Simona Regina, La Stampa 12/11/2014, 12 novembre 2014
PERCHÉ L’UNIVERSITÀ NON È FEMMINA
L’università non è donna. O meglio, nonostante la percentuale sempre più alta di studentesse, solo poche donne proseguono la carriera scientifica e pochissime occupano i vertici.
In Italia appena cinque siedono al top degli atenei: Maria Cristina Messi alla Bicocca di Milano, Liga Vigagnoni all’Orientale di Napoli, Paola Inverardi all’Aquila, Daria De Pretis a Trento, Monica Barni all’Università per Stranieri di Siena. Cinque donne di fronte a 73 rettori uomini. Ma non solo. Secondo il ministero dell’Istruzione, le donne sono 11.777 su 25.948 ricercatori, 5.532 su 15.810 docenti associati, 2.935 su 13.890 ordinari. Uno spreco di talenti che la Commissione Europea cerca di arginare, sostenendo progetti per favorire un più equo avanzamento di carriera e ponendo la promozione della parità fra i sessi tra le priorità.
Un’iniziativa nell’ambito del Settimo Programma Quadro è «Genovate» (genovate.eu): coinvolge sette atenei dell’Ue, tra cui l’Università Federico II di Napoli, e punta a valorizzare le carriere femminili. Come? L’università partenopea ha avviato il programma di mentoring Genovate@Unina. «È una delle azioni del “Gender Equality Action Plan”, strumento per favorire lo sviluppo della leadership femminile attraverso una riflessione critica sui percorsi accademici delle donne e fornendo alle più giovani un supporto e anche dei modelli positivi di riferimento», spiega Ilenia Picardi, project manager.
«Negli ultimi anni - aggiunge - alla Scuola Politecnica delle scienze di base del nostro ateneo è stata raggiunta la parità nei percorsi di formazione accademica: nel 2011 circa il 50% delle lauree e il 60% dei PhD sono stati conseguiti da donne. Ma il trend cambia drasticamente negli stadi successivi della carriera, dove si registra un calo progressivo di presenza femminile: le donne raggiungono il 45% tra il personale ricercatore, meno del 40% tra i professori associati e meno del 20% tra gli ordinari».
«I dati sono in linea con il resto delle università italiane - commenta Silvia Priori, ordinario di cardiologia all’Università di Pavia, direttrice dell’Unità di Cardiologia Molecolare alla Fondazione Maugeri e della Divisione di genetica cardiovascolare della New York University -. Ecco perché le donne che ce l’hanno fatta hanno grandi responsabilità nei confronti di studentesse e ricercatrici. Possiamo incoraggiarle a credere nelle proprie capacità. Fiducia che spesso non hanno, sopraffatte dal senso di colpa nel conciliare il laboratorio con la famiglia». Così - conclude - «abbiamo pianificato, per questo anno accademico, l’affiancamento di una “mentore”: chi è all’inizio del proprio percorso può gestire gli squilibri che ne ostacolano la carriera».
Simona Regina, La Stampa 12/11/2014