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 2014  novembre 08 Sabato calendario

TORNA RE DOLLARO

Il super dollaro è tornato. E sembra destinato a rimanere ben saldo sul trono per parecchio tempo. I motivi sono semplici. Basta guardare alle ultime stime del Fondo Monetario Internazionale (Fmi) sulla crescita economica: l’anno prossimo il pil degli Usa salirà del 3,1%, quello di Eurolandia dell’1,3%, con la Germania in progresso dell’1,5%, meno della metà della crescita americana. Per non parlare del Giappone, che dovrà confrontarsi con un anemico +0,8%. La Cina viaggerà al +7,1%, ma è in frenata e quel ritmo rischia di non assicurare gli attuali livelli occupazionali. Gli Usa si confermano quindi locomotiva mondiale, anche se la forza della loro ripresa non sarà sufficiente a trainare Eurolandia fuori dalla palude di una congiuntura troppo debole. La Federal Reserve, inoltre, ha terminato il mese scorso il piano di acquisti di bond iniziato nel 2009 e che ha ampliato il suo bilancio di 3.500 miliardi di dollari. Mentre la Bce non l’ha ancora lanciato, anche se dal Consiglio direttivo di giovedì 6 novembre il presidente Mario Draghi è uscito vincitore, con la dichiarazione scritta che il bilancio della Bce sarà ampliato dagli attuali 2 mila a 3 mila euro, cosa che può essere fatta solo cominciando ad acquistare anche titoli di Stato. Il giorno successivo la numero uno della Fed, Janet Yellen, ha dato manforte a Draghi sostenendo, in un discorso pronunciato nella sede della Banca di Francia, che gli acquisti di bond sono stati «efficaci» perché hanno «sostenuto la ripresa della domanda interna e, di conseguenza, la crescita economica globale». Insomma, il Qe della Bce farà bene anche agli Usa e quindi sarà meglio che i critici di Draghi, ovvero il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, si rassegni e la smetta di puntare i piedi contro il Qe. Le politiche monetarie divergenti fra Usa ed Eurolandia sono quindi destinate a rafforzare ulteriormente il biglietto verde. Non per niente, secondo Morgan Stanley, alla fine dell’anno prossimo l’euro sarà sceso a 1,12 dollari. C’è un terzo motivo a favore del dollaro forte: grazie allo shale gas gli Usa si stanno avvicinando all’indipendenza energetica, o almeno lo proclamano ai quattro venti, e possono quindi permettersi di essere meno attenti alle esigenze degli altri Paesi produttori di petrolio. Il ritorno a una vera e propria Guerra Fredda con la Russia (che in Ucraina è comunque abbastanza calda) rende molto allettante l’idea di abbattere il presidente Vladimir Putin usando l’arma energetica: il prezzo dell’Urals, il petrolio russo, si aggira intorno agli 80 dollari al barile, mentre per mantenere in equilibrio i conti dello Stato russo dovrebbe essere invece a 104 dollari. D’altronde fu proprio il crollo dei prezzi del petrolio a contribuire al collasso finale dell’economia sovietica, che ha poi portato alla dissoluzione della stessa Urss. E un dollaro forte dà una mano alla discesa dei prezzi. Come sempre, inoltre, nei momenti di tensione internazionale il biglietto verde è considerato un rifugio sicuro.
Stando così le cose, il dollaro sembrerebbe destinato a schiacciare tutte le altre valute. Bisogna vedere, però, fino a dove Washington vorrà premere l’acceleratore. In primo luogo un calo troppo forte del greggio rischierebbe di mettere in difficoltà anche l’Arabia Saudita che, forse come avvertimento, nei giorni scorsi ha deciso di abbassare il prezzo del suo greggio venduto negli Usa per fare concorrenza ai produttori locali e metterli fuori mercato. Ma qui siamo in ambito politico e sarà Washington a decidere se l’obiettivo di disfarsi di Putin è primario al punto da mettere a rischio i rapporti con alcuni alleati. C’è però un altra ragione, più prettamente economica, per cui il dollaro difficilmente schizzerà in alto in maniera rapida, ma invece si rafforzerà gradualmente. Come ha ammesso la Yellen, data la ripresa lenta e incostante dell’economia globale, «una politica monetaria accomodante continua a essere necessaria». E il riferimento sembra essere rivolto anche agli Usa, come a ribadire che il rialzo dei tassi non è poi così vicino. Inoltre anche negli Usa l’inflazione è molto bassa e un dollaro troppo forte, unito a bassi prezzi del petrolio e alla debolezza delle altre valute mondiali, farebbe salire il rischio deflazione. Come ha poi sottolineato alla Cnbc Mohamed El-Erian, capo dei consiglieri economici di Allianz, un dollaro forte e un eccesso di volatilità dei mercati valutari potrebbero mettere a rischio la ripresa globale. Il dollaro ha quindi tutte le carte in regola per rafforzarsi ulteriormente, ma è auspicabile che lo faccia in modo graduale.
Marcello Bussi, MilanoFinanza 8/11/2014