Graziella Durante, pagina99 8/11/2014, 8 novembre 2014
DOVE I CEFALI VOLANO COME I TITOLI IN BORSA
TERRACINA (LATINA). Se il tempo è clemente e il libeccio non ci si mette di mezzo a scomporre il mare, ogni giorno, escluso il sabato, alle quattro in punto del pomeriggio, negli alti capannoni del mercato ittico di Terracina, come in tutti i principali porti pescherecci d’Italia, si dà inizio all’asta del pesce.
Già in epoca romana, la vendita all’incanto col pubblico banditore era una procedura giuridica che consentiva la rapida conversione e liquidazione in denaro di merci e beni. A Terracina, anche l’antica Torre di guardia del XVI secolo, nota a tutti come torre del pesce, è stata venduta due anni fa nel corso di un’asta fallimentare e al pari di monili preziosi, statue antiche, quadri di pregio e dimore d’epoca, l’oro blu dei mari è venduto quotidianamente al miglior offerente.
Come ogni altro settore di mercato, il commercio ittico segue le oscillazioni della domanda e dell’offerta, riflette la scarsità o l’abbondanza del pescato. Cefali, aragoste, saraghi, ricciole sono veri e propri titoli finanziari soggetti a quotazioni indicate in tempo reale da un borsino ittico regionale che serve a fissare il prezzo base di ciascun prodotto. I listini ittici orientano in modo significativo le diverse bilance di vendita, ma una certa uniformità nazionale dei prezzi è ancora affidata all’accordo informale e giornaliero tra gli astatori dei singoli mercati.
A dispetto delle antiche e tradizionali forme elementari del negoziare alle quali si assiste nei mercati al dettaglio o anche all’ingrosso del pesce, le più sofisticate e recenti dinamiche della grande finanza sembrano progressivamente riprodursi nel commercio all’incanto delle merci. La sala d’asta, a lungo organo pulsante delle Borse mondiali, è oramai un lontano ricordo. La finanza opera da tempo per mezzo di dispositivi elettronici all’insegna di una costante spinta alla razionalizzazione e smaterializzazione delle procedure. Allo stesso modo, dal 2011 per acquistare molluschi, crostacei e pesce azzurro basta accreditarsi presso la Borsa Merci Telematica italiana, istituita nel 2006, dove le aste sono on-line e le trattative affidate ad agenti d’affari che negoziano i prodotti ittici per conto terzi esattamente come un broker i titoli di mercato.
Mercati volatili e invisibili. Che non sporcano e non hanno odore. Apparentemente contrapposti agli arcaici e rumoreggianti suk dei mercati d’asta tradizionali, perché – si pensa – più trasparenti e regolamentati. Eppure l’uno si insinua e si sovrappone all’altro. La mano invisibile del commercio telematico opera prima ancora che il pesce arrivi alle marine, attraverso tablet e smartphone. Il futuro dei mercati delle aste ittiche è dunque quello di svanire nelle nevrotiche fluttuazioni della finanza globale fino a trasformarsi in un simulacro?
A giudicare dalla calca di commercianti e ristoratori che si assiepa sull’orlo del molo a Terracina in attesa che i pescherecci attracchino e svuotino le stive, dall’intreccio di dialetti e di braccia, dai commenti sagaci e dalle occhiate ammiccanti che si scambiano prima di affrontarsi alla bilancia d’asta, tutto lascerebbe pensare il contrario. La ruvidezza della ritualità di codici verbali e non a cui si assiste ricalca solo in alta forma quel sistema di spregiudicato antagonismo che spartisce interessi e alloca profitti tipico delle transazioni finanziarie.
Dopo una notte in mare, le voci dei pescatori approdano prima delle imbarcazioni, perché il tono è modulato sul rumore costante dei motori e delle onde. Tutto accade in fretta, perché il tempo significa freschezza e la freschezza significa denaro. Ogni passaggio superfluo potrebbe danneggiare la merce appena arrivata. Catturato in una delle zone più pregiate del tirreno, le acque della “prateria di posidonia” che va da Sperlonga a Capo Circeo a circa due miglia e mezzo dalla costa e che i locali chiamano semplicemente la cigliata, il pesce affiora conservando il vivido e brillante colore dei fondali rocciosi e profondi. Pile di bianche cassette di polistirolo ricoperte di ghiaccio vengono traghettate da un formicaio di minuti fattorini, in prevalenza extracomunitari, su carrelli spinti a mano e depositate, in attesa di controlli a campione, nelle stanze del mercato.
«Cinquant’anni fa – racconta Guido detto Bambolo, togliendosi il cappello e sfregandosi le mani rugose – quella terracinese era una delle più grandi marinerie di lampare d’Italia. Si pescavano sardine meravigliose che da sole davano da vivere a più di 300 famiglie di pescatori. Poi i tempi sono cambiati. La vita è un cerchio: col cambio generazionale, tutti i giovani hanno scommesso sulle paranze perché più convenienti. E poi, se ti liberavi delle lampare, avevi anche diritto a incentivi». Mentre lo osservo allontanarsi, dalla sala d’asta del mercato arriva un vociare concitato. L’odore di umori ittici irrora l’aria fredda di questa grande cella frigorifero dove la frenesia di fare alla svelta contagia tutti.
