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 2014  novembre 09 Domenica calendario

COSTRUTTORI, IMPRENDITORIED EX DI FORZA ITALIA ALLA CORTE DI MATTEO

Tutti avevamo un motivo. Anche il cameriere: «Me lo ha chiesto il maitre». Si direbbe un maitre minaccioso, vista l’insistenza del ragazzo, smartphone già pronto per il selfie. Ecco, selfie, un termine di cui è vietato fare a meno: la definizione dell’epica universale. Sono ormai le undici di sera, siamo riusciti a raggiungere, oltre le colonne, l’area nobile dell’immensa sala da pranzo - una novantina di tavoli da dieci ospiti l’uno, guadagno abbondantemente oltre il milione di euro per il finanziamento del partito - e il premier, sepolto da corpi, pare un pallone da rugby sotto la mischia. I camerieri hanno studiato la tattica, alzano le braccia e partono col ritornello, «Matteo Renzi... Matteo Renzi... Figo Renzi», composizione di un rapper che si fa chiamare Bello Figo. Ma non c’è verso, il muro non si sfonda: ogni tanto dall’affollamento entra qualcuno perché è uscito qualcun altro, iPhone e simili sul palmo, l’indice a scorrere sullo schermo per mostrare trionfanti lo scalpo. Bello figo. Bella serata, molto figa, molto fighi tutti quanti, all’inizio si cercava di individuare questo o quello da un dettaglio fisionomico perché eravamo tutti in uniforme, abiti in tinte comprese fra blu di Prussia e blu zaffiro, sfumature impercettibili a occhio umano. Scarpe nere, cravatte catacombali.
Tutti avevamo un tavolo e un motivo. James Pallotta, presidente della Roma, si era portato dietro mezza dirigenza ed era ancora sugli scalini - fuori dal Salone delle fontane all’Eur - e già aggirava il vecchio potere del vecchio circuito piddino che, dice, fa mille storie sullo stadio nuovo; strette di mano, mezzi abbracci, mezze frasi. Il suo tavolo era proprio sotto al palchetto su cui, dalle dieci alle undici, Renzi aveva parlato ai commensali che per un po’ avevano indugiato sulla parmigiana di melanzane e sui ravioli cacio e pepe e sul filettino con spinaci e mandorle, piluccavano, infilavano furtivamente il cibo in bocca, fino al cedimento da crapula. In fondo quello di Renzi era un the best of, un riassunto delle puntate precedenti. Ma quando ha finito è sceso e ha puntato Pallotta, gli ha detto che apprezza tanto gli imprenditori che vengono a investire dall’estero, e insomma Pallotta si è seduto e non sarebbe stato così contento nemmeno al terzo rigore contro la Juve.
Ecco, c’è lo stadio nuovo, c’è l’ordine feticista del maitre, in mezzo c’era l’intero mondo, c’era il tavolo di Google, c’era il tavolo della Clear Channel che fa bike sharing già a Parigi e Barcellona, c’era il tavolo della British American Tobacco, quello del gruppo Maccaferri, quelli degli storici dirigenti del Pd romano che si erano portati le loro piccole reti di imprenditori da introdurre nel castello fatato, ma non è che poi Renzi si sia messo a girare come lo sposo, e come ognuno si augurava. È un’altra musica ormai. E infatti c’erano anche i tavoli dei pezzi grossi, di Luca Parnasi, dei fratelli Toti, cioè i grandi costruttori romani, l’amministratore delegato della Lamborghini, Umberto Tossini, nomi da elencare quasi a caso, ma probabilmente tutti affratellati dal dilemma riassunto da uno di quel calibro: «Una volta chiamavamo Goffredo Bettini e lui era a tiro di telefono da Massimo D’Alema e da Walter Veltroni. Adesso penso che Bettini non abbia nemmeno i numeri». Non soltanto lui. Questi giovanotti bellissimi e cattivissimi che si sono presi il potere vivono dentro al palazzo, ed è impossibile incontrarli, perché è lì che si manifesta la vera differenza antropologica: fra il partito di relazione di ieri e il partito dei conquistadores che ci è capitato sulla testa oggi. Sembrava quasi che Renzi avesse detto: mi rompete le scatole da mesi, bene, allora adesso si fa una serata tutti assieme, ma voi pagate. E così intanto che Maria Elena Boschi (come la madonna del petrolio, fantastica definizione di un amico) accoglieva la fila dei pretendenti alla foto ricordo, Luca Lotti accoglieva quella dei consegnatori di biglietto da visita, praticamente un sos in bottiglia.
Ecco, mille ospiti, mille motivi. Era evidente il motivo dei lavoratori in mobilità del Pd, che si sono prestati al ruolo di receptionist e di guardarobieri perché «Renzi ci ha promesso che se la serata va bene si esce dalla mobilità». Era evidente il motivo di Gennaro Migliore, ex rifondarolo ormai preso per incantamento dalle serate anticastriste con Mario Vargas Llosa o, come venerdì, da quelle fra ricchi e arricchiti. Un mare, e ci si erano buttati vestiti Giuseppe Fioroni, ultimissima variante di leopoldista, e i giovani renziani alla Ernesto Carbone che si godevano il trionfo, e il tesoriere Francesco Bonifazi che conteggiava l’affluenza con gli occhi a forma di euro, e giovani professionisti come il segretario generale dei chirurghi italiani, Sascha Thomas, o come l’ex berlusconiano Giancarlo Innocenzi, a vedere se questo è davvero un treno in corsa. E finita con un viavai di macchinoni, mentre noi - in un cedimento renziano - siamo rincasati con una Smart della Car2Go, moderna mobilità sostenibile.
Mattia Feltri, La Stampa 9/11/2014