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 2014  novembre 08 Sabato calendario

SUL TAPPETO DUE CLAUSOLE DI FLESSIBILITÀ

Tra «flessibilità creativa», da respingere perché «non si cambiano le regole durante il gioco», «flessibilità implicita» ma da conquistare sul campo, e «flessibilità preventiva» che dovrebbe scattare in presenza di riforme strutturali già avviate, quali sono alla fine i margini effettivi a disposizione del nostro paese?
La flessibilità creativa cui hanno fatto cenno due sere fa il nuovo commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici e il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem si riferisce alla proposta – rilanciata da Matteo Renzi - di scorporare in parte o in tutto dal calcolo del deficit le spese per investimenti. È la vecchia ipotesi di scuola della «golden rule», cavallo di battaglia di Mario Monti fin dai tempi in cui ricopriva l’incarico di commissario Ue, con annesse le successive declinazioni. Nessun passo in avanti è stato compiuto negli ultimi dieci anni, stante la persistente opposizione della Germania e l’oggettiva difficoltà a individuare criteri armonizzati per l’intera Ue. A quali spese in conto capitale accordare questa sorta di corsia privilegiata?
In altra direzione la «mini golden rule» prevista dal cosiddetto «braccio preventivo» del Patto di stabilità, da accordare ai paesi fuori dalla procedura per disavanzo eccessivo. In sostanza, la quota nazionale dei progetti europei cofinanziati dall’Unione andrebbe esclusa dal calcolo del deficit. Chance che sembrò aprirsi lo scorso anno per il governo Letta, poi naufragata in seguito alle obiezioni avanzate dalla Commissione sul percorso di riduzione del debito, sui tagli attesi dalla «spending review» e sui proventi da privatizzazioni. Al momento l’opzione è di fatto congelata. Se pur in linea con il parametro del deficit nominale, l’Italia resta sotto esame per la presenza di «squilibri macroeconomici eccessivi». Il governo ha potenziato la riduzione del deficit strutturale dallo 0,1 allo 0,3% del Pil, ma resta lo slittamento al 2017 del pareggio di bilancio. Poiché il deficit strutturale va ridotto dello 0,5% ogni anno, la strada della «mini golden rule» pare preclusa.
Restano sul tappetto le due «clausole di flessibilità», già previste dal Fiscal compact. La prima, che il governo ha chiesto di far valere già con il «Def» di aprile (ora ulteriormente legittimata alla luce del peggioramento del ciclo economico) fa appello alle «circostanze eccezionali». In questo caso, poiché l’economia è per il terzo anno consecutivo in recessione, il ricorso a tale clausola di flessibilità si traduce in maggior tempo a disposizione per centrare gli obiettivi concordati (è la «deviazione temporanea» rivendicata dall’Italia). Ne potremo fruire quest’anno, non nel 2015 considerato che il Pil tornerà (se pur di poco) a superare lo zero. Infine l’altra clausola, cui ha fatto cenno a più riprese il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che rientra nel capitolo della «flessibilità preventiva», da invocare a fronte di un piano organico di riforme già realizzate e attuate. Riforme in grado di accrescere il potenziale di crescita dell’economia.
Se questo è il quadro, restano da risolvere le divergenze tra Roma e Bruxelles nella stima del prodotto potenziale (cui è connesso il cosiddetto output gap). Per il Mef, se la stima del Pil potenziale continua a essere costruita a politiche invariate, le conseguenti scelte di policy risultano falsate «ab origine». S’impone un aggiornamento della metodologia prevista dal «Two Pack», anche in relazione alla stima degli effetti delle riforme proprio sul potenziale dell’economia.
Dino Pesole, Il Sole 24 Ore 8/11/2014