Massimo Restelli, Il Giornale 08/11/2014, 8 novembre 2014
COSÌ FUNZIONA L’EDEN DELLE TASSE MA CHI CI ENTRA NON È UN EVASORE
Ogni «club» che si rispetti ha una porta d’accesso e quella che devono varcare le aziende e i «paperoni» di tutto il mondo per godere della magnanimità del fisco del Lussemburgo, di fatto tra i meno esosi del Pianeta, è quella della Societè 6 al civico 18 di rue du Fort Wedell. È in questo bureau d’imposition, a due passi dalla stazione ferroviaria, che il funzionario preposto vaglia i decisivi tax ruling.
Si tratta dei «patti fiscali» tra la singola impresa (o privato cittadino) e l’Agenzia delle entrate del Granducato, in cui si stabilisce di comune accordo una tassazione in deroga all’aliquota formale del 29% in vigore nello piccolo Stato europeo. Un sistema ben oliato e che «non ha nulla di illegale», sottolinea Francesco Giuliani dello studio Fantozzi, ricordando come il Lussemburgo non sia un paradiso fiscale in senso classico.
La «generosità» del Granduca costa però molto cara agli altri Paesi del Vecchio Continente in termini di mancato gettito sugli utili e dividendi delle aziende che chiedono asilo nella cittadina. Come dimostrano in modo plastico le decine, a volte centinaia di targhe societarie che affollano i portoni del Granducato: sono 11mila le casseforti domiciliate tra le strade di Lussemburgo e 150 le banche.
Secondo alcune stime l’ammanco totale per gli altri condòmini dell’Eurozona arriva a 1.400 miliardi; da qui le vibrate proteste che gli altri Stati hanno inviato a Bruxelles, ipotizzando che il sistema nasconda aiuti di Stato. Non esistono comunque limiti di fatturato o di altra natura per inoltrare la domanda e sperare che rue du Fort Wedell apponga il timbro «lu et apprové» («letto ed approvato»).
Ogni porta, però, ha una serratura che si schiude soltanto se si ricorre alla giusta chiave. Ecco perché chi decide di prendere casa nel Granducato non può esimersi dallo stabilire un contatto (e pagare la relativa parcella) con uno degli esclusivi e gelosissimi consulenti locali, cui affidare appunto la stesura del tax ruling: i costi una tantum, secondo alcune stime, oscillano tra i 10mila e 50mila euro. Una cifra considerevole ma in un’ultima analisi trascurabile, se questo significa strappare il biglietto d’ingresso per un Paese dalle tasse ridotte all’osso e che non fa decine di successivi accertamenti fiscali.
La stesura dell’atto è preceduta da una serie di incontri tra i legali e il cliente, con una particolarità determinante: a differenza di quanto accade in altri Paesi, è lo stesso advisor di stanza nel Granducato «che redige materialmente il ruling da sottoporre al bureau d’imposition al fine di ottenerne l’approvazione», sottolinea l’avvocato Jean Paul Baroni dello studio Simonelli Associati. In sostanza un efficace lavoro di squadra, che contribuisce alla prosperità del Lussemburgo: i suoi 550mila sudditi sfoderano un reddito procapite di 110mila dollari, il più elevato al mondo, a fronte di un debito pubblico fermo al 23% del Pil. Il ruling è un atto «ispirato alla reciproca convenienza tra il contribuente e il Granducato, che ha così certezza delle entrate e favorisce l’occupazione», riassume Giuliani. Quanto alle tipologie societarie che trasclocano più di frequente, oltre naturalmente alle multinazionali e alle holding (come quella del papà di Luxottica, Leonardo Del Vecchio o della famiglia Ferrero, i proprietari della Nutella), ci sono marchi, brevetti e più in generale i «beni intangibili» o collegati alla proprietà intellettuale. Ecco perché hanno un indirizzo nel Granducato buona parte delle big company italiane.
La cittadina dove l’austerità dei palazzi nobiliari si mescola con la levità dell’architettura moderna, resta poi meta ambita per quanti vogliono schermare i propri averi con piramidi e matrioske: i meccanismi a disposizione sono diversi e possono contemplare scatole cinesi o trust di complessità crescente, ma - prosegue Baroni - i sistemi principali restano il «negozio fiduciario» e quello delle «azioni al portatore». Un modo pratico, per tenere i propri affari al riparo da sguardi indiscreti: la stessa Camera di commercio fornisce una parziale visura sui bilanci, ma difficilmente si lascia scappare informazioni dettagliate sul libro soci.
In attesa di capire quale piega prenderanno gli accertamenti avviati da Bruxelles sul Paese, quello che resta ad oggi è che il Granducato ha garantito la sua prosperità, con un raffinato sistema fiscale e burocratico in giacca e cravatta comunque lontano dagli eccessi dei paradisi fiscali d’elezione come le isole Cayman. Forse all’Italia, e al governo Renzi, converrebbe plasmare un fisco più giusto e meno nemico di chi risparmia o fa impresa. Così da chiudere il recinto prima che tutti i buoi siano irreparabilmente fuggiti.