Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  novembre 09 Domenica calendario

VIAGGIO FINO ALL’ANIMA

Ho compiuto un meraviglioso viaggio onirico, e a tratti, sì, lisergico. Ho visto (toccato) negli anfratti celebrali, le ombre, la luce e i colori, e incredibile, ho costruito un’idea di buio, come, attraverso quali strutture (forse) si definisce. Ho camminato sulle strade lastricate di neuroni malati, invecchiati, inutili e che si consumano, muoiono, inesorabilmente e mi sono sentito demente, afflitto, disorientato. A un certo punto il mio cranio è stato diviso in due e sono diventato Ant e Onio e ho scoperto che Ant vedeva e interpretava le cose in modo diverso da Onio – com’è sottile la linea che delimita la nostra identità, le fedi, le convinzioni, le ragioni e le giustificazioni. E non è finita, sono risorto più volte e ho osservato (toccato) strane immagini coloratissime, e splendidi quadri e statue, macchine complesse. Ho assistito a discussioni civili e argute tra filosofi, biologi, fisici, artisti, pittori,scultori, inquisitori e cardinali e a pagina 236 è apparso Kafka con il suo dolore perfetto. Ho capito che l’autore voleva farmi scoprire stati diversi di coscienza, per provare a scomporla, poi montarla, descriverla, definirla e soprattutto misurarla. Ho viaggiato nel cervello, con lo scopo di scandagliare, bene e a fondo, la coscienza. A conti fatti, per suggestione e intensità, per accumulo di immagini e qualia – e vuoi per la capacità dell’autore di dominare molti aspetti della cultura e integrare vari linguaggi – il viaggio mi ha ricordato l’istallazione The Refusal of Time, di William Kentridge.
Eppure sono solo pagine di carta, si tratta di un libro, PHI, un viaggio dal cervello all’anima (Codice Edizioni), di Giulio Tononi, neuroscienziato e psichiatra, uno strano libro con una solida quanto eccentrica base narrativa, e durante la lettura, più volte, mi sono chiesto: chissà se l’editore vorrà portarlo allo Strega (certo è un investimento considerevole e tuttavia sarebbe una seria operazione culturale), e chissà se un regista visionario, un produttore sensibile abbia voglia di realizzare un film, un documentario, che importa il genere. Perché il tentativo di PHI è rispondere, usando vari strumenti culturali (che uniti e integrati scavalcano, e per fortuna, il genere), alle nostre amate ma bistrattate domande: la ricerca degli universali di specie.
Non chi siamo, ma come ci siamo evoluti e come siamo arrivati fin qui, come pensiamo quello che pensiamo, gli errori, i bias e le visioni e le paure, la morte, soprattutto quella, insomma: «Ora il suo era un cervello anziano, grigio come grig
i erano i suoi capelli. Che fine avrebbe fatto il suo mondo quando il suo cervello fosse stato sepolto? E quando nel cranio la luce si fosse spenta, le tenebre si sarebbero portate via anche i suoi amici, la casa, il paese? I ricordi perduti per sempre? Svanite ogni persona e ogni cosa? Tutto svanito? Se tutto nasce ed è sepolto in una qualche parte del cervello, allora quando il cervello muore, l’intero universo si dissolve?». L’uomo che cerca risposte è Galileo Galilei, ritratto all’inizio del libro, in una sorta di esperienza di premorte (forse) o un sogno confuso. Fatto sta che in questo modo conosciamo il nostro protagonista, Galileo Galilei, appunto, il viaggiatore (e nostro accompagnatore) che come in una divina commedia rivisitata, in compagnia di Francis Crick, di Alan Turing e Charles Darwin, cercherà di scalare il nostro cervello, dall’inferno oscuro e febbricitante dei singoli neuroni, fino al paradiso, alla ricerca della luce. Galileo in queste prime pagine si mostra debole e preoccupato, avvilito: sa che la coscienza scaturisce dalla materia del cervello, sì, ma come? Non lo sa, e nemmeno noi: in fondo, la nostra ignoranza è il motivo del cammino. Tutto il libro è il racconto di un viaggio fluttuante, hai costantemente l’impressione di essere altro da te. Vero, si tratta di un testo con una solida matrice scientifica, e questo dovrebbe tenerti ancorato ai fatti. Tuttavia non è paper pronto per la pubblicazione in una rivista specializzata, è chiaro l’intento divulgativo.
Dunque Tononi sceglie un escamotage: usare uno stile alto, lirico, un po’ fuori dal tempo (ma si tratta di un viaggio nella coscienza, dunque con un proprio particolare tempo) che contribuisce a disorientarti e più lo sei, più facilmente ti fai condurre, stabilisci un patto con il tuo compagno di viaggio e così finisci, subito e facilmente, dentro un mondo imprevedibile (non sai mai cosa ti aspetta nel capitolo successivo, e quanto sono belli i libri così, dove non ci sono pistole che per forza dovranno sparare), nel quale è facile incontrare Leibniz e Copernico e Kafka, pittori ciechi, e una miriade di personaggi comuni, e tutti cercano di aggiungere un dettaglio, un punto di vista, una spiegazione sul funzionamento della coscienza – in realtà Tononi con questo escamotage passa in rassegna l’intero stato dell’arte sulla fenomenologia della coscienza, quello umanistico e quello scientifico. Non solo, nel testo sono inserite immagini di quadri, sculture,pagine bianche e nere e celesti, foto di meravigliosi cieli stellati e altro (non voglio nemmeno pensare a quanto sarà costata la stampa) e dunque da una parte segui Galileo nel suo procedere, di incontro in incontro, dal cervelletto alla corteccia prefrontale, dall’altra ti incanti – e la mente vaga davanti ai colori, ai ritratti, alle sculture, a quanto di meglio il nostro ingegno ha prodotto – per eccesso di bellezza, rischi il viaggio lisergico. Rivedi tutto sotto una nuova luce: che poi è anche un diverso ed efficace modo per far critica letteraria o artistica.
E per questo il viaggio è onirico, la percezione si allarga, e sfiori PHI: «ciò che sappiamo è ciò che sogniamo, ciò che sogniamo è ciò che possiamo sapere, il mondo può essere immaginato all’interno, non visto nudo dall’esterno, eppure senza il bagliore della coscienza non ci sarebbe vista: ciò che dobbiamo fare è cercare la luce, la luce che unifica».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Antonio Pascale, Domenicale – Il Sole 24 Ore 9/11/2014