Andrea Gennai, Plus24 – Il Sole 24 Ore 8/11/2014, 8 novembre 2014
IL DOLLARO FORTE FINISCE SOTTO LA LENTE DELLA FED
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Nonostante i tassi a zero, la Fed oggi risulta la banca centrale meno accomodante nel panorama internazionale: la fine del terzo quantitative easing è stata annunciata nell’ultima riunione del Fomc, il Comitato di politica monetaria della Banca centrale Usa. Paradossi della crisi finanziaria esplosa nel 2007 e che oggi hanno prodotto un rafforzamento repentino del dollaro, balzato di oltre il 10% sull’euro dallo scorso maggio e letteralmente volato contro lo yen dopo il nuovo piano di immissione di liquidità della Banca del Giappone. L’economia Usa cresce e crea occupati mentre l’Europa stenta e costringe la Bce a dichiarare nuovamente di essere pronta con misure non convenzionali. Basta questo per giustificare il ciclo rialzista del superdollaro. Già molti risparmiatori hanno tratto vantaggi da questo rialzo e altri pensano di aumentare le esposizioni su asset a stelle e strisce. Siccome la crisi finanziaria ha stravolto le regole, restano però molti punti interrogativi sul fronte valutario.
Intanto se il mercato scontasse un rialzo lineare dei tassi (il primo ritocco è atteso nel giugno del 2015) le prospettive sui decennali sarebbero più aggressive: invece la proiezione degli analisti sui rendimenti dei Treasuries per il prossimo triennio è stata ritoccata al 4,25% dal precedente 5,5%. Non è attesa nessuna fuga massiccia dai bond e oggi il decennale rende circa il 2,5 per cento.
Poi il rialzo del dollaro allontana l’inflazione e rende meno impellente tassi più alti. Senza dimenticare che se il dollaro si rafforzasse troppo l’economia potrebbe risentirne: la soglia di allarme è indicata dagli analisti sotto 1,20. Per Maria Paola Toschi, market strategist di J.P. Morgan Asset Management, «il rialzo dei tassi avverrà nel 2015 ma resta ancora parecchia incertezza sul timing e sulle modalità. Comunque non sarà un rialzo già prestabilito ma sempre vincolato ai dati macroeconomici. Detto questo il dollaro è atteso restare forte contro le principali valute e quindi anche contro euro. Solitamente il biglietto verde ha dei cicli molto lunghi di forza e oggi potremmo essere all’inizio di un movimento del genere. Il dollaro beneficia non solo del contesto macro ma anche delle politiche divergenti delle banche centrali, tra tutte la Fed è attesa diventare quella meno espansiva in termini di allentamento quantitativo».
Il movimento del dollaro, così netto e generalizzato verso tutte le valute, pone dubbi anche agli stessi Stati Uniti. «Un 10% di rivalutazione del biglietto verde - Simone Facchinato, responsabile investimenti Amundi Sgr - impatta per due-tre quanti di punto sul Pil Usa e sicuramente rallenta un attimo la prospettiva di rialzo dei tassi. Tutti i movimenti che si realizzano troppo repentinamente sul mercato dei cambi creano sempre squilibri. Comunque ha senso che il dollaro possa dirigersi verso 1,20 contro euro. Molto dipenderà anche dalle future mosse della Bce. L’area tra 1,20 e 1,25 rappresenta in questo momento un probabile range di equilibrio».
Sullo sfondo resta sempre questo ruolo chiave delle banche centrali, sintomo di un’economia che ancora è lontana da ristabilirsi. «Il vero elemento di novità delle ultime settimane - Donatella Principe, responsabile Institutional Business di Schroders Italia - è che, di fronte ai primi segnali di difficoltà con la correzione sui listini azionari, tutte le Banche centrali sono intervenute per ribadire i propri impegni a sostegno dei mercati. Potrebbe essere un segnale di una loro mancanza di fiducia sulle prospettive di una ripresa solida dell’economia internazionale», conclude Principe.
Andrea Gennai, Plus24 – Il Sole 24 Ore 8/11/2014
PER LE AZIENDE USA RICADUTE A FINE ANNO –
La corporate America continua a macinare utili e, al momento, non si registra un impatto del superdollaro sui conti aziendali. Ma questo effetto potrebbe farsi sentire sui conti già a partire dall’ultima frazione dell’anno.
Al 4 novembre il 74% delle società dell’S&P 500 aveva riportato i dati del terzo trimestre: la crescita media dei profitti su base annua è stata del 9,5%, in deciso rialzo rispetto alle ultime stime di ottobre. Questo potrebbe essere un primo effetto concreto del crollo dei prezzi petroliferi. L’indicatore degli utili è molto importante da monitorare, secondo gli esperti, perché in questa fase di mercato i rialzi borsistici si muovono di pari passo all’aumento dei profitti, un peso più importante rispetto ad altre fasi storiche. L’indice S&P 500 infatti da inizio anno sale di circa il 10 per cento.
«La percentuale di società – spiega Luca Gianelle, client portfolio manager di Russell Investments – che hanno realizzato utili per azione (Eps) sopra le attese è ben al di sopra delle recenti medie storiche, e addirittura, se confermata, rappresenterà il migliore risultato a partire dal secondo trimestre del 2010. Le aziende dei settori della salute, della tecnologia e degli industriali stanno sorprendendo positivamente con tassi superiori all’80%, mentre nel settore dell’energia e delle utilities la percentuale scende attorno al 65%. È interessante notare che nonostante la forza dimostrata dal dollaro durante l’ultimo trimestre, un numero di società Usa (Coca-Cola, McDonald’s, J&J ad esempio) non hanno commentato effetti negativi sui risultati di questo trimestre, quanto piuttosto hanno evidenziato un possibile impatto di riduzione per gli utili futuri nell’ipotesi che la divisa statunitense rimanga sui livelli attuali».
Infatti le stime attuali di crescita dei profitti è attesa al 7,8% secondo quanto previsto dagli analisti a inizio novembre, in calo rispetto alle indicazioni di ottobre. E su questa dinamica pesa indubbiamente il fattore dollaro.
Per Corrado Caironi, strategist R&CA ricercaefinanza.it, «l’economia statunitense va bene, i costi dell’energia sono decisamente in calo e questo si ripercuote positivamente sugli utili aziendali. L’impatto del dollaro forte ancora non si è visto per effetto di pagamenti diluiti, mentre il calo del prezzo dell’energia è stato più immediato. L’effetto del dollaro sarà più forte nei prossimi mesi e questo rimane un punto chiave da monitorare. Il 63% delle aziende che realizzano più del 30% del business fuori dai confini Usa ha battuto comunque le stime; le multinazionali continuano infatti a fare utili e si sono mosse fino a oggi coprendo in modo intelligente il rialzo del biglietto verde».
Per quanto riguarda il Vecchio Continente oltre il 50% delle aziende ha battuto le previsioni, ma nel corso dell’esercizio le previsioni erano comunque state riviste al ribasso. A inizio anno infatti la stima di crescita degli utili era superiore alle ultime indicazioni che vedono una crescita nel terzo trimestre di poco superiore al 10% su base annua. Per l’intero 2014 il progresso dei profitti delle società quotate sullo Stoxx 600 dovrebbe attestarsi intorno al 6 per cento, guidati dal settore tecnologico e dei finanziari. «Comunque - conclude Caironi - l’incremento dei profitti è in corso e questo rimane un fattore positivo. L’effetto dell’euro debole ancora non si è visto, ma potrebbe farsi sentire già a partire dall’ultimo trimestre dell’anno».
Andrea Gennai, Plus24 – Il Sole 24 Ore 8/11/2014