Giulia Calligaro, IoDonna 8/11/2014, 8 novembre 2014
È ORA DI DIRE ADDIO A LENA E A LILA
[Elena Ferrante]
Cara Elena Ferrante, non le chiederò chi è, se ha avuto un’amica geniale o quanto c’è di autobiografico nella quadrilogia che ha tenuto in sospeso milioni di lettori in venti Paesi di tutto il mondo. Lei ha vinto, lasciandosi nel mistero: chi è Elena Ferrante? Non lo sappiamo. Sappiamo che si tratta di un nom de plume, ma il segreto regge da anni. Forse, svelarlo non aggiungerebbe nulla a quel che ci ha lasciato: la più bella storia dell’Italia dagli anni ’50 a oggi. Una storia osservata da un rione napoletano – violento quanto più è vero, volgare quando mostra il vestito a festa – attraverso l’amicizia di sangue, e quindi indissolubile ma anche scontrosa, tra Lena (Elena Greco), la figlia dell’usciere che studierà, si emanciperà e diventerà scrittrice, e Lila (Raffaella Cerullo), la figlia geniale dello scarparo che non accetta nessuna redenzione, ma brilla come la Dea di un epos rovesciato. Nella Storia della bambina perduta, l’ultimo volume appena uscito (tutti e/o editore), ci fa ritrovare le due amiche, ora trenta–quarantenni, a una rampa di scale di distanza: dopo che Lena, separata, ritorna a Napoli con le figlie. Entrambe partoriranno una bambina, ma quella di Lila si perderà e da lì avrà inizio la sua cancellazione. Fuori galoppano anni complessi, tra i ’70 e il 2010, e il lettore resta attaccato alle pagine come accade con rari libri in stato di grazia.
Come si ottiene una storia così? E lei cosa ne sapeva quando ha l’ha iniziata?
Ho pensato per anni ad alcuni fatti che mi stavano a cuore e che avrei voluto raccontare: la vicenda della bambina perduta, per esempio. Ma il racconto è nato scrivendo e non immaginavo che sarebbe stato così lungo. È la scrittura che dà alla luce una storia, che soffia vita nei materiali inerti custoditi nella memoria e li tira fuori dall’oblio. Se non si è messo a punto negli anni uno strumento espressivo adeguato, la storia non nasce, o nasce senza verità.
L’ossessione al confronto tra Lila e Lena ci insegna che l’amicizia, pur affettuosa, tra donne è sempre antagonistica. Perché questa paura di arrivare seconde?
L’amicizia femminile è stata lasciata senza regole. Non le sono state imposte nemmeno quelle maschili, ed è tuttora un territorio con codici fragili dove amare (la parola amicizia ha a che fare, nella nostra lingua, con amore) trascina con sé di tutto, sentimenti elevati e pulsioni ignobili. Di conseguenza ho raccontato un legame molto robusto che dura tutta una vita, e che è fatto di affetto ma anche di disordine, instabilità, incoerenza, subalternità, sopraffazione, cattivi umori.
L’amore è il motore della storia. Ma le parti felici sono quelle che il lettore vive con più sospetto. Che cosa impedisce il lieto fine?
L’amica geniale è un racconto concepito in modo che il rapporto più intenso, più duraturo, più felice e più devastante risulti essere quello tra Lila e Lena. Quel rapporto dura, mentre i rapporti con gli uomini nascono, crescono e deperiscono. Ci sono momenti in cui i legami d’amore tra donna e uomo sono felici, basterebbe interrompere lì e avremmo un happy ending. Ma il lieto fine ha a che fare con i trucchi della narrativa, non con la vita e nemmeno con l’amore che è un sentimento ingovernabile, mutevole, pieno di brutte sorprese estranee all’happy ending.
Gli uomini sono inadeguati. Che cosa ostacola l’incontro tra i generi? Le lotte per la parità hanno aumentato la distanza?
