Giovanni Orsina, La Stampa 8/11/2014, 8 novembre 2014
SE SALTA IL PATTO SI VA AL VOTO
La rottura eventuale del cosiddetto patto del Nazareno – che, secondo quanto diceva l’altroieri il presidente del Consiglio, al momento scricchiola pericolosamente –, non sarebbe cosa da nulla per l’attuale situazione politica italiana. Al contrario: non è affatto improbabile che, se si verificasse, quella rottura sia in grado di avviare una slavina destinata a concludersi in primavera con le elezioni anticipate.
L’accordo con Berlusconi non è un elemento accessorio del governo Renzi, ma ne ha rappresentato finora una condizione fondamentale. Si rammenti fra l’altro che il primo incontro fra i due, il 18 gennaio scorso, non ha seguito ma preceduto di qualche settimana l’ascesa del segretario democratico a Palazzo Chigi. Il senso che il patto ha per Renzi va cercato sul terreno aritmetico prima ancora che su quello politico. Impegnato a scalare il vuoto della politica italiana, e perciò appoggiato sul nulla; guardato in cagnesco da molti parlamentari del suo stesso partito; impossibilitato a fare forza sui grillini; dotato di una maggioranza risicata in Senato: dove altro avrebbe potuto trovarli Renzi i voti alle Camere per sperare almeno di realizzare il suo ambiziosissimo programma, dopo il fallimento di tutti i suoi predecessori?
Dell’utilità che il patto ha avuto per Berlusconi si è detto tante volte: dopo essere stato condannato, dopo esser decaduto da senatore ed essere stato sospeso dalla vita pubblica, dopo essersi auto-emarginato passando all’opposizione del governo Letta, nel rapporto con Renzi Berlusconi ha ritrovato la ribalta e si è visto restituire la possibilità, se non di decidere, quanto meno di partecipare alle decisioni. Se però per l’uomo di Pontassieve il bilancio dell’accordo è stato quasi interamente positivo – fatte salve le critiche, aspre ma modeste nell’impatto concreto, dei settori più antiberlusconiani del Pd e della cultura di sinistra –, quello di Arcore ne ha pagati cari i vantaggi: si è «scoperto» a destra, cedendo terreno alla Lega di Salvini; e al contempo ha regalato spazio al centro allo stesso Renzi. Da qui le incertezze.
Da qui le insurrezioni interne a Forza Italia – la più importante, da ultimo, quella di Raffaele Fitto –, e le difficoltà di Berlusconi nel governare i suoi parlamentari. Da qui il desiderio di far pagare a Renzi un prezzo più alto, in particolare sulla legge elettorale. E da qui infine la risposta politicamente assai abile del presidente del Consiglio: eleggere insieme al M5s un membro del Consiglio superiore della magistratura e uno della Corte Costituzionale. Minaccia implicita ma quanto mai chiara di sostituire al patto del Nazareno un accordo coi grillini.
Se la prospettiva di Renzi è quella di continuare a governare, tuttavia, e non di andare alle urne appena possibile, questa minaccia rimane assai debole. Con un Movimento che decida infine di mettersi a fare politica sarà possibile magari convergere su un nome o un provvedimento, ma come potrebbe il presidente del Consiglio appoggiarvi continuativamente le proprie ambizioni riformistiche, non esattamente modeste? Come potrebbe tenere insieme il sostegno dei grillini e la presenza nella maggioranza del Nuovo centrodestra, che già ha cominciato a protestare? Che cosa ne farebbe della riforma del Senato, approvata in prima lettura coi voti di Forza Italia e con l’opposizione dura del M5s? E se, nel momento in cui Giorgio Napolitano decidesse di fare un passo indietro, dovesse sceglierne il successore d’accordo con Grillo, come potrebbe poi conquistare quel centro elettorale al quale ha parlato in questi mesi, e che sembra ben disposto ad ascoltarlo? Sarebbe troppo perfino per Renzi.
Per queste ragioni, come si diceva in apertura, la fine eventuale del patto del Nazareno non sembra il preludio di una nuova e diversa fase di stabilizzazione del nostro sistema politico, ma d’una corsa al voto. Con un sistema elettorale riformato, se si riuscirà a riformarlo. Ma perfino con le attuali regole proporzionali, se il processo riformistico dovesse fallire. Un’eventualità, quest’ultima, tutt’altro che impensabile.
Certo: la politica italiana è tale che magari il patto del Nazareno smetterà ben presto di scricchiolare, tutto tornerà come prima, e le molte pagine che in questi giorni sono state dedicate ai suoi gemiti – comprese quelle su cui è stampato quest’articolo – troveranno un giusto destino nell’avvolgere dentici e branzini. Dall’incarto del pesce, però, non manca di emergere un messaggio un po’ meno effimero e tutt’altro che confortante: Nazareno o non Nazareno, finché questa è la situazione politica e istituzionale del Paese, leggi ambiziose e riforme incisive possiamo pure scordarcele.
Giovanni Orsina, La Stampa 8/11/2014