varie, 11 novembre 2014
Pasta per Sette - Dal 2004 a oggi sono aumentate del 23% le esportazioni di pasta italiana. Nel 2013, secondo i dati di Aidepi (l’associazione dei produttori) il 73% della pasta prodotta nell’Unione europea è uscita da una fabbrica italiana
Pasta per Sette - Dal 2004 a oggi sono aumentate del 23% le esportazioni di pasta italiana. Nel 2013, secondo i dati di Aidepi (l’associazione dei produttori) il 73% della pasta prodotta nell’Unione europea è uscita da una fabbrica italiana. Se ne esportano due milioni di tonnellate annue. In Italia nel 2013 sono state prodotte 3.408.499 tonnellate di pasta (la produzione è cresciuta del 9% in dieci anni). La Germania produce il 7% della pasta europea, la Spagna il 6%, la Francia il 5%, la Grecia il 4%. I formati più consumati in Italia: spaghetti (14,4%), penne rigate (8,5%), fusilli (7%), tortiglioni (5,6%), mezze penne rigate (5,3%), spaghettini (5%), bavette (3,7%), pennette rigate (2,7%), farfalle (2,6), rigatoni (2%). Il consumo di pasta in Italia negli ultimi dieci anni (chili pro capite annui): 28 chili nel 2004, 27 chili nel 2005 e 2006, 26 chili dal 2007 al 2012, 25 chili nel 2013. Gli italiani sono i primi consumatori di pasta al mondo. Seguono i venezuelani, con 13 chili a testa, e i tunisini, 11,9 chili. Otto americani su dieci mangiano, almeno una volta la settimana, la pasta. Si tratta di circa 230 milioni di persone. Il 33% la gusta, invece, almeno tre volte ogni sette giorni. Secondo l’Unipi, sono gli spaghetti il formato preferito dagli americani. Poi lasagne, maccheroni e fettucine. Angela Merkel soprannominata «cancelliera della pasta». Nata secondo alcuni in Cina, benché Marco Polo non ne faccia menzione. Si tratta, infatti, di una leggenda creata negli Stati Uniti sul Macaroni Journal, pubblicato da una associazione di produttori di grano con lo scopo di rendere la pasta familiare ai consumatori americani. «Gli spaghetti sono penetrati in moltissime case americane dove il nome di Dante non viene mai pronunziato. Inoltre l’opera di Dante è il prodotto d’un singolare uomo di genio, mentre gli spaghetti son l’espressione del genio collettivo del popolo italiano, il quale ne ha fatto un piatto nazionale, ma non mostra di aver invece adottato le idee politiche e il contegno del grande poeta» (Giuseppe Prezzolini). Romani e Greci avevano il laganum (làganon in greco), impasto di acqua e farina appiattito e tagliato in strisce. Da questo deriverebbe la lasagna. Pasta viene dal greco πάστα, pàsta, cioè farina con salsa. Dal verbo pàssein, impastare. Il piatto di spaghetti di miglio risalente a 4.000 anni fa trovato nel nord ovest della Cina. Fino a tutto il Seicento con il termine “maccheroni” si indicavano gli gnocchi. «Una contrada che si chiamava Bengodi (…) ed eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli, e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava più se n’aveva» (Boccaccio, Decamerone VIII 3). Rossini, che si definiva «pianista di terza classe ma primo gastronomo dell’universo», si faceva spedire la pasta direttamente da Napoli. Nel 1859, essendone rimasto sprovvisto, si lamentò per lettera con un amico firmandosi «Gioacchino Rossini Senza Maccheroni». In passato si diceva che i napoletani condissero la pasta con lo sbruffo, cioè che il cuoco spruzzasse con la bocca la salsa sul piatto. Nel 1833 Ferdinando II si recò a Torre Annunziata per vedere come si facessero i maccheroni. Entrato in una fabbrica, scoprì orripilato che per impastare non si usavano le mani, ma i piedi. Incaricò allora l’inventore Cesare Spadaccini di progettare una macchina per fare il lavoro degli operai. Nacque così “l’uomo di bronzo”, un marchingegno che riproduceva l’azione dei piedi umani. L’invenzione piacque al re, che decise di finanziare per qualche anno un pastificio all’avanguardia. Le prime fabbriche di pasta nel 1800, a Napoli. Nel 1870 comparvero i torchi idraulici e le prime impastatrici meccaniche; nel 1875 si iniziò la costruzione di impianti per l’essiccazione artificiale, che subirono diverse trasformazioni fino a quello ad aria calda costruito nel 1889 da Filippo De Cecco nel pastificio di Fara San Martino (Chieti). Gragnano, paese di 36mila abitanti in provincia di Napoli, che conta 15 pastifici tradizionali, duemila lavoratori tra addetti e indotto e un fatturato di 510 milioni solo nel 2013 (l’80% di prodotto viene esportato). Gragnano fino al XVI secolo era famosa per la seta e il broccato. In seguito a una morìa dei bachi gli abitanti si diedero a metter su pastifici: alla fine dell’Ottocento se ne contavano più di 120. L’atto di nascita dei maccheroni è conservato negli archivi del comune, dove si trova il protocollo per la loro fabbricazione: «... E farai la pasta, sì che non sia né dura né tenera; ma piuttosto ch’abbia del saldetto, e lo gramarai molto bene». I pastai del luogo erano talmente esperti da riconoscere il Taganrog (il grano russo) a occhi bendati, solo toccandolo. Ferdinando I di Borbone per risultare simpatico al popolo si metteva in piazza a ingozzarsi di spaghetti, impigliandosi nei fili di pasta come un buffone. Fino a metà Ottocento la pasta era solo in bianco, «incaciata», cioè cosparsa di formaggio. Quando si cominciò a mettere il pomodoro, sorse la difficoltà delle forchette: avevano soltanto tre denti e raccoglievano la pasta facendo scivolare via la salsa. Perciò, spinto da Ferdinando II di Borbone, il ciambellano di corte inventò la forchetta a quattro rebbi, molto più efficace. Posate consigliate da Prezzolini per mangiare le paste asciutte: «Non sopportan che posate comuni d’alpacca, oppure di acciaio, sia pure inossidabile, o magari di stagno all’antica. Se qualcuno si arrisica fino alle posate d’argento lo perdòno, in vista del fatto che l’argento ha ormai cessato d’esser un metallo prezioso, ed adoperarlo è piuttosto segno di pulizia che ostentazione di ricchezza». Thomas Jefferson dopo aver visitato l’Italia diventò cultore della pastasciutta. Ne lasciò anche delle ricette: «Battete sei uova finché non sian ben montate, aggiungete una tazza di latte e mezzo cucchiaino di sale. Aggiungete abbastanza farina, circa quattro tazze, da far una pasta consistente. Spianatela col mattarello fin che abbia mezzo pollice d’altezza. Tagliatela in piccoli pezzi, e poi arrotolateli fra le dita fino a che diventin delle stringhe rassomiglianti a maccheroni. Tagliateli in giusta misura. Buttateli a bollire in acqua salata e cuoceteli per quindici minuti. Conditeli come condireste i maccheroni. Oppure bolliteli in brodo». Era abitudine tra gli americani di passare gli spaghetti bollenti sotto l’acqua fredda, e poi farli ricuocere o servirli subito nel piatto. Cento grammi di pasta cotta, senza condimento, forniscono circa 350 calorie, 73 grammi di carboidrati, 12 grammi di proteine, 1,7 grammi di grassi. Anticamente in Sicilia con la pasta in bianco si curavano gastriti, coliti e acidità. Secondo Filippo Tommaso Marinetti chi mangia pastasciutta non è in grado di possedere una donna. Secondo il suo seguace, dottor Signorelli, la pasta non si mastica ma si ingozza, di qui uno squilibrio che favorisce «fiacchezza, pessimismo, inattività nostalgica e neutralismo». Sophia Loren mangia pasta tutti i giorni. «Sono amico della pasta all’amatriciana e della carbonara» (Renato Zero).