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 2014  novembre 09 Domenica calendario

CON IL CROLLO DEL GREGGIO I PETRODOLLARI RESTANO A CASA

Con il crollo delle quotazioni del greggio, il rubinetto dei petrodollari si sta chiudendo. Per la prima volta da diciott’anni i paesi esportatori di greggio importeranno invece di esportare capitale in valuta pregiata. A prevederlo è uno studio di Bnp Paribas, che quantifica in 7,6 miliardi di dollari il saldo negativo per quest’anno: una cifra ancora modesta, di certo irrilevante nel mare della liquidità mondiale, ma che indica un’importante – e forse duraturo – cambiamento di rotta. Solo l’anno scorso erano stati reimmessi nel sistema finanziario globale 60 miliardi di petrodollari, nel 2012 erano stati 248 miliardi e al picco, nel 2006, la cifra aveva raggiunto ben 511 miliardi.
«Questo sarà il primo anno dopo molto tempo che gli esportatori di energia risucchieranno invece che fornire capitali ai mercati finanziari, commenta David Spegel, responsabile globale della ricerca sui mercati emergenti di Bnp. «Se il prezzo del petrolio si ridurrà ulteriormente nei prossimi anni, è possibile che questi paesi abbiano bisogno di procurarsi capitali crescenti anche solo per ripagare le obbligazioni emesse».
La ritirata dei petrodollari per il momento è da addebitare soprattutto alla Russia e ai paesi ex-sovietici, che secondo le stime di Bnp avrebbero già "sottratto" 57 miliardi ai mercati. Mosca, fortemente dipendente dalle esportazioni di petrolio e gas, non solo soffre moltissimo per la caduta del prezzo del barile – che ha perso quasi un terzo del valore negli ultimi quattro mesi – ma è anche colpita dalle sanzioni internazionali, che hanno ostacolato in particolare la sua capacità di finanziarsi presso istituti di credito occidentali. La banca centrale ha inoltre speso oltre 30 miliardi di dollari nel tentativo fallito di arginare la svalutazione del rublo.
Con il petrolio Brent che ormai quota poco più di 80 dollari al barile – dopo essere restato inchiodato per tre lunghi anni intorno a 100 $ – si annunciano però tempi difficilissimi anche per altri produttori. A traballare non sono soltanto le finanze di paesi come la Libia, l’Iraq e l’Iran, che hanno bilanci appesantiti da guerre e sanzioni. Secondo stime del Fondo monetario internazionale ci sono una ventina di paesi nel mondo che derivano oltre metà delle entrate statali al petrolio e altri dieci che ne derivano tra il 25 e il 50 per cento. Il petrolio in una quindicina di paesi, rappresenta oltre un quarto del Pil. Tra i più esposti ci sono paesi che a questo punto rischiano grosso, come il Venezuela o la Nigeria, ma anche molte ricche economie del Golfo Persico, come l’Arabia Saudita, il Kuwait, gli Emirati arabi uniti e il Qatar. Questi potranno evitare il tracollo, grazie alle enormi riserve di valuta accumulate negli anni d’oro del rally del petrolio. Ma è molto probabile che dovranno chiudere, almeno in parte, i cordoni della borsa. Tenendo per sè i preziosi petrodollari.
@SissiBellomo
Sissi Bellomo, Il Sole 24 Ore 9/11/2014