Marco Zatterin, La Stampa 11/11/2014, 11 novembre 2014
NEI CAMPI DELLE FIANDRE LA GRANDE GUERRA NON È MAI FINITA
Gli operai si sono accorti che quello in cui stavano scavando non era un pezzo di terra come gli altri quando hanno visto spuntare un osso lungo dal fango. Era una tibia, quel che rimaneva di un soldato tedesco morto a Ypres nel 1915. Lo si capiva dall’elmetto.
Tutt’intorno hanno trovato parecchi frammenti, sinché è apparso uno scheletro in parte fasciato da brandelli di uniforme. Poi un secondo corpo, un terzo, sino a un totale di sette. I lavori del nuovo gasdotto sono stati sospesi, i tecnici hanno chiamato gli archeologi e loro hanno fatto in fretta a capire che erano soldati tedeschi, morti e seppelliti nei primi 18 mesi della Grande Guerra. Lo testimoniavano due elmetti malconci, chiodati, dei Pickelhaube dunque, copricapi leggeri sostituiti nel 1916 perché, nella carneficina da trincea, non garantivano alcuna protezione.
È un rito quasi quotidiano sul vecchio fronte delle Fiandre occidentali, nel teatro delle tre battaglie di Ypres che fra il 1914 e il 1917 rubarono la vita a oltre settecentomila uomini di quasi ogni nazione. A novantasei anni esatti dall’armistizio che l’11 novembre 1918 chiuse le ostilità, il dramma continua, le spoglie dei soldati affiorano a ogni semina, all’avanzare di ogni cantiere. Con loro riemergono le bombe, letali come un tempo, cent’anni sotto terra e non sentirli. Un esperto di storia locale, John Desreumaux, assicura che gli artificieri dell’esercito belga sono chiamati due-tremila volte l’anno per recuperare e disinnescare cariche non esplose soprattutto nella prima guerra.
La statale lunga e diritta che porta verso Ypres, gli uomini che lavorano coi caschi gialli e i giubbotti catarifrangenti danno un senso di modernità ingannevole come la pace che ostentano. Il campo di battaglia è ancora il campo di battaglia e il tempo non pare essere passato, alla faccia delle apparenze. Nella Pondfarm, la «fattoria dello stagno» che si trova a meno di dieci chilometri a Nord-Est di Ypres, pure quest’anno il raccolto è stato particolare. Con le patate e le barbabietole la famiglia Butaye ha dissotterrato 28 bombe inesplose della Grande Guerra. Uccidono ancora. L’esperto Desreumaux sostiene che dal 1918 gli ordini esplosi accidentalmente sono stati 599. Hanno fatto 358 morti e 535 feriti. Probabilmente pecca per difetto, vista l’abbondanza di morti locali. Come è successo, il 19 marzo, a due operai uccisi da una bomba mentre lavoravano alla costruzione di una fabbrica, a poca distanza dalla martoriata cittadina fiamminga.
Il fuoco sul Salient di Ypres si è espresso in quantità difficili da immaginare, micidiali quanto il gas a base di cloro - che sapeva ananas e pepe - usato dalle armate del Kaiser Guglielmo II per la prima volta nella primavera del 1915. Successe a Gravenstafel, dove 168 tonnellate di veleno invisibile furono rilasciate su un fronte di circa sei chilometri ammazzando 5000 soldati alleati in dieci minuti. Il fango ha mescolato le vittime e i loro effetti. Già dopo i primi scontri e il fuoco fra le linee, abbattuti alberi e case, i campi inondati dai belgi per fermare gli «Unni» hanno inghiottito tutto ciò che cadeva in superficie. Da allora il moto è costante, le zolle girano per effetto del tempo e le fatiche contadina. Più la stagione è fredda e più l’estate rende le vittime della stupidità umana.
Nel solco previsto per la condotta che porterà il gas dal porto di Zeebrugge al Belgio meridionale lavoreranno sino a Natale 30 archeologi. Sono felici di farlo, la legislazione europea non consente di norma di scavare se non in circostanze speciali, ad esempio se il sito cade sul cammino di un’opera pubblica. In poche settimane hanno trovato 4 mila munizioni, più reperti vari, baionette, elmetti, bottoni, vanghe, fucili. Alleati e tedeschi. I pezzi vengono numerati, con l’ambizione che il governo federale trovi i fondi necessari per allestire una sezione in un museo.
Le ossa e ciò che resta loro intorno hanno destini diversi. Sono reliquie spaventose. A fine ottobre è venuta alla luce una scarpa con un piede. Nulla di più nel raggio di metri. Troppo spesso i corpi andavano in decine di pezzi, mentre altri rimanevano miracolosamente composti. Gli archeologi sperano di identificate i soldati ritrovati, i sette tedeschi e il francese tornato ai primi di novembre, «cento anni dopo essere caduto», rivela l’equipaggiamento. È il loro lavoro, la loro missione.
Succede spesso che storie tragiche abbiano un finale meno amaro. A Beauchamps-Ligny, in Francia, nel 2009 hanno trovato dieci corpi, uno dei quali è stato sepolto il 22 ottobre scorso, alla presenza d’un nipote: era il caporale William Henry Warr, ucciso proprio un secolo fa, a 27 anni. Il 5 novembre ha avuto una lapide anche il sergente francese Leon Senet, caduto al Pas de Calais il 23 maggio 1915. Mentre la guerra continua, gli archeologi della Grande Guerra cercando di difendere dignità e memoria, non vedono alternativa. «Può sembrare di cattivo gusto - ha dichiarato lo studioso fiammingo Sam de Decker -, ma è sempre meglio quando gli diamo un nome: è un milite ignoto in meno».