Le attese femminili sono diventate molto alte. I modelli comportamentali che rendevano reciprocamente riconoscibili i generi, meno male, si sono sdruciti e nessun rattoppo ha funzionato, né è stata possibile una ridefinizione radicale di reciproca soddisfazione. Il rischio più grande ora è il rimpianto femminile dei “veri uomini” di una volta. Se va combattuta ogni forma di violenza maschile, non va trascurata la voglia femminile di regresso. La folla di donne che adorano la sensibilità e l’energia sessuale del peggiore dei personaggi maschili dell’Amica geniale mette in scena questa tentazione.
Lila e Lena “interpretano” il duello tra Natura e Storia. Lena pare “farcela”, ma in realtà tutti diventano quello che erano da sempre. Nulla può cambiare? E il rimescolamento sociale è ardua impresa?
La spinta a modificare il proprio stato deve fare i conti con mille ostacoli. Sul condizionamento genetico si può agire, ma non ignorarlo. L’appartenenza di classe la si può camuffare, ma non cancellare. Il singolo, tutto sommato, è solo un campo di battaglia, nel suo corpo si affrontano ferocemente privilegi e svantaggi. Contano alla fine le generazioni nel loro collettivo fluire. Gli sforzi di un solo individuo sono, persino quando merito e fortuna si sommano, insoddisfacenti.
Il rione è il laboratorio dove si rivela la fallibilità della Storia. Scrive: «il sogno di un progresso senza limiti è un incubo pieno di ferocia e di morte». Qual è l’alternativa? E Napoli è un luogo di verifica dei fatti nazionali?
Per Lila e Lena, Napoli è la città dove la bellezza si rovescia in orrore, dove le buone maniere si mutano in pochi secondi in violenza, dove ogni Risanamento copre uno Sventramento. A Napoli si impara subito a non fidarsi, ridendo, sia della Natura che della Storia. A Napoli il progresso è sempre progresso di pochi a danno dei più. Ma come vede, di passaggio in passaggio, non stiamo più parlando di Napoli, ma del mondo. Ciò che chiamiamo progresso illimitato è il grande crudele scialo delle classi agiate dell’Occidente. Le cose forse andranno un po’ meglio quando gli preferiremo la cura dell’intero pianeta e di ogni suo abitante.
Di Nino, amato da Lila e poi da Lena, dice: «Uno che cerca più di essere simpatico ai potenti che di difendere a ogni costo un’idea». Poi: «Ha la cattiveria peggiore, quella della superficialità ». Di Lila: «Si distingueva perché con naturalezza non si piegava a nessun addestramento, a nessun uso e a nessun fine». Due umanità opposte. Ce le commenta?
I tratti di Nino oggi sono i più diffusi. Voler piacere a chiunque eserciti un qualche potere è una caratteristica del subalterno che vuole uscire dalla subalternità. Ma è anche un tratto dello spettacolo permanente in cui siamo immersi, che per sua natura si accompagna alla superficialità. La superficialità non è sinonimo di stupidità, ma esibizione della propria spoglia, godimento dell’apparenza, impermeabilità di fronte al guastafeste per eccellenza, il dolore degli altri. I tratti di Lila, invece, mi sembrano l’unica via possibile per chi vuole essere parte attiva di questo mondo senza subirlo.
Lei ha un successo internazionale, fra lettori comuni e intellettuali. Ora negli Usa la paragonano a Elsa Morante: qual è il bersaglio che ha centrato dove siamo tutti uguali?
Non so se ho centrato un qualche bersaglio. Io mi interesso a storie che mi riesce difficile raccontare. Il criterio da sempre è questo: più una storia mi causa disagio, più mi intestardisco a narrarla.
Questa potrebbe essere la storia della cancellazione di Lila. Che cos’è per lei la cancellazione?
Sottrarsi sistematicamente alle smanie del proprio ego, fino a farne un modo di vivere.
Noi lettori non sappiamo come faremo: lei come farà senza Lila e Lenù?
È stato bello e impegnativo vivere con loro per anni. Ora sento la necessità di passare ad altro, come succede quando un rapporto si esaurisce. Ma con la scrittura la regola è semplice: se non hai niente che valga la pena di scrivere, non scrivi più.