati, spogliati economicamente e minacciati, fino all’ultimo, di completo annientamento patrimoniale? I capitali internazionali, per definizione, hanno, per orizzonte di investimento, il mondo. Perché, potendo scegliere fra un sacco di paesi, dovrebbero puntare sull’Italia (e non su altri paesi più affidabili o anche solo comprensibili) quando l’Italia è un paese a rischio totale? Naturalmente i politici e i sindacati (che, a parole, si scandalizzano ogni giorno e in ogni sede, per l’aumento drammatico e inarrestabile della disoccupazione) preferiscono disinteressarsi di questi fatti . In tal modo si comportano come se la disoccupazione fosse solo un fatto da evocare, non da risolvere.
Pierluigi Magnaschi, ItaliaOggi 12/11/2014