Gianni Mura, la Repubblica 9/11/2014, 9 novembre 2014
UN DERBY PER SAMB E UNO PER CELLINO
Solo il lettore dotato di grande memoria può ricordare per sommi capi la storia di Falou Samb, di cui avevo scritto in questa rubrica un anno fa, come fosse una favola di Natale nata a Ferragosto. Quindici anni, senegalese, venditore ambulante sulla spiaggia di Castelsardo, in una pausa del lavoro il ragazzo si mette a palleggiare e attira l’attenzione di un allenatore sardo, Giovanni Muroni, che ha fama di scopritore di talenti e vede in lui qualcosa che lo spinge a tesserarlo di corsa per l’Atletico Uri, squadra sassarese di Prima categoria. Prima il tesseramento, poi l’iscrizione a scuola, poi un alloggio decente. E l’acquisto di un paio di scarpe da calciatore numero 45, che Falou, alto 1.91, non ha mai messo in vita sua. Comincia a giocare con l’Atletico, segna, diventa il beniamino del pubblico, pare lo seguano con interesse Cagliari e Siena.
La storia finiva qui. Sul Giornale di ieri, che commenta la notizia uscita sul Secolo XIX di venerdì, trovo l’aggiornamento. Falou, passato alla Nuova Tor Tre Teste di Roma, ha fatto in settimana un provino per il Genoa e nella partita tra prima squadra e Primavera ha segnato un bel gol a Perin. Ora interessa al Genoa, che ha voluto chiarire l’esatto cognome: Samb, non Samp. Ma, fosse pure stato Samp, sarebbe divertente la commistione. Forse non piacerebbe alla curva. Mi pare che solo in Italia ci sia l’abitudine di andare sotto la curva a fine partita per ringraziare. O lisciare il pelo a quelli che ti osannano e se va male ti processano. In Spagna, salutano dal centro del campo ed è un saluto per tutto lo stadio. Saluta l’Inter il direttore commerciale Giorgio Ricci, ho letto sulla Gazzetta di ieri. Ad interim, sarà rimpiazzato dall’attuale Ceo Michael Bolingbroke. L’internazionalizzazione dell’Internazionale, già ben avviata da Moratti sul campo, prosegue celermente fuori campo. E non si può dire che Thohir favorisca i connazionali, quanto a poltrone e poltroncine. Claire Lewis gestirà il marketing, Dan Brown le sponsorizzazioni, James White lo sviluppo del digitale e l’area social. Molto ci si attende da Bolingbroke (il Ceo in una stanza). Mister Brambilla, no please.
Sbarco dei cervelli anglofoni, insomma. Noi, nel nostro piccolo, alla non più perfida Albione, gli abbiamo allentato il notissimo Massimo Cellino e il meno noto Francesco Becchetti, che già si può definire promettente. Siamo, leggo sulla Gazzetta, 4-3 per Cellino. Non sul campo, perché il Leeds di Cellino è 18º in Championship e il Leyton Orient di Becchetti è 18º in League One. Cellino ha, per ora, licenziato quattro tecnici e Becchetti tre. Sul Daily Telegraph hanno scritto: «La reputazione di Cellino come squalo nel mare degli allenatori è stata confermata». E il pinneggiar gli è dolce in questo mare, anche perché non ci trova uno squalo più squalo di lui, Zamparini. Tali e squali? Macché, Zamparini è quasi soave: «Iachini mangerà il panettone e anche la colomba, e non solo quest’anno». Poi si lancia in una previsione: «Se conosco Guidolin, tra un paio d’anni tornerà in panchina». E se lo conosco io, molto prima della prossima Pasqua. Scommettiamo?
No, non scommettiamo. Però sono state autorizzate le scommesse sul campionato di serie D, dove il minimo ingaggio è di 7.500 euro a stagione. Il disco verde l’hanno dato i Monopoli di Stato. Convinti (secondo loro) dalle crescenti richieste di appassionati molto attenti alle realtà locali. Mi sembra un ottimo sistema per incentivare il taroccamento delle partite di ben 167 squadre, su cui è più difficile la vigilanza. Se taroccano i professionisti e i semiprò, perché i dilettanti non dico tutti ma alcuni, dovrebbero resistere alla tentazione. E perché un gruppo di malavitosi non dovrebbe provarci?
E perché Brittany Maynard non avrebbe dovuto farla finita? Monsignor Carrasco De Paula, presidente della Pav (Pontificia Accademia per la Vita) ha detto la sua: «Il suicidio assistito è un’assurdità. Non è una morte con dignità», che è come dire, della fine della ragazza, che è senza dignità. E allora 2 al presidente della Pav. Perché è vero che ognuno fa il suo mestiere, quindi il monsignore poteva dire che non è una morte da cristiana, o da credente. Ma la dignità, per favore, la lasci stare, e magari pensi alla pietas di cui papa Francesco è portatore sano ma non so quanto gradito. Ci sarebbe stata dignità in una morte da vegetale, con un cancro che divora il cervello, nella mancanza di ogni speranza, nella sofferenza inflitta al proprio corpo e alla famiglia? Ce n’è molta di più nel decidere di vivere da essere umano gli ultimi giorni, di baciare il marito, di sorridere ai genitori e anche nell’assumere di persona la dose mortale, ché nessuno poi avesse il dubbio di essere un assassino. Il guaio, a volte, è che a forza di parlare dell’aldilà si perde di vista l’al di qua.
Gianni Mura, la Repubblica 9/11/2014