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 2014  novembre 11 Martedì calendario

I VERI CONTI DELLO STATO CHE METTONO PAURA AL QUIRINALE


Se i conti pubblici italiani fossero in equilibrio non si starebbe parlando delle dimissioni del presidente della Repubblica nei termini in cui se ne parla. Il tema dominante, che ha spinto il Colle a calendarizzare l’uscita di scena, non è quello delle riforme costituzionali o elettorali, ma i conti. Siccome non tornano, e siccome questo avrà conseguenze notevoli nei mesi a venire, è come se il Quirinale dicesse: se siete capaci di sistemarli, fatelo subito, così poi si passa a discutere di Costituzione e sistema elettorale, ma se scantonate e rinviate scordatevi che da qui vi si copra, quando il nodo verrà al pettine. Non ci sarà copertura nei confronti delle istituzioni Ue, da dove giungono rumori inquietanti, altro che scricchiolii. Né ci sarà copertura relativa alla procedure istituzionali interne, elezioni anticipate comprese. Se volete quella roba, allora eleggete un altro presidente, sperando che ne sia capace. Auguri. Che il settennato non sarebbe stato di sette anni Napolitano lo disse in occasione del suo secondo giuramento. Lo fece dando dell’irresponsabile a una platea parlamentare che lo applaudì con trasporto. La novità, raccolta da un ottimo Stefano Folli, non è che si dimetterà prima della scadenza, ma che ha fissato il riferimento alla fine dell’anno. E senza che sia passato nulla di quel che allora chiese, per poi potersene andare. Qui, negli anni, non ho risparmiato critiche a Napolitano, e le confermo tutte. Ma è corretto che il presidente ponga la questione: non può rinunciare al potere di scioglimento anticipato, perché questa sarebbe una menomazione della Costituzione, ma neanche vuole sciogliere dopo avere creato due governi senza maggioranza elettorale e non avere ottenuto nulla, quindi, se l’irresponsabilità continua si dimetterà in tempo utile perché si elegga il successore e quello possa, ove ne ricorrano le condizioni, sciogliere il Parlamento e portare l’Italia al voto entro primavera. Se non avesse preso l’iniziativa adesso, se si fosse lasciato trascinare dalle dilazioni, si sarebbe poi trovato in una condizione insostenibile: non sciogliere le Camere, pur in presenza della loro incapacità a legiferare e far governare, sarebbe stato come attentare alla Costituzione, scioglierle, però, sarebbe equivalso a darla vinta proprio a chi non aveva voluto tenere conto né di come la legislatura era iniziata né della realtà economica del Paese. Per evitare la trappola, Napolitano si sfila prima. Tutta la legge di stabilità poggia sul presupposto che il 2015 veda crescere il prodotto interno lordo italiano dello 0,6%. Ad oggi non se ne vedono i presupposti. L’Ocse stima lo 0.2, ovvero un terzo. Moody’s ci vede inchiodati fra -0.5 e + 0.5. Il nulla. In queste condizioni i conti sono sballati. Siccome lo sappiamo già ora, prima che la legge sia discussa in Parlamento, va corretta. E va fatto senza appoggiarsi retoricamente alla dannazione dei vincoli europei, perché così facendo si alimenta un mostro. Semmai è l’opposto: l’incapacità di tagliare la spesa pubblica porta a clausole di salvaguardia capaci di garantire la recessione per altri anni ancora, a cominciare dall’aumento dell’iva. Siccome chi governa preferisce discorrere di regali agli elettori e far finta che la pressione fiscale cali, mentre invece cresce, salvo poi far precipitare tutto con la sceneggiata nazarena, allora il Colle fa sapere che non reggerà il moccolo. Agli italiani si fa credere che tutto questo sia un balletto di palazzo, anche grazie ai soliti retori perditempo che furoreggiano in politichese invocando concretezza e adesione alla realtà di cui sono privi. Ma questo non è un gioco di palazzo, semmai sui palazzi dove abitiamo, perché più tardi si farà la correzione dei conti più saranno solo nuove tasse, fino alla patrimoniale, tradizionalmente a predilezione abitativa. E se le elezioni si saranno fatte prima potrà cambiare solo l’indirizzo della rabbia collettiva. O dal governo si renderanno complici nel deviare la rabbia verso l’Ue, in un tripudio di follia e populismo stracciamutande. Sono questi i termini della partita in corso. Il centro della disputa non sono le elezioni anticipate in sé, ma il loro ipotetico uso per non intestarsi la correzione dei conti. Noi lo ripetiamo da mesi: o il Nazareno indossa una veste anche economica, o è disallineato rispetto ai tempi dei conti. L’orologio del Colle scandisce quella nostra convinzione. Potrei osservare che si sarebbe dovuto farlo prima. Preferisco annotare che è un bene non si consenta l’incoscienza di abbandonarsi a un indefinito e limaccioso dopo.