Laura Piccinini, D, la Repubblica 8/11/2014, 8 novembre 2014
KASIA LA FORZA CHE SEDUCE
Nel prossimo film dei fratelli Taviani, Maraviglioso Boccaccio, Kasia Smutniak è una giovane vedova che cerca di conquistare il diritto a rifarsi una vita. Il ruolo più sfacciato e terapeutico che i due registi potessero darle, visto che per lei è stato così anche nella realtà: il marito, l’attore Pietro Taricone, è morto 4 anni fa in un incidente col paracadute. Anzi, sul set c’era un fattore in più, era incinta, dettaglio che il copione, per quanto ottimista sulla vita, non prevedeva. «Negli ultimi giorni di lavorazione, a Certaldo in Toscana, io ero di sette mesi e le riprese continuavano a slittare. La pancia cresceva e cercavamo di nasconderla sotto i vestiti medioevali. I Taviani continuavano ad aggiungere giornate, a un certo punto ho creduto che lo facessero apposta. Non te l’aspetti, ma i due hanno un senso dell’umorismo pazzesco. Alla fine era assurdo, ma almeno è stato divertente». Perché è così che funziona, nella realtà come nei film: la vita scaccia la morte. Nel frattempo, ad agosto, è nato il suo secondo figlio, avuto dal compagno Domenico Procacci, editore e produttore di Fandango (la prima, Sophie Taricone, ha nove anni).
Nella suite milanese d’albergo dove la incontriamo (è appena arrivata per una serata come testimonial, assieme a Stefano Accorsi, del marchio di abiti in cashmere Falconeri), l’attrice polacca si alza di botto a recuperare il cellulare che sta suonando. Si scusa, spiega che lo fa solo perché il piccolo Leone ha due mesi e l’ha lasciato a casa. Per il resto il suo rapporto con le nuove tecnologie è «pessimo»: «Secondo me ci stiamo complicando la vita. Dieci anni fa i telefoni erano più piccoli e la batteria durava giorni, adesso sono sempre più grossi, la carica dura pochissimo, e se non rispondi subito sembra che lo fai apposta. Tutto ciò mi sembra folle. Fortuna che vivo in un posto dove non c’è quasi mai campo, fuori Roma: ti fa rientrare in una condizione più umana».
Kasia Smutniak è anche il tipo che sbuffa pianissimo, perché la porzione nel suo piatto è scarsa come sono sempre quelle degli chef stellati degli hotel, e una volta finito mette tutto in ordine. La prima cosa che noti di lei è che è di una sensatezza tale da far sentire ridicolo ogni essere umano preda delle comuni manie d’oggi. In realtà è la sua seconda caratteristica, la prima è che se metti il suo nome su Google, non c’è situazione, dai film ai funerali, dove il riferimento a lei non sia preceduto dagli aggettivi splendida, stupenda, sexy centauro (va in moto). A 35 anni ha fatto venti film e parecchia tv d’autore, vinto un Nastro d’Argento, presentato un festival del cinema: sta tutto lì?
Per dirla con le parole di Ferzan Ozpetek, che l’ha voluta come protagonista in Allacciate le cinture e ci tiene a parlare di lei da Chicago, dove ha tra l’altro presentato il film: «Kasia ha questa cosa che può sembrare un difetto, una bellezza enorme per cui la guardi e staresti lì delle ore. Poi comincia a parlare e capisci che è una donna molto intelligente. E non è controllata come sembra, l’ho capito leggendo la biografia di Marlene Dietrich... Si assomigliano, sono quel tipo di persone apparentemente distanti, e invece poi scopri che sono donne pratiche e sanno fare tutto, da cucinare ai lavori di casa. Kasia è così, ti invita a cena e lei che è polacca ti prepara un piatto marocchino. Quand’era modella per la Tim andava a fare la fila alle tre di notte per il permesso di soggiorno, e io le dicevo “ma paga qualcuno per farlo, no?”. Ha questa mentalità per cui deve seguire tutto, fare le cose direttamente. Se poi le chiedi di piangere e la macchina da presa è sulla guancia sinistra, lei ( fa scendere le lacrime proprio da quel lato, perché è di quegli attori “animali” che partono con la testa ma finiscono per recitare col cuore. Capisci che per farlo tira fuori le cose terribili che le sono capitate nella vita. E sono tante. Gli dei sono sempre gelosi della bellezza». Per scongiuro, Ozpetek ha postato su Twitter la foto della manina di Leone che fa due involontarie corna («l’ha retwittata il mondo», chiude il regista). A parte i Taviani e Ozpetek, che l’ha fatta ingrassare e dimagrire di otto chili nello stesso film, Kasia era in Nelle tue mani di Peter del Monte e in La Passione di Carlo Mazzacurati. E in varie commedie impegnate all’italiana, da Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio a Benvenuto presidente con Claudio Bisio. In Tutti contro tutti era un’immigrata polacca, madre di famiglia, che vive su un pianerottolo a causa della crisi. In tv si è vista in diverse puntate di In Treatment, diretta da Saverio Costanzo, nella serie su Rino Coetanei accanto a Claudio Santamaria, e in Volare nel ruolo di Franca, moglie di Domenico Modugno. Il primo film l’ha fatto a diciannove anni: «Era una commedia di Giorgio Panariello, s’intitolava Il momento giusto. Sono andata a fare il provino per un ruolo minore di bellona classica e invece m’hanno affidato quello più “interessante”, diciamo cosi, della giornalista sfigata», ride. Il film era dimenticabile. «Ma è stato lì che ho imparato a scegliere i ruoli, a puntare su quelli dove la bellezza era quasi da nascondere. A scartare i personaggi scontati per me, dove non vedo difficoltà di interpretazione. Se non mi fanno un po’ paura, non accetto».
