Simone Filippetti, Il Sole 24 Ore 9/11/2014, 9 novembre 2014
PARMALAT E L’«INCUBO» DI CITIBANK
Il nuovo «incubo» che rischia di materializzarsi per Parmalat arriva sotto il nome tecnico, e algido, di «recovery ratio». E si nasconde tra le pieghe di pagina 38 della relazione trimestrale, pubblicata due giorni fa. Al colosso americano Citibank, la più grande banca al mondo, spetta un maxi-risarcimento di 431 milioni di dollari per il vecchio crack Parmalat: riceverà azioni della nuova Parmalat, quella attualmente quotata, e al valore nominale.
Ma il nodo sono le percentuali di recupero (il recovery ratio), sulla base delle quali si calcolerà quante azioni dovrà avere Citi. Quei ratio potrebbero regalare agli americani lo scettro di principali azionisti di minoranza del colosso alimentare di Collecchio.
Lo schivo e silenzioso Emmanuel Besnier, il francese "Signore del latte" in Europa e attuale padrone di Parmalat, si è visto cadere in testa un’ennesima tegola che arriva dritta dritta dai tempi del crack di Calisto Tanzi. Sono trascorsi 11 anni, ma in Italia i dissesti hanno tempi infiniti e, soprattuto a Parma, il passato torna sempre. Anzi, non è nemmeno mai passato: tecnicamente la vecchia Parmalat è ancora viva e in amministrazione straordinaria perché non è mai arrivata l’omologa del Tribunale. E gli strascichi arrivano ancora oggi.
Una prima avvisaglia del caso si era avuto due mesi fa (si veda il Sole 24 Ore del 19 settembre), quando a fine agosto il Tribunale di Bologna (in appello) aveva riconosciuto che è valida anche nel nostro paese una sentenza americana della Corte del New Jersey di ben sei anni prima. La vecchia Parmalat di Enrico Bondi in amministrazione straordinaria aveva fatto causa a Citi, una delle banche coinvolte nel dissesto di Collechio, ma aveva perso. Ora di fatto Citi potrà insinuarsi nel passivo, tra i creditori tardivi dell’azienda. Allora si era appreso che quei 431 milioni sarebbero eventualmente pagati in azioni sulla base di un concambio. Ora emerge un dettaglio e non da poco: nella relazione allegata al bilancio dei nove mesi, in una nota a piè di pagina scritta in caratteri da amanuensi medievali, si specifica a quanto ammontino i recovery ratio, distribuiti tra nove diverse società che componevano la galassia Parmalat: se per la vecchia Parmalat Spa il concambio è un modestissimo 5%, si passa a tassi del 14% per la Newco; e nel caso di Eurolat e Lactis si sale addirittura al 100%. Ce n’è abbastanza perché in futuro Citi possa ottenere un gruzzolo consistente di azioni Parmalat. Secondo ipotetiche stime di alcuni analisti, circa il 2% del capitale. Cosa che ne farebbbe il principale azionita di minoranza, con conseguenze pesanti. La prima è che i francesi, oggi forti di uno schiacciante 83%, si diluirebbero (e forse anche per questo da tempo Besnier sta comprando titoli Parmalat). La seconda è che in Parmalat c’è un clima "balcanizzato" con Lactalis perennemente assediata dalle minoranze, capeggiate dal fondo Amber, ispiratore di un’aspra battaglia giudiziaria tra la procura di Parma e Lactalis sulla controversa operazione Lag. Il fondo attivista americano del finanziere Joseph Ourghoulian si troverebbe così affiancato da Citi che potrebbe reclamare un posto in cda, dove Amber è rappresentata da Umberto Mosetti.
A Collecchio, tutto questo viene ritenuto uno scenario da fantascienza o irrealizzabile, perché intanto l’azienda ha fatto ricorso contro la sentenza. Deciderà la Cassazione. In ogni caso, poi, perché il risarcimento sia efficace, occorre che Citi faccia un’altra causa a sé. Almeno fino ad allora, non incasserà nulla. Per Besnier, però, un’altra spada di Damocle.
Simone Filippetti, Il Sole 24 Ore 9/11/2014