Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  novembre 08 Sabato calendario

IL PICCOLO MESSI DEI BALCANI È PIÙ FORTE DELL’ODIO


Il mondo è pieno di ragazzini cui tutti prevedono un futuro alla Messi, salvo arrendersi qualche anno dopo di fronte all’evidenza che non basta un bel talento infantile per diventare un campione. Premesso questo per dissuadere la gran parte dei genitori a tormentare i figli con l’illusione di un ricco domani – se deve venire, viene da solo –, la storia di Jovan Lazarevic, un ragazzo serbo-bosniaco di undici anni che tutti i compagni chiamano appunto Messi, contiene valori che parlano di vittoria a prescindere da ciò che il nostro amico combinerà davvero nel mondo del calcio. Jovan gioca da tre anni con l’FK Guber di Srebrenica, un nome che evoca lo stesso orrore di Auschwitz: nel 1995 a Srebrenica ottomila musulmani bosniaci – in gran parte vecchi, donne e bambini – vennero assassinati a sangue freddo dalle truppe serbo-bosniache del generale Mladic, il crimine più grave accaduto in Europa dai tempi della Seconda guerra mondiale. I recenti fatti di Belgrado dimostrano che sanguinose divisioni continuano a regnare nei Balcani, e non sarà questa generazione a risolverle, per lo meno sui grandi scenari; su quelli piccoli, invece, si può fare un passo avanti lasciandosi l’odio alle spalle. L’FK Guber è la prima società sportiva multietnica della Bosnia orientale, una zona di mondo dove nessuno pensava che una sana convivenza fosse nuovamente possibile.
«Dal primo giorno in cui si è allenato con noi, abbiamo tutti capito che Jovan possiede qualcosa di diverso. Il controllo di palla, la rapidità del dribbling, la precisione del tiro; essendo poi uno dei più piccoli, il paragone con Messi è venuto naturale». A parlare è Namik Mustafic, allenatore e organizzatore del club, e basta leggerne il nome per sapere che i complimenti al bimbo di etnia serba provengono da un musulmano. «I genitori di Jovan sono venuti a Srebrenica nel 2002», racconta ancora Namik. «Come tutti gli altri, hanno storto il naso quando abbiamo spiegato loro che nello spogliatoio del Guber convivevano ragazzi serbi, musulmani, cattolici e gitani. Ma su questo siamo inflessibili, e in questi anni abbiamo registrato notevoli progressi non solo nel rapporto fra i nostri giovani, che ovviamente dimenticano le loro provenienze dieci secondi dopo la comparsa del pallone, ma anche in quello fra i loro genitori».
Dobbiamo questa storia davvero incoraggiante a un caro amico, David Ruiz, giornalista spagnolo particolarmente attento al calcio povero e distante dai riflettori: il suo blog Futbol que estas en la tierra merita più di una visita. Ed è proprio un’immagine di David a rallegrare chiunque di noi ami questo gioco: “l’indomito potere del pallone”, così definisce la magia in grado di vincere – sia pure per il tempo di una partita fra ragazzini – secoli di sangue e morte. Nessuno può sapere se Jovan diventerà un campione; di certo sta diventando un uomo.