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 2014  novembre 09 Domenica calendario

NO AL RITIRO A «SOLI» 70 ANNI GLI AVVOCATI DELLO STATO FANNO CAUSA AL MINISTERO


Che il ministro della Pubblica amministrazione Marianna Madia se lo dovesse aspettare, non c’era proprio alcun dubbio. Dopo il fuoco di sbarramento scatenato dagli avvocati dello Stato contro le misure che li riguardavano contenute nella riforma della pubblica amministrazione, un ricorso al Tribunale amministrativo era il minimo. Invece ne sono arrivati addirittura cinque, in cinque Tar diversi. E il bello è che ognuno di quei tribunali, per la serie «certezza del diritto», ha preso una decisione diversa. Con il risultato finale che la norma per mandare in pensione gli avvocati dello Stato al compimento dei settant’anni di età già a partire dal 31 ottobre scorso è ora bloccata.
I primi a fare ricorso, per giunta, non sono stati due esponenti qualsiasi dell’Avvocatura, bensì due vice Avvocati generali: Giuseppe Nucaro, 73 anni di età, e Raffaele Tamiozzo, anch’egli settantatreenne. Ovvero i più alti in grado dopo l’Avvocato generale, incarico ricoperto fino al 31 ottobre, data del pensionamento, da Michele Dipace (74 anni). Subito seguiti, Nucaro e Tamiozzo, dagli avvocati dello Stato distrettuali di Bologna, Caltanissetta, Milano e Napoli.
Le motivazioni? Si va dalla presunta violazione di una direttiva comunitaria che ha bocciato la legge ungherese sul pensionamento dei giudici, alla contestazione del fatto che una cosa del genere possa essere decisa per decreto, per arrivare a mettere in discussione la legittimità costituzionale di un intervento su quelli che sono considerati «diritti soggettivi». Su tutte, l’irritazione perché mentre i magistrati hanno ottenuto una deroga di un anno al pensionamento dei settantenni, gli avvocati dello Stato, che sarebbero a loro equiparati pur avendo una funzione del tutto diversa, non sono riusciti a spuntarla.
E come sono articolate le motivazioni, così sono curiosamente variegate le decisioni dei giudici amministrativi. I Tar del Lazio e della Lombardia, chiamati a esprimersi sulle lamentele dei due vice avvocati generali e del loro collega di Milano, hanno rigettato la domanda di sospensiva dell’entrata in vigore della tagliola. Ma il presidente del consiglio di Stato Giorgio Giovannini, al quale è stato prontamente proposto appello contro la decisione dei Tar, ha invece accolto la richiesta con un decreto monocratico: senza cioè una decisione collegiale, per la quale è stata convocata la camera di consiglio il 19 novembre.
Dal canto suo il Tar siciliano deciderà sulla sospensiva il prossimo 11 novembre. Mentre il Tar della Campania, diversamente da Giovannini, ha respinto il ricorso dell’avvocato distrettuale di Napoli, giudicandolo del tutto infondato. Al contrario il Tar dell’Emilia Romagna ha accolto l’istanza di sospensione avanzata dall’avvocato di Bologna. Ma non si è limitato a questo: ha infatti sollevato la questione di legittimità costituzionale e disposto la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Scontato, a questo punto, che il prossimo 19 novembre il Consiglio di Stato confermi la sospensiva in attesa della decisione della Consulta. E ora quel pezzo della riforma della pubblica amministrazione, dopo che negli ingranaggi è stata buttata tutta quella sabbia, resta con il motore fermo.
La vicenda ha aspetti inevitabilmente paradossali. A cominciare da quello di avvocati dello Stato, il cui compito è appunto difendere le ragioni dello Stato, che fanno causa allo Stato medesimo per difendere le proprie ragioni innanzitutto anagrafiche. Arrivando ad argomentare, in qualche ricorso, che il pensionamento dei settantenni non potrebbe produrre l’atteso ricambio generazionale perché c’è il blocco del turnover.
Tesi che il sottosegretario alla Pubblica amministrazione Angelo Rughetti non condivide affatto: «Questa storia è la dimostrazione di quanto sia faticoso cambiare il Paese. Le resistenze sono fortissime e dappertutto. Ma noi andiamo avanti. Siamo determinati a dare spazio, in nome del merito e della contendibilità dei luoghi di responsabilità, a chi in questi anni ha avuto la strada sbarrata dalle logiche ferree dell’anzianità e della cooptazione. Vogliamo passare dalla legge del ‘no amici, no carriera’, alla regola del ‘no merito, no carriera’». Auguri.