Paola Zanca, il Fatto Quotidiano 8/11/2014, 8 novembre 2014
SALVINI, IL GIANBURRASCA È DIVENTATO L’ALTRO MATTEO
Con la scopa in mano e la bava alla bocca, ripeteva: “Chi ha sbagliato pagherà”. Lui, Bobo e i meno intimi del cerchio magico da una parte. Renzo Bossi e le lauree finte, Rosi Mauro e i diamanti, Belsito e la Tanzania dall’altra. Ma adesso che Matteo Salvini è riuscito a spazzare via dalla memoria dei più le magagne della Lega, di rialzare i tappeti di via Bellerio non ha più voglia. Che chissà se c’è ancora della polvere, lì sotto. Così, ieri, l’altro Matteo nazionale ha deciso, lasciando di stucco pure Maroni: la Lega rinuncia a chiedere i danni alla vecchia guardia. “Cose che appartengono al passato”, dice. E meglio che non ritorni proprio adesso che i sondaggi lo danno al 9 per cento, proprio ora che il 23 per cento degli italiani lo considera l’unico sfidante in corsa contro Matteo Renzi.
La Ypsilon e il ventennio
Chissà se lo immaginava quel giorno in cui ha fatto il suo primo ingresso al Comune di Milano. Era il primo giorno dell’estate 1993. Quando è uscito, cominciava l’ottobre del 2012. Consigliere della Lega per vent’anni: esordio “a sinistra” con la lista dei Comunisti padani, saltuarie frequentazioni giovanili del Leoncavallo, terminate con la richiesta - da segretario provinciale, una manciata di anni dopo - di vietare ogni manifestazione dei centri sociali per sei mesi. Lui, in giro per Milano, ci andava con una Ypsilon 10 con il retro tappezzato di adesivi della Lega. L’ha tenuta quindici anni, poi l’ha passata all’amico Igor Iezzi e si è comprato una Volvo S60 (diesel).
La radio e il Burghy
A Palazzo Marino è entrato subito dopo il diploma al liceo classico. Si è iscritto alla facoltà di Storia, ma niente da fare: anni da fuori corso, poi lascia a cinque esami dalla laurea. Nel frattempo, però, bazzica Radio Padania che lo fa prima giornalista e poi direttore (l’ultimo stipendio è del 2013: politica a parte, le esperienze di lavoro finiscono qui, se si escludono i “diversi mesi” passati al Burghy). C’è lui al microfono quando Umberto Bossi si riprende dall’ictus: fa sentire “la voce del capo”, poi piange.
Calcio e scarponi
Fede rossonera, se deve prendersela con qualche ultrà, predilige i romanisti e i napoletani (cantò il celebre “senti che puzza scappano anche i cani...”, ma quella volta faceva politica, a Pontida). Quelli che sopporta meno, comunque, sono i tifosi dell’ultim’ora, quelli diventati milanisti solo da quando vince e ha Berlusconi presidente. Il discrimine per lui porta la data del 7 novembre 1982: Milan-Cave-se, Serie B. Solo chi ha sofferto allora, può festeggiare adesso. Quando non va allo stadio, pesca o va in montagna a Caderzone, altrimenti nota come “la Madonna di Campiglio dei poveri”.
La tv e Gianburrasca
Come l’altro Matteo, poco più che bambino ha esordito in tv (e fatto lo scout): quiz con Corrado Tedeschi, Doppio Slalom. Oggi, il piccolo schermo è la sua dimensione naturale. Dicono le camicie verdi meno amiche: “Da Telelombardia, alla Rai a La7: in un giorno piazza il miliardo di Mare nostrum prima per i disoccupati, poi per i pensionati, poi per le imprese. Se ascolti lui, a sera quel miliardo sono diventati 15”. Strizza l’occhio a Putin e alla LePen, cerca consensi in Calabria e Sicilia, “va a letto con Twitter” (Formigoni dixit) e fa il Landini con il referendum contro la legge Fornero. Fa anche lui parte della categoria del folgorati sulla via del “selfie al piatto”. Immortala lo zabaione in Trentino, il tortello di zucca alla festa della Lega, i missoltini del lago. E agli amici virtuali domanda: “Mi piace da matti mangiare la crosta del Grana. È normale?”. Per catalogare il tipo, Umberto Bossi lo ribattezzò “Gianburrasca”: casinista che non combina nulla.
Strasburgo e le felpe
Il metodo però funziona. Gian-burrasca si fa notare. Ai mondiali 2006, quelli vinti dall’Italia, indossa la prima delle felpe che ora sfoggia regolarmente (ne ha una per ogni posto: Piacenza, Viterbo, Lumezzane). C’è scritto: “Forza Germania”. Per un anno fa il deputato. Poi lo rispediscono a Strasburgo. Si narra che Bossi non lo volesse più tra i piedi a Roma. Eppure, quella che doveva essere una punizione, è diventata la sua fortuna. Molto più facile imboscarsi a Bruxelles che a Montecitorio: così, Salvini, quasi fisso a Milano, si è coltivato rapporti che gli sono valsi 220 mila preferenze alle ultime elezioni. E un trionfo al congresso: ha battuto Bossi con l’82 per cento dei voti. Poi è andato a casa e ha festeggiato con il suo piatto preferito: caldarroste e Braulio.
Paola Zanca, il Fatto Quotidiano 8/11/2014