La paura (da provare), dopo la sensatezza e la bellezza, nell’ordine che si preferisce, è un’altro fattore necessario alla sua idea di vita. Kasia fa sport estremi da sempre, dal paracadutismo (nonostante sia legato alla tragedia del marito) al free-climbing. E ha il brevetto da pilota di aliante. «Per me la palestra non esiste, come qualsiasi cosa abbia a che vedere con la fatica o sudare al chiuso. Se non c’è sfida, non partecipo. Non mi dà piacere». Dice di essere cresciuta in un ambiente di maschi. «Ancora adesso mi trovo meglio con gli uomini perché sono più semplici, hanno un pensiero più lineare. Noi donne siamo complesse, se non complicate, ci facciamo domande inutili. Ci stiamo anche cacciando in una specie di trappola, dopo tante conquiste del femminismo. Oggi una dev’essere troppe cose insieme, avere un lavoro magari migliore di quello del marito ed essere sempre tiratissima. Negli anni 70 stavano tranquille senza reggiseno». Oggi non ti lasciano in pace: «Sono piena di fake», i falsi account col proprio nome sui social network. Kasia viene da una famiglia «militare, non rigida ma giusta. Mi hanno trasmesso il senso di responsabilità». Fosse stata rigida si sarebbe ribellata. S’è limitata ad andarsene il prima possibile. «Io e i miei coetanei in Polonia abbiamo cominciato a lavorare prestissimo. Le mie amiche hanno fatto figli a 18-19 anni. Io a 15 facevo la modella. Ma è stata durissima, infernale. Di notte studiavo per recuperare con la scuola. Non ho avuto un’adolescenza. Ma non tornerei indietro per niente al mondo». Essersi trovata nel posto sbagliato al momento giusto («negli anni importanti, di passaggio, di fine dei regimi») la rende una 35enne atipica. Negli anni 90 un’italiana che fosse andata via di casa a 15 anni sarebbe sembrata un’aliena. «Ma oggi, con la situazione economica che c’è, non lo puoi fare neppure a 30-40».
A suo modo «la foto di gruppo alle elementari con dietro la scritta “Il nostro credo è il socialismo”» è stata più efficace di un’icona pop, nella sua stanzetta, per spingerla a realizzare i sogni adolescenziali altrove. «Destra e sinistra in Polonia erano invertite. In un certo senso il male stava nel bene, il regime distorce l’ideologia. C’è gente nel mio paese che deve ancora farci i conti». Ha abbastanza distacco da riconoscere come nel cinema italiano, dietro l’aria «cultural di sinistra, ci sia anche un bel po’ di destra: che non significa appartenenza a un partito ma modo di pensare e di agire».
L’unica cosa che vuole trasmettere ai suoi figli è che «nulla è scontato nella vita». Sophie già un po’ lo sa. Spesso l’ha portata in Nepal, dove c’è la fondazione dedicata a suo padre che sta costruendo una scuola. Da non nativa digitale, Kasia vorrebbe che i suoi figli non perdessero la possibilità di annoiarsi. «Dalla noia nasce la creatività, se gli dai in mano un iPad per occupare ogni momento, diventano macchinette non pensanti». Ma proibire è escluso (lei stessa compra online pure i cavatappi). L’unica cosa che potrebbe vietare sono le parolacce nella sua lingua madre: «Sono volgarissime, i polacchi hanno un senso dell’umorismo tremendo».
Ride di come si possano sfruttare ironicamente le proprie origini: quand’è stata copresentatrice al Festival di Sanremo, ha fatto credere che per i polacchi l’idea dell’Italia, fossero Romina e Albano su quel palco a cantare Felicità. Sul set di Caos Calmo, dov’era la ragazza che corre nel parco, le organizzarono un incontro con il connazionale Roman Polanski, che aveva una parte nel film, pensando che avessero chissacché da dirsi. Alle cene le chiedono sempre se le piace Kieslowski. «Ma io il cinema d’autore ho imparato ad amarlo in Polonia con un regista americano, Jim Jarmush. L’ho scoperto a 17 anni in una maratona notturna». Un altro che le piace è Nanni Moretti. Nel nuovo film del regista romano. Mia madre, Kasia fa un cameo girato in un giorno, ma è “uncredited”, non figura nel cast («Governa Moretti e non vuole che si dica nulla», spiega la sua agente). Infatti lei non ne parla. Ozpetek aveva detto anche questo: «È una che si farebbe ammazzare pur di mantenere la parola».