Stefano Lorenzetto, il Giornale 9/11/2014, 9 novembre 2014
Intervista a Vincenzo Martarello L’eterno riposo non è più tale. Chi pensava, esalando l’ultimo respiro, di garantirsi un po’ di tranquillità, farà bene a rinviare il decesso
Intervista a Vincenzo Martarello L’eterno riposo non è più tale. Chi pensava, esalando l’ultimo respiro, di garantirsi un po’ di tranquillità, farà bene a rinviare il decesso. Per i morti si prospettano tempi movimentati. A Roma l’agenzia di funeral products Taffo trasforma le ceneri del caro estinto in un brillante da infilare al dito, ciò che rende plasticamente evidente la tesi di uno spot televisivo della De Beers in onda negli anni Novanta: «Un diamante è per sempre». Opportunamente trattato con il carbonio in un laboratorio svizzero, «stavolta tuo marito non potrà dirti di no», assicura la sorridente signora nerovestita che ne esibisce i resti luccicanti all’anulare della mano destra sui manifesti pubblicitari affissi nella capitale. Ma anche a Verona non scherzano. Bocciato a Milano dalla giunta Pisapia, ha trovato subito udienza presso il sindaco Flavio Tosi il progetto di Pier Giulio Lanza, figlio di quell’Ugo Lanza che con Marcel Bich comprò il brevetto della penna a sfera inventata dall’ungherese László Biró (perciò chiamata Bic o biro) e commercializzò il primo rasoio usa e getta. Si chiama Cieloinfinito, «una svolta in un servizio fermo a Napoleone Bonaparte», lo definisce il suo ideatore. Si tratta di un edificio di 35 piani, in grado di ospitare 23.908 salme, rinfrancate dal fatto di poter restare un centinaio di metri sopra la terra, anziché sotto, e anche di contare sui conforti religiosi del cappellano, alloggiato nell’attico. Non poteva che accadere nella città natale di Emilio Salgari, il quale nel 1903, in un racconto firmato con lo pseudonimo «cap. Guido Altieri», La torre del silenzio, immaginò qualcosa di simile: «Halnali aveva subito fissati gli sguardi su una immensa torre che s’alzava quasi in mezzo alla jungla. Era una costruzione enorme, di forma circolare, alta una trentina di metri, tutta bianca e senza finestre. Al di sopra si vedevano volare numerosi punti scuri, i quali s’abbassavano e si rialzavano senza posa e senza mai allontanarsi». I «punti oscuri» altro non erano che marabù, uccelli deputati a spolpare i cadaveri esposti sulla sommità del torrione secondo l’usanza dei Parsi. Un rischio che i defunti veronesi, blindati in normali loculi, non correranno. Tutt’al più il loro sonno sarà disturbato dalle mostre d’arte organizzate in un apposito spazio, che è stato previsto all’interno di Cieloinfinito così da suscitare in molti casi sentimenti di pietà nei visitatori delle medesime. Ma perché salire in cielo solo metaforicamente, fermandosi magari al 34° piano, quando la balistica mette a disposizione orizzonti illimitati? È la domanda che dev’essersi posto Vincenzo Martarello, titolare dell’omonima ditta di fuochi artificiali ubicata ad Arquà Polesine (Rovigo), dov’è nato nel 1958. La risposta - trovata con la collaborazione dell’amico Alessandro Zanirato, 44 anni, che ha una ditta di pompe funebri nella piazza della chiesa, e subito concretizzata in una Snc, Maza, dalle sillabe iniziali dei loro cognomi - è stata Sweet fly in the sky, dolce volo nel cielo, un modo inedito per congedarsi dalla persona amata, sparandola letteralmente oltre le nubi, nell’empireo, fra una pioggia di lapilli multicolori e con un botto capace di superare, quanto a decibel, anche la più possente delle campane da obito. Scenograficamente disperse nell’etere le ceneri che erano state racchiuse in un voluminoso mortaretto di carta color carminio, ai congiunti del trapassato resta come ricordo consolatorio l’artistico cannoncino - una specie di cippo metallico ornato dalla targa d’ottone con nome, cognome, date di nascita e di morte - che è servito per il lancio in orbita. La carica esplosiva è telecomandata. Il doloroso ma anche gioioso compito di pigiare il tasto «fuoco» sulla consolle è riservato al più prossimo dei parenti. Disgrazia vuole che il vescovo di Adria e Rovigo, Lucio Soravito de Franceschi, ci sia rimasto male: «Ho appreso la notizia dalla televisione. Mi ha colpito moltissimo, è una cosa davvero strana, ma non in senso positivo. Dalle mie parti, in Friuli, le ceneri si conservano con rispetto». Martarello è costernato: «Io sono cattolico, tanto cattolico. E praticante. Devo andare dal pastore della diocesi a spiegargli