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 2014  novembre 08 Sabato calendario

I QUARANT’ANNI DI MAGIE DELL’ESPLORATORE DEL PIERO

Nei secoli fedele a quel numero marchiato sulla maglia, sulla pelle e nel cuore, domani Alessandro Del Piero compie quattro volte 10 anni. Cifra tonda e insieme quadrata, proprio come il personaggio che rappresenta. Rito di passaggio e traguardo, snodo esistenziale, fine dell’età “quasi giovane” (l’illusione dei trentenni) e, per un atleta, rosso striscione dell’arrivo. Anzi, quasi tutti i grandi quarantenni hanno smesso assai prima di lui, invece Ale (non Alex: si arrabbia) continua, a oltranza. In India, dopo l’Australia. Terre di confine per un calciatore praticamente esploratore. «Sono sempre curioso, sogno ancora e lo auguro a tutti».
Pur essendo, in fondo, un ragazzaccio antico (le radici bene affondate in provincia, la famiglia robusta, una moglie normale e non velina, i cosiddetti valori, la faccia pulita), Del Piero sa cavalcare le più moderne forme di comunicazione, così il suo compleanno è diventato un hashtag: #ADP10X4. Il conto alla rovescia sul suo sito internet è quasi esaurito, al contrario della voglia di giocare a pallone: «Mi confronto con l’età e con le responsabilità, è ovvio, ma del futuro dopo il calcio parliamone tra qualche anno». Perché nessuno riesce davvero a dire addio a una vita esaltante, nessuno sa staccarsi da quella vertigine per fare altro, per diventare altro. Così Del Piero ha deciso di andare avanti fino all’ultimo palleggio, e poi chissà.
Per raccontarsi, ancora nel sito, Ale ha scelto quattro fotografie, una per quadriennio: un bimbo col berretto, un ragazzino pieno di riccioli, un fuoriclasse che fa la lingua e un quarantenne un po’ stempiato, ma sempre portatore sano di quel sorriso liquido, occhi chiari e il resto di conseguenza. «Sognavo di diventare calciatore, e sogni ne rimangono tