Davide Giacalone, Libero 09/11/2014, 9 novembre 2014
MA IO VORREI PIÙ LUSSEMBURGO DA NOI
All’interno dell’Unione europea il fisco è oggetto di concorrenza. Poteva andare bene fino alla fine del secolo scorso, meno avendo in tasca una moneta comune. Il bello della concorrenza è che da qualche parte si paga meno. La concorrenza diventa nociva quando è sleale. Ed è questo che deve essere rimproverato al Lussemburgo, e per esso a chi lo ha lungamente governato e che ora è capo della Commissione europea: Jean Claude Juncker. Vantaggi fiscali comparati si trovano in molti paesi europei. Mi dispiace che non se ne trovino in Italia. Ne avevamo uno piccolino, relativo al risparmio, e lo abbiamo cancellato. Se vogliamo chiamarli «paradisi fiscali» facciamolo pure, ma ricordiamoci che ce ne sono elementi non solo in Lussemburgo, ma anche in Olanda, Irlanda, Portogallo, Regno Unito, Austria,Malta, Cipro. E non è un elenco completo. Si è indotti a credere che i vantaggi fiscali esistano solo per i ricchi e per le società grosse, ma non è così: il Portogallo offre un vantaggio fiscale (tasse zero) ai pensionati non portoghesi che vanno a vivere colà. Nel Regno Unito i fondi accumulati per la pensione, fino a un certo tetto, sono totalmente esentasse; in Austria le agevolazioni valgono anche per le piccole aziende che vi traslocano; nelle istituzioni finanziarie che amministrano i vostri fondi pensione e i vostri risparmi è garantito che ci siano società lussemburghesi, delle quali indirettamente profittate. E così via. Sul lato «ricchi» la Francia non fece a tempo a introdurre una demenziale tassa che già un folto drappello prese residenza in Belgio. Tutti questi paesi sono membri dell a Ue e, naturalmente, concorrono a determinare e popolare le istituzioni dell’Unione. Commissione compresa. Si devono tenere fermi due concetti: a) lo spazio comune, con libera circolazione di persone, beni e soldi comporta una armonizzazione fiscale; b) questo non deve avvenire allineandosi ai peggiori, il paradiso è preferibile all’inferno. Tutto bene, quindi, in capo al Lussemburgo e a Juncker? No, ma non perché debbano uniformarsi all’inferno, bensì perché lo creano, sotto forma di caos e opacità. Vediamo perché. I punti delicati sono due: il fatturato interno a un gruppo e gli accordi fiscali preventivi. Immaginiamo un gruppo (ce ne sono centinaia) che ha società italiane e lussemburghesi: siccome in quel Paese si pagano tasse minime o nulle sui profitti, scelgono di tenere tutti i costi sui conti italiani e tutti gli utili su quelli lussemburghesi. È una truffa, se riesci a dimostrarlo. Sarebbe folle criminalizzare quelli che hanno società lussemburghesi, ma non è facile dimostrare la falsa fatturazione infragruppo. Specie se le autorità del Granducato non collaborano. E quelle non collaborano perché approfittano di un gettito fiscale altrimenti, per loro, inesistente. Tanto che offrono la possibilità di trattare in anticipo condizioni personalizzate: l’interessato si reca presso l’ufficio preposto, espone il tipo di società che vuole trasferire e quanto pensa di volere pagare, quelli considerano e negoziano, raggiungendo un accordo di tax ruling. E questa è concorrenza sleale. Tanto che la Commissione europea ha contestato proprio i vantaggi selettivi, ovvero le regole non scritte ma pattuite, non per tutti ma per alcuni. E chi c’è oggi, a capo della Commissione? Un signore, Juncker, che quel sistema ha lungamente accudito, se non proprio creato. In tutti i paesi della Ue ci sono interessati a lasciare le cose come stanno. In tutti ci sono società che, ove cacciate dal Lussemburgo, non tornerebbero in patria, ma si cercherebbero casa in altri paradisi fiscali. Ciò, però, non può consentire un trucco per ottenere il Paese con il più alto reddito pro capite e il più basso debito pubblico. È impensabile che guidi gli altri, ma che anche solo ci conviva. Questo è il gigantesco problema. Preesisteva alla presidenza Juncker e non è limitato al solo Lussemburgo. Lo scriviamo da anni, sia con riferimento a quel Paese (si pensi alla scalata di Telecom Italia) che ad altri (avvertimmo all’epoca del default delle banche cipriote). È divenuto lampante. Bene, ma sempre a patto che si vada verso la diffusione del paradiso, non verso la socializzazione dell’inferno.