che non intendo né sostituirmi al sacerdote né celebrare funerali pirotecnici. La dispersione delle ceneri in cielo è una cerimonia privata, successiva al rito religioso». Convinto che i fuochi post esequiali siano di gran lunga preferibili a quelli fatui, Martarello ha una certa consuetudine con la tromba del giudizio, avendo studiato per tre anni questo strumento nel Conservatorio Francesco Venezze. «Purtroppo poi mi sono rovinato l’impostazione durante la naia in fanteria a Udine, nella banda della divisione Mantova». A quel punto non gli restava che abbracciare l’arte di famiglia, inaugurata dal nonno Giovanni nel 1921 e proseguita dal padre Coriolano, tanto diffusa da queste parti da aver meritato a Rovigo l’appellativo di «Napoli del Nord». In quanti producete fuochi artificiali? «Tra Arquà Polesine, Melara, Bergantino e Pincara ci campano un centinaio di famiglie. Mio papà ebbe cinque figli, di cui i primi quattro maschi, tutti dediti agli spettacoli pirotecnici. Il maggiore, Alfredo, dagli anni Novanta fa questo mestiere a Liuyang, in Cina». Non ha senso. I fuochi vengono da là. «Appunto. Siccome la concorrenza cinese esportava prodotti di scarsa qualità a basso prezzo, ci siamo detti: se dobbiamo morire, meglio farlo con la roba nostra. E siamo andati a produrre il materiale pirotecnico nella provincia di Hunan, dove gli operai sono pagati a cottimo. Cinque anni fa abbiamo separato i nostri destini. Alfredo ha deciso di rimanere a Liuyang. Io continuo l’attività qui con mio fratello Ermes. Poi c’è Giovanni che ha una ditta per conto suo». È facile lasciarci le penne maneggiando razzi e castagnole? «L’80 per cento del pericolo riguarda la produzione, non lo spettacolo. Ogni famiglia conta i suoi morti. Mio zio Adolfo perì nel 1988 per uno scoppio in fabbrica. Analoga sorte era toccata a un operaio dieci anni prima. Io stesso ho un braccio e una gamba ustionati». A che età ha cominciato? «Avrò avuto 5-6 anni quando mia madre mi mise a impilàr le canète». Che significa? «Infilare le micce nere dentro il passafuoco di carta». Mamma poco prudente. «Non direi: ha 84 anni e gode di ottima salute. Del resto, che altro poteva fare, poveretta? Mio padre morì di malattia a 43 anni e lei dovette prenderne il posto per non farci patire la fame. Nel Rodigino ancora se la ricordano come “la Maria dei foghi”. Arrivava alle sagre con l’auto carica di fuochi artificiali, portandosi appresso i cinque figli piccoli». Lei ha fatto lo stesso con i suoi? «Essendo tre femmine, no. Però una, Michela, s’è aperta un’azienda a Rimini con un mio ex dipendente, la Pyroemotions, e ha avuto l’onore d’essere chiamata, lo scorso 20 settembre, a celebrare con uno spettacolo pirotecnico i 50 anni dell’indipendenza di Malta». La figlia ha superato il padre. «Calma! Sono appena tornato da Valencia, dov’ero invitato alla festa che ha radunato, come da tradizione, i pirotecnici di tutta la penisola iberica. In Spagna, soprattutto nei Paesi baschi, mi considerano un’autorità nel ramo. Mi hanno chiamato a fare spettacoli a Bilbao, a San Sebastian, ovunque. Ma vado spesso anche nell’America del Nord, da Montreal ad Acapulco. Ora parto per Città del Messico: ci apro una consociata». Che cosa cerca la gente nello spettacolo pirotecnico? «Il sibilo, il botto, la meraviglia, il colore. Divertimento e adrenalina. Per me è musica, è arte, è vita. Vedo il cielo come una tela e io sono il pittore». Tariffe? «Da 2.000 euro per una decina di minuti fino ai 12 milioni che ha speso il Kuwait per celebrare i 50 anni della Costituzione. Erano 77.282 razzi». Come fa a tracciare simboli e parole nell’aria? «Segreto». Gli intervistati reticenti mi irritano. «Il fuoco è fatto di colori. Le materie prime sono i sali dello stronzio per il rosso, il clorato di bario per il verde, il carbonato di sodio per il giallo, e così via. Mischio polveri, acqua e collante, ricavando delle palline che metto a seccare. Da come vengono poi disposte nel cartoccio, dipendono le figure che compariranno in cielo. La bravura consiste nel calcolare la carica esplosiva giusta». I botti fanno impazzire cani e gatti. «Balle. Gora, la mia cagnolina, mi ha seguito per 13 anni in tutti gli spettacoli, tre o quattro al mese. È morta di vecchiaia». La sua ditta risente della crisi? «E me lo chiede? Non è che manchi il lavoro, pur calato di un 20 per cento. È che la gente non paga. Dai 30 giorni per il saldo di una fattura siamo passati a 180, e