Giovanni Bignami, La Stampa 9/11/2014, 9 novembre 2014
INTERSTELLAR, UN KOLOSSAL CON PIÙ SCIENZA CHE FANTASCIENZA
Chissà come ha fatto Kip Thorne a diventare coproduttore di «Interstellar». È un filmone con effetti speciali (alcuni bellissimi) ed è costato 165 milioni di dollari. Conosco Kip come fisico teorico di valore stellare, certo, come esperto di buchi neri e come scrittore di testi sull’argomento, mentre la mia idea di produttore è basata su un patrimonio diverso da quello che ci si aspetta da un fisico teorico.
In realtà, Kip ha una grande esperienza di comunicazione della scienza, anche attraverso film: per esempio, era la mente dietro il bellissimo «Contact» (1997). Da tempo esiste, almeno in America, un modo di co-produrre film di successo mettendoci dentro non dollari, ma visione scientifica, a cominciare da «2001 Odissea nello spazio» (1968), dove la mente era Arthur C. Clarke. È il modo giusto per fare film di fantascienza, quelli veri, a cominciare dal primo, «Le voyage dans la Lune», del 1902, in cui Georges Méliès mise il suo genio, ma lo script era di Jules Verne, e si vede.
Sicuramente «Interstellar» diventerà un campione di incassi e prenderà molti Oscar, e quindi è da vedere, almeno perché qui l’impianto «-scienza» è solido, più di quello «fanta-». Al contrario di «Solaris» (2002), che aveva una base fanta-letteraria, assente o modesta in «Interstellar». La storia, o meglio il casus belli, è la fame nel mondo per esaurimento risorse, seguita da un generale rifiuto della scienza e dalla inevitabile, ma segreta, ricerca di un altro mondo dove traghettare l’umanità.
Non molto originale né molto credibile, anche perché il mondo affamato che ci viene presentato sembra identico al Kansas di oggi, compreso il consiglio di darsi all’agricoltura invece di andare all’università. La descrizione di un mondo diventato invivibile era molto più efficace in «Elysium» (2013), per altri versi una boiata pazzesca, anche se distopica. Comunque - zac! - i salvatori dell’umanità partono su di una astronave fatta più o meno di nascosto e via per pianeti lontani e bellissimi. Coraggio, bisogna crederci.
Per fortuna (o calcolo, non si capisce bene) proprio vicino a Giove i nostri eroi trovano la specialità di Thorne: un «wormhole», un trucchetto della relatività generale, immaginato da lui e reso benissimo dalle simulazioni spettacolari del film. È una specie di tana di marmotta collegata a un buco nero, e rappresenta un eccellente deus ex machina einsteiniano per portarci senza difficoltà su pianeti altrimenti irraggiungibili. E bisogna credere anche a questo, ma è più facile, perché questo è Kip Thorne al suo meglio, insieme con maghi del computer e immagini fantastiche.
E poi si arriva sui pianeti. Qui c’è l’effetto speciale più bello: un’onda gigantesca spazza l’oceano di acqua liquida che copre il pianeta dove sono atterrati, e dove sembrano muoversi in grande comfort, sciaguattando nell’acqua bassa con le loro tutine aderenti (ricordo di «Gravity», che della fantascienza aveva solo gli errori). La ondona in arrivo, grande come una montagna, fa paura e bisogna rientrare di corsa nell’astronave, che si dimostra ottima tavola da surf… Da vedere in Imax, se possibile. A salvare la situazione è il simpatico robot di bordo, capace di contorsioni meccaniche come di slanci mentali. Chissà se danno l’Oscar ai robot: lui lo meriterebbe, anche per la recitazione.
Ma poi si deve tornare a casa, dalla adorata figlia dell’eroe della missione. Abbandonata da piccola, con strazio suo e del papà, la si ritrova invecchiata, anche qui per colpa di Einstein e degli scherzi della relatività. Poco prima, con struggente colpo di genio, si vede il papà che torna a casa prima di essere partito, e implora la figlia di non lasciarlo partire… Complicato da capire, ma non impossibile da immaginare. E l’angolo di spazio-tempo da cui il padre cerca di farsi sentire dalla figlia è un altro delizioso effetto speciale, omaggio a Escher e alle sue geometrie impossibili. È una delle molte citazioni, tra le quali particolarmente azzeccate quelle a Kubrick e «2001».
Giovanni Bignami*, La Stampa 9/11/2014
* Presidente del Comitato per la ricerca spaziale e dell’Istituto nazionale di Astrofisica