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 2014  novembre 09 Domenica calendario

“PIACERE, ALBA: SE NON VI VADO NON ME NE IMPORTA NULLA”

[Intervista ad Alba Parietti] –
Promemoria via sms poche ore dopo l’intervista: “Cattelan a Torino ha esposto il mio culo e Helmut Newton al museo di Berlino due foto con me, unica italiana. Ovviamente ne sono fiera”. Della giovinezza, Alba Parietti spera di aver conservato il lusso di ignorare l’opportunità: “Avrei dovuto travestirmi da signora rassicurante, ma fin dagli anni del liceo sono sempre stata in odore di anarchia. Non l’anarchia di chi non sa che cazzo dire e pur di non prendere posizione, nel terrore che il vento cambi, preferisce arruffianarsi l’intero arco costituzionale. Ma quella di chi rispetta la libertà, lo spazio e l’identità degli altri senza rinunciare mai a dire quello che pensa. Quando sento gli ipocriti in malafede sostenere seri ‘siamo anarchici’ mi vien da ridere. Ma dove siete anarchici? Anarchici ‘sto par de coglioni”.
Con l’alternanza circense di chi passa dal termine ‘dicotomico’ alla voluttuosa parolaccia dialettale, la trapezista del giugno ’61 Parietti Alba, “nata al Sant’Anna di Torino con Rodolfo De Benedetti proprio nella culla a fianco” ha custodito il dono dell’autoironia: “Quando faccio una citazione ne sbaglio sempre un pezzo” imparando lentamente a dirsi la verità: “Ho cercato l’amore della mia vita, ma alla fine, come tutti i narcisi, fuggendo a gambe levate da qualsiasi dipendenza, l’ho trovato in me stessa. Ho amato follemente gli eroi della mia giovinezza. Mio padre, un partigiano che a scuola era l’unico a non vestirsi da Balilla e mio nonno, pestato dalle camicie nere perché quando passavano gli scagnozzi del Fascio, lui il cappello non se lo toglieva. Poi, come era ovvio, nella vita reale, davanti agli uomini veri, mi sono cadute le palle”. Il genere maschile, colpevolmente distratto nell’estate dell’83 (Parietti assisteva inerme ai languori sentimentali di Jerry Calà e Marina Suma in Sapore di mare dei Vanzina) la scoprì definitivamente sette anni dopo. La piccola vedetta piemontese e le sue gambe osservavano il calcio italiano dallo sgabello di Galagoal. Nel paludato mondo delle giacche a scacchi, della noia e delle moviole domenicali, la velocità di Alba fece tramontare i vecchi schemi, turbò l’immaginario collettivo: “Ho fatto diventare cieca una generazione” e alla “madonna dei camionisti” dipinta da Oreste Del Buono restituì un trionfo popolare: “Un successo da papessa. Intervistavo Pelé e Maradona, mi offrivano pubblicità e film, apparivo sul New Yorker. Pensavo che tutto mi fosse dovuto e ovviamente non era così”.
Tutto grazie alle cosce, dicevano.
Molta invidia, tanta miseria. C’è gente che a distanza di anni non ha ancora smaltito l’effetto del Maalox. Per fortuna, di farmi restare con i piedi per terra si incaricava mia madre. Più papà manifestava fierezza smodata, più lei strappava la fotografia. Più cercavo di fare la figa, più mi ridicolizzava. Nel dolore – l’ho provato – mi ha fatto bene. Mia madre nascondeva complessità profonde e tra ascendenze nobiliari, originalità, episodi letterari e scrittura altissima covava uno spiccato germe di follia. Mio zio era schizofrenico, in casa si respirava la misteriosa instabilità della psiche.
La turbava?
Per tutta l’infanzia ho temuto la pazzia che mi circondava e ho provato un senso di vergogna che oggi leggo meglio. Quando a 35 anni, dopo la morte di mio padre che credevo invulnerabile, ho varcato per la prima volta la porta di una psicanalista le ho detto subito che potevamo prepararci a qualunque consuntivo, ma alla fantasia che mi aveva trasmesso mia madre, una donna a cui devo tutto, una persona diversa dalle altre nel senso migliore del termine, non avrei rinunciato.
Sente di avercela fatta?
Credo di aver avuto coraggio. Non mi sono risparmiata. Mi sono presa le mie responsabilità. Ho espresso le mie opinioni quando tutti mi consigliavano di tapparmi la bocca e stare zitta. Ho denunciato i carabinieri che avevano menato mio figlio e vinto la causa. Sono una rompicoglioni, non sopporto le ingiustizie, mi faccio rispettare. Sono trent’anni che mi danno per morta, ma ho le spalle larghe. Le cattiverie mi feriscono, ma non mi ammazzano. E non mi uccidono neanche le ingratitudini.