oltre. Un dramma, quando tutti i mesi devi preparare lo stipendio a una quarantina di collaboratori». Con Sweet fly in the sky è andato sul sicuro. La morte non conosce crisi. «Per la verità ci pensavo dal 2001, da quando entrò in vigore la legge che autorizza la dispersione delle ceneri. Una sera ero a cena con Zanirato. Alla fine, mezzo ciucco, gli ho esposto il progetto. “Si può fare”, mi ha risposto. Ci siamo messi al lavoro per risolvere le questioni tecniche e lo abbiamo registrato, prima alla Camera di commercio di Rovigo e poi all’Ufficio brevetti e marchi presso il ministero dello Sviluppo economico». Ma la legge 130 del 2001 non prevede che i defunti siano sparati in cielo. «Ma nemmeno vieta di farlo. Stabilisce semplicemente che la dispersione in aree private debba avvenire all’aperto oppure in mare, nei laghi e nei fiumi nei tratti liberi da natanti e da manufatti». Le ceneri non restano in cielo: ricadono sulla testa dei vivi. «La legge vieta la dispersione nei centri abitati. Ma poi non stiamo camminando tutti i giorni, senza farci caso, sui 100 miliardi di uomini che ci hanno preceduto negli ultimi 4.000 anni di storia?». Giusta osservazione. «La nostra idea non è nata per l’Italia, bensì per il mondo. Solo in Europa la morte è associata alla tristezza. In Messico ho assistito a un paio di funerali: la veglia al defunto dura tre giorni, con parenti e amici che mangiano, bevono, scherzano e ridono seduti intorno alla bara». Per trasformare il caro estinto in fuoco d’artificio bisogna che prima abbia deciso di farsi bruciare. «Da quando Paolo VI ha ammesso la cremazione, in un piccolo paese come il nostro, pur legato alla tradizione, viene scelta da 20 su 100. In città siamo a 50». Per forza, i parenti vogliono risparmiare. «In effetti per il cofano destinato al forno crematorio non si spendono più di 500 euro. E se un loculo a Rovigo costa 2.500 euro, per una celletta ne bastano 300». Le ceneri di un uomo quanto pesano? «Un chilo e mezzo, secondo Zanirato». Ha già clienti sulla rampa di lancio? «Mi è arrivata una richiesta di preventivo da un signore di Parma, vivente». Costo dell’ultimo viaggio verticale? «Per uno Sweet fly in the sky nella zona di Rovigo 1.000 euro bastano e avanzano. Più devo allontanarmi dalla mia provincia e più la spesa sale». Don Bruno Cappato, direttore del foglio diocesano La Settimana, le ha ricordato che le ceneri vanno trattate «con dignità» e che «il senso del funerale è il rispetto del corpo come tempio di Dio». «E viene a dirlo proprio a me che ho sempre mandato le figlie a messa la domenica? Come glielo devo spiegare che la dispersione delle ceneri non riguarda il funerale? Comunque ha aggiunto che il diritto canonico non la vieta. Un mio collega di Bovolenta, Biasin, chiese morendo: “Vorrei i fuochi d’artificio mentre vengo sepolto”. Fu bellissimo. La gente piangeva». Le idee innovative - dai fuochi d’artificio al cimitero verticale - puntano verso il cielo, mai verso la fossa. Perché? «Per quanto ne so, il paradiso potrebbe essere anche orizzontale, rasoterra, dappertutto». Ma lei ha lasciato scritto che vuole essere sparato nell’alto dei cieli? «Non ci ho ancora ragionato. Da una vita penso solo agli altri». Ci pensi ora. «Mi lasci il tempo...». (Interviene Zanirato: «Io voglio essere sparato»). Tempo scaduto. «Un bel salice piangente». Vuol essere inumato sotto un salice? «No, un fuoco d’artificio di quella forma». E se dovesse venirle a mancare una persona cara, non preferirebbe una lapide su cui pregare? «Mia madre si è già comprata la tomba di famiglia per stare vicino a suo marito. Ci vuole tutti lì. Mi sa che dovrò lasciarle almeno una fotografia». Stefano Lorenzetto LORENZETTO Stefano. 58 anni, veronese. È stato vicedirettore vicario del Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café per la Rai. Scrive per Il Giornale, Panorama e Monsieur. Ultimi libri: Buoni e cattivi con Vittorio Feltri e L’Italia che vorrei (entrambi Marsilio). LORENZETTO Stefano. 58 anni, veronese. Prima assunzione a L’Arena nel ’75. È stato vicedirettore vicario di Vittorio Feltri al Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café per la Rai. Scrive per Il Giornale, Panorama e Monsieur. Quindici libri: Buoni e cattivi con Vittorio Feltri e L’Italia che vorrei (entrambi Marsilio) i più recenti. Ha vinto i premi Estense e Saint-Vincent di giornalismo. Le sue sterminate interviste l’hanno fatto entrare nel Guinness world records.