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 2014  novembre 09 Domenica calendario

“LA MIA PIÙ GRANDE PAURA? I LATI OSCURI DELL’ANIMA”

[Intervista a Dario Argento] –
La sequenza geometrica degli omicidi, la risata inquietante del pupazzo meccanico, l’indimenticabile colonna sonora dei Goblin. A quarant’anni dalla prima uscita, la versione restaurata di Profondo rosso (a cura della Cineteca Nazionale e di Medusa) sarà presentata il 28, in anteprima, al pubblico del Tff: «È il film che mi ha reso famoso, e Torino è la città in cui è stato concepito e girato». Adorato da John Carpenter, da Quentin Tarantino e dai suoi epigoni, da Stephen King, da Banana Yoshimoto, e da un foltissimo esercito di ammiratori sparsi in tutto il mondo, il maestro dell’horror Dario Argento, romano, classe 1940, esordiente nel ‘70 con L’uccello dalle piume di cristallo, racconta che Profondo rosso nacque «dalla voglia di tornare al giallo», ma soprattutto da «un impulso feroce» che lo spinse a scrivere la sceneggiatura da solo, in una casa di campagna dove non viveva da tempo e mancava perfino la corrente elettrica.
Che ricorda di quell’esperienza?
«Avevo pensato al film per un sacco di mesi, poi avevo cominciato a lavorare con Bernardino Zapponi per definire la storia, ma non ero convinto del tono che stava prendendo, così decisi di andare avanti da solo, chiudendomi in quella casa senza luce, disabitata, dove potevo scrivere solo fin quando non diventava buio. Certe volte veniva a trovarmi mio padre e pranzavamo insieme, altre no, e allora non mangiavo niente. Mi rendevo conto che stavo scrivendo qualcosa di nuovo, differente... La vicenda era strana, bizzarra, c’era l’occultismo, e quei posti bellissimi da filmare, la villa sulle colline della città, la piazza dove feci costruire il bar, ispirandomi a I sonnambuli di Edward Hopper, un quadro che mi piaceva tantissimo».
Com’era nato il legame con Torino?
«Risaliva a molti anni prima, mi ci aveva portato mio padre quand’ero ragazzino. Ricordo che aveva appena piovuto e che ero rimasto colpito dai lastroni lucidi delle strade illuminati dalla luce giallastra, dai quartieri art decò, dalle case liberty con quegli interni affascinanti... All’epoca pensavo di voler fare lo scrittore, e quella città mi aveva conquistato».
Tra i suoi film, ce n’è qualcuno a cui è particolarmente legato?
«Ce ne sono tanti, ognuno mi ricorda particolari momenti creativi, sicuramente Suspiria e Phenomena».
Da dove viene il suo grande successo internazionale?
«Forse dal tipo di ispirazione. Quando ci si afferma all’estero è perchè si fanno film psicologici, che hanno a che fare con l’infanzia, con la parte più oscura della propria memoria, non certo con la cronaca quotidiana...».
Ci sono, ultimamente, horror che le sono piaciuti?
«Se ne fanno tanti, gli americani ne sfornano a centinaia, ma sono tutti uguali. Oggi i più interessanti sono gli orientali, coreani, giapponesi, spesso piccoli, ma molto profondi».
Qual è stato l’incontro determinante della sua carriera?
«Quello con Sergio Leone, che affidò a me e a Bernardo Bertolucci il soggetto di C’era una volta il West. Con lui ho capito che il cinema non è racconto nè romanzo, e che tutto dipende dalla macchina da presa, dall’inquadratura, dal modo con cui la si usa».
Ha lavorato spesso con le sue figlie, e Asia, oggi, è una regista affermata. La segue, ha visto i suoi film?
«Sì, mi piacciono e sono contento della sua carriera. Abbiamo fatto 5 film insieme, non credo ne faremo ancora».
Perché i ragazzi amano gli horror?
«Perché offre loro la possibilità di sfuggire al piattume familiare della vita di tutti i giorni, perché li spinge a confrontarsi con situazioni inconsuete, diverse da quelle che conoscono».
È appena uscita la sua autobiografia Paura(Einaudi). Che cosa l’ha spinta a raccontare tutto di sé?
«Ho sentito che era arrivato il momento, su di me sono stati scritti tanti libri, spesso contraddittori, ho deciso che volevo mettere ordine e così, 2 anni fa, mi sono messo a scrivere. Era un modo per recuperare fasi della mia vita, personale e familiare, che avevo perduto. Un viaggio spudorato, senza vergogna, fra le cose della mia esistenza».
Di cosa parla il suo prossimo film?
«Si chiama The Sandman, è ispirato a un racconto di Hoffman e al fumetto degli Anni ‘80 che ne è stato tratto. Il protagonista è Iggy Pop, ha una faccia e un fisico pazzeschi, ci siamo incontrati a New York, ha detto di essere un mio grande estimatore, ed è felicissimo di girare il film».
Qual è la sua più grande paura?
«Temo i movimenti dell’anima. Tutti abbiamo una parte buia, che teniamo sopita, segreta... io, invece, ho un dialogo libero con la mia metà cattiva, perversa, una capacità che mi spaventa, perché fa affiorare aspetti nascosti. E poi ci sono cose del quotidiano che mi danno disagio, attraversare una piazza deserta, salire certe scalinate...».
Fulvi A Caprara, La Stampa 9/11/2014