Quali ingratitudini?
Ho difeso praticamente tutte le minoranze d’Italia. Sposo le cause, vengo scaricata e la prendo regolarmente nel culo. Ma non fa niente. Non voglio piacere né convincere, men che mai dipingermi da vittima. So chi sono, cammino a testa alta e sono sicura che la gente mi capisce. A me piace la Erin Brokovich di Julia Roberts. Non aveva la laurea, ma sapeva spiegarsi benissimo.
Con la sinistra italiana l’incomprensione è ad esempio datata.
Da un certo mondo sono stata sempre percepita e guardata come la puttana che porti in giro di notte e di giorno sei costretto a nascondere. Negli anni ho capito quanto fossero snob e bigotti i presunti rappresentanti della sinistra italiana. Non è bastato neanche che rinunciassi ai nove miliardi che mi offriva Berlusconi. Non è cambiato niente. La verità è che non mi hanno perdonato di aver scaldato gli istinti più bassi degli intellettuali. Quelli perdevano la testa e i censori con la puzza sotto il naso insorgevano. Oggi Berlusconi e la sinistra governano insieme. Se l’avessi saputo, Mortacci loro. (Ride)
Come andò ad Arcore nel 1992?
Avevo subìto il lavaggio del cervello da Stefano Bonaga. Una capa tanta: ‘Qualunque cosa ti offra, non accettare’. Mi aveva presentato Berlusconi come il demonio, ero rimasta condizionata dal martellamento e al contrario di Stefano, tutto abbracci e pacche sulla spalla con Silvio fin dal primo minuto, fui molto antipatica. Un peccato. Berlusconi al contrario, da allora e negli anni a venire, con me fu simpaticissimo. Si prestò al tour della villa e nel castello incantato, al momento del dunque, fu generoso. A Mediaset però non andai. Dissi no, grazie.
Berlusconi era atterrito dal diniego?
Credo sollevato. Adriano Galliani, presente all’incontro, invece era attonito. Non voleva credere che avessi dato un calcio alla fortuna. Anni dopo, dello stesso tema discussi con Briatore, un simpatico mascalzone, un ospitale figlio di buona donna. Eravamo sulla sua barca e Flavio, dal nulla, attaccò con la solfa: ‘Hai fatto proprio una cazzata a rinunciare a quei soldi, se fossimo stati insieme non te l’avrei mai permesso’.
Risposta?
‘Non avrei mai potuto fidanzarmi con te e quindi non avresti potuto impedirmi un bel niente’. La Santanchè, presente, era livida: ‘Perché allora invece di star qui non vai sulle spiaggette con gli operai?’.
Rispose anche a Daniela Santanchè?
Le dissi che avendo guadagnato i miei soldi onestamente e senza compromessi, non dovevo vergognarmi di niente. Che dipendeva da dove venivano, i soldi. Il denaro non è una colpa. Lo diventa soltanto se è sporco. Se è sterco.
I soldi di Berlusconi comunque non arrivarono.
Beppe Caschetto, il mio agente dell’epoca, ancora suda. Beppe, cresciuto alla grande scuola di Bibi Ballandi, uno che vezzosamente si vanta di avere la terza elementare e se li mette ancora tutti in tasca, capì in fretta come trattare a certi tavoli e in quel periodo, con me, entrò nel mondo dello spettacolo dalla porta principale. Fu bravo, si diede un gran daffare e come direbbe Crozza, passò rapidamente a farsi i cazzi suoi. Costruì la sua squadra e contestualmente il suo personaggio. Quasi nessuno degli artisti da lui curati riesce a parlargli al telefono. Il dato sembra secondario, ma fa parte dell’attrazione che porta quasi tutti i nomi di punta della tv italiana a stare con lui. La prima volta che non risponde ti infuri e ti chiedi: ‘Ma come si permette?’. La seconda osservi: ‘Però se si permette, significa che forse se lo può permettere’. Certe stelle, maltrattate, vanno in estasi.
Lei si arrabbiava o cedeva alla Sindrome di Stoccolma?
Scappavo. Ci dividemmo proprio perché quando Caschetto serviva, non lo trovavo mai.
Alba la litigiosa.