Il pesce è ovunque, diviso per appartenenza ai singoli pescherecci. Sistemato ordinatamente, con le bocche aperte rivolte all’insù, inclinato di fianco così che la specie e la taglia si possano facilmente riconoscere. Anche il ghiaccio è ovunque per conservare la lucentezza degli occhi, il colore e la compattezza delle scaglie. Dei crostacei, invece, si osserva l’ostinato movimento di zampe e chele. Sono le cassette più disordinate, palpitanti e ramose. Le bilance d’attività, qui a Terracina sono due, attigue e contemporanee. Gestite dalle due diverse cooperative di pescatori. Entrambe molto popolose. I commercianti arrivano in prevalenza da Roma, ma anche da Napoli e Milano. Le cassette da battere all’asta cominciano a sfilare su un lungo nastro trasportatore sotto gli sguardi d’aquila di una platea disposta su due tribune di sedioline colorate che ricordano le sale d’aspetto di una stazione.
Un tempo tutto si svolgeva a voce, in piedi, in una grande promiscuità di gesti, corpi e occhiate, come in una sorta di bazar autogestito. Non c’erano congegni elettronici, come ora, dove ogni partecipante accreditato è munito di un piccolo telecomando per esprimere offerte e preferenze, far salire i prezzi di base a suon di pigiate. Ma oggi, come allora, il vero protagonista di questo rito collettivo, è il banditore, maestro dell’incanto. Uomo dai mille talenti. Carismatico e autorevole. Capace di fiutare, sollecitare e orientare gli appetiti dei commercianti in poche manciate di secondi.
Il trambusto della sala rallenta quando Dario Venerelli, 50 anni e banditore da più di 15, si avvicina solennemente alla bilancia, si arrotola le maniche della camicia bianca fino agli avambracci e solleva una per una le cassette appena drenate dal mare a partire da quelle che contengono il pescato più pregiato. Tutte le informazioni – peso, specie, peschereccio di appartenenza, prezzo d’asta – scorrono su un tabellone elettronico. E la guerra ai pulsanti ha inizio.
Quella di Terracina è un asta a rialzo: il prezzo aumenta di 50 centesimi ogni volta che qualcuno dalla platea schiaccia il pulsante. È evidente che ci sono due fazioni visibilmente ostili: i ristoratori e i commercianti. Il bisogno dei primi è di acquistare poche ma pregiate cassette che spesso finiscono nelle mani di chi ha interesse ad aggiudicarsi grossi stock di pescato. «L’asta è un po’ come il gioco d’azzardo. Se ti lasci prendere la mano – mi spiega uno dei tanti accaniti ristoratori romani che frequentano il posto – rischi di ritrovarti con una montagna di pesce che non sai che fartene. Poi, ogni tanto, tocca vendicarsi delle scortesie che ti fanno, così fai salire il prezzo alle stelle».
Dario, tiene il banco come un vero croupier. Da astuto prestigiatore, lui solo è capace di dare la marcia giusta all’asta, ravvivarla se si affloscia, affabulando su rialzi immaginari e pronosticando prossime, devastanti penurie di dentici e tonni. In fondo, nonostante pulsanti e led, il foro dell’asta resta un pittoresco spettacolo di creatività popolare, dove i datteri possono magicamente chiamarsi cefali e dentro una cassetta di scorfanetti, spuntare imprevista una tracina. Tutto l’invenduto della battuta, dovrà tempestivamente piazzarlo l’astatore su altri circuiti. Grandi supermarket, pescherie all’ingrosso. Così, il pesce continuerà a navigare stipato nelle celle dei furgoni-frigorifero sulle autostrade di mezza Italia. Quando l’ultima cassetta è stata battuta, si ritorna a un baccano scalpitante. Mentre tutti si apprestano a caricare i propri acquisti, molti sono i commenti, le scomuniche e le occhiatacce che ancora volano a mezz’aria.
Fuori, sul molo, è un pullulare di lambrette e ciclomotori. E come per incantesimo, il mercato, adesso, è ovunque. Nell’aria ferma della sera, piccoli commerci improvvisati e informali spuntano dappertutto, lungo il molo, accanto ai pescherecci che si preparano a salpare per una nuova battuta di pesca, negli slarghi delle banchine. Incredibilmente, non ci sono più solo muscoli e calzoni.
Compaiono anche le donne. Vendono al dettaglio il pescato che spetta alle famiglie dell’equipaggio. Prodotti a chilometro zero, anche se di poco pregio, che vengono presi d’assalto dalla gente del posto. Basta un ombrellone, il bagagliaio di una macchina, un piccolo tavolino traballante, e tante nuove aste al minuto sono presto allestite. Lo smistamento continua, i traffici e gli affari anche.