Con Caschetto non ho litigato, con altri sì. Il primo serio vaffanculo e mi dispiace perché era una persona perbene, lo dissi a Brando Giordani. Riferì a Caschetto che dovevo stare attenta, ‘ricordale che non ha santi in paradiso’. Io ribattei con frasi terribili. Se penso agli alterchi con lui, con Guglielmi, con Freccero, con Fuscagni o con Boncompagni, il ricordo è dolce. Discutere anche aspramente con le teste pensanti era un onore. Con altri, penso a Mauro Mazza, non ne valeva la pena. Una notte a Sanremo arrivò un suo tirapiedi al Teatro Ariston per farmi alzare dalla poltrona. Di Mazza non mi frega una mazza, ma la lena dei suoi cortigiani zelanti impegnati a mancarmi di rispetto era insopportabile. Il suo servo sciocco fu volgarissimo: ‘Tanto hai fatto che sei riuscita a infilarti in prima fila’. Se escludo il viaggio parigino che mi maledico di non aver fatto con mia madre e la mancata risposta di quella sera, non mi pento di niente.
Neanche del ruolo di protagonista ne “Il macellaio” di Aurelio Grimaldi?
Il macellaio fa parte di quelle cose di cui tutti dovremmo pentirci. Fu un’occasione mancata. Volevo fare un film d’autore. I produttori lo scandalo che portasse la gente al cinema. È vero che passa molto in televisione e che non posso lamentarmi degli introiti dei diritti, ma non c’è italiano che non abbia visto il mio culo. Leggevo copioni che viravano sul porno e in cui la prima inquadratura era sempre, ma proprio sempre lì.
Torniamo all’Ariston. Cosa avrebbe voluto fare quella sera?
Reagire. Avevo guidato Sanremo per tre anni, non meritavo un trattamento del genere. Avrei dovuto alzarmi e dargli un cartone sul volto. Uno schiaffo. Questo avrei dovuto fare. Non lo feci, ebbi paura di essere marchiata, ma non ne vado fiera. Un tempo pensavo che la maleducazione andasse spiazzata con la gentilezza, che a chi ti fa del male si deve rispondere offrendo dolci e marmellata. Rischiavo il diabete e forse mi sbagliavo. Con certi stronzi non si può essere che stronzi, con alcuni non si può non essere violenti.
Sfiorò lo scontro fisico anche con Sgarbi.
Vittorio è uno psicopatico con cui è divertentissimo dirsi qualunque cosa.
Siete colpevoli della chiusura del “Radio Belva” condotto da Cruciani e Parenzo.
Al limite abbiamo partecipato all’affossamento del programma. Parenzo e Cruciani sono due amici e in radio sono bravissimi. Però in televisione non basta un cursore abbassato per far tacere l’altro. Se vuoi domare due bestie come me e Sgarbi, i giochini radiofonici de La Zanzara non bastano. Avrebbero dovuto immaginarlo o almeno intuirlo.
Altre discussioni secche si registrano con Aldo Busi. Le nega anche una carica erotica: “Persino il fantasma di Tina Pica sarebbe più sexy”.
Figuriamoci. Mente sapendo di mentire. Secondo me la sua parte maschile mi si farebbe di corsa. Quella femminile invece mi somiglia. Finge di disprezzarmi, ma in realtà la soubrette che vorrebbe svaccare, sogna di esser vista mentre fa la lap-dance e abita l’intellettuale che è in lui, mi invidia. Sono meno colta di Busi, ma non mi sento meno intelligente.
Critico nei decenni anche Aldo Grasso: “È simpatica perché non sa fare nulla. Il bello della tv è che a volte la somma di tante inadeguatezze crea dei personaggi”.
Potrei dire lo stesso di lui, un signore che ha provato così tanto e invano a entrare in televisione e infine respinto, ha finito per scriverne. Alle volte la sua satira è divertente, altre meno. Nei miei confronti, per un certo periodo, nutrì un’ossessione ossessivo-compulsiva. Prima mi demolì, poi arrivò addirittura a negare la mia esistenza.
Ha guerreggiato anche con Antonio Ricci?
Discusso. Altro simpaticissimo figlio di buona donna, Ricci e dico di buona donna perché se dicessi di puttana insulterei gratuitamente l’incolpevole madre. Con Antonio faccio ancora lunghe chiacchierate. I liguri sono i peggiori in assoluto. Svelti, affabulatori, arguti. Dediti al fancazzismo, inclini al vaffanculo facile.
Altri liguri ascrivibili alla banda?
Freccero. Come Ricci è molto strutturato, furbo, rapido. Gente paracula? Paraculissima. L’emblema della paraculaggine che si fa intelligenza. Una categoria di immortali, i paraculi.
Vuole rimpinguare la squadra dei sempreverdi conosciuti da vicino? Costanzo? Boncompagni?
Se parliamo di Costanzo parliamo del Giulio Andreotti della tv. Un’entità veramente intoccabile che infatti non toccherò. Con Boncompagni ho lavorato a lungo e anche con lui, litigate selvagge. Non si può parlare di Gianni senza parlare dell’associazione a delinquere che lo vede abbracciato a Irene Ghergo. Entrambi intelligentissimi ed entrambi con un talento pari al carattere impossibile. Persone che a costo di bucarlo, il pallone in mano non te lo lasciano. Gente gelosa del proprio giocattolo. Ai tempi di Macao, con i ragazzi della trasmissione, veramente bravi, tentammo un esproprio creativo. Duellammo e perdemmo. Gianni era relegato in regia, Irene non riusciva a manovrarmi come faceva con la prima Ambra. Così Boncompagni preferì giocare all’autodistruzione e l’esperimento tramontò.
Le manca la conduzione di un programma?
In Rai non me lo affidano e a ben vedere, neanche altrove. Non so perché, ma non me ne cruccio. L’unico vantaggio della crisi sarà nella sperimentazione. Nelle idee economiche, facili da realizzare. Gli ultimi due programmi che ho condotto davvero, un Grimilde a costo zero inventato con Benincasa e Colabona in gran divertimento e Albaalloscuro, erano tentativi che in quella direzione andavano.
Ha visto l’esodo dei volti della tv italiana nell’albanese Agon Tv?
Ho visto e non mi stupisco. Con gli albanesi ho già lavorato, sa che Agon nella loro lingua significa Alba? Se mi richiamano vado ad ascoltare. La mia casa è dove mi fanno lavorare. Io esisto. Ci sono ancora e so ridere di me stessa. Ha letto Il Momento è delicato di Ammaniti? C’è un racconto, Alba tragica, in cui riempio le notti di un mio ammiratore e da icona del desiderio mi trasformo in animale squamoso. Nel suo carnefice. Una visione non del tutto sbagliata. Ha reso bene l’idea.
Della donna che è stata con gli uomini?
Fellini mi chiamava faccia da mascalzone, ma non credo di essere stata così tremenda. Con Franco Oppini, buono, simpatico e spiritoso, eravamo due ragazzi. Ci sposammo giovani. Sono contenta che sia il padre di mio figlio. Ridere è importante. Con lui e con Giuseppe Lanza di Scalea, principe dentro e fuori, la storia d’amore più bella della mia vita, è successo. Con altri ho riso meno. Con altri ancora, mi sono annoiata. Il mio incubo.
Vasco Rossi le ha dedicato una canzone.
Vasco è solo un amico, mai stati fidanzati. Non so perché mi abbia attribuito la genesi di Albachiara, ma so che mi ha dedicato Quanti anni hai. Un ritratto in cui mi riconosco.
In quella canzone di Vasco Rossi gli uomini non brillano.
Gli uomini di oggi sono deprimenti. Oppure irrisolti. Non va mai bene o almeno mai fino in fondo. E magari è colpa mia. Soffro di narcisismo, gliel’ho già detto. E i narcisi hanno i loro bisogni, sono così concentrati su una felicità che non arriva mai da riscoprirsi fragili, insofferenti e in definitiva incapaci di creare qualcosa di solido. Alla fine si resta delusi. Con Cristiano De André, un artista, più che un fidanzato un pezzo della mia carne, ho vissuto allo stesso tempo la felicità e la mortificazione sentimentale più profonda di cui abbia memoria. Per la prima sensazione lo ringrazio, la seconda preferisco dimenticarla. Sono dispiaciuta per come sono andate le cose, ma non porto rancore. C’era una strana alchimia con Cristiano. Pensi che suo padre era convinto che fossimo parenti. Io confrontavo le foto, scrutavo le somiglianze.
“Se mi fossi chiamata Antonio Parietti” – diceva – “e avessi portato i pantaloni invece della minigonna, nessuno si sarebbe accorto di me”.
Ero ignorante, ma assorbivo tutto come una spugna. Avevo e ho molti linguaggi. Parlavo bene e continuo a farlo con gli uomini e con le donne. In realtà, in qualche modo, sono stata anche Antonio Parietti. L’uomo che io avrei voluto incontrare e che tutti i miei uomini avrebbero voluto essere.
Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano 9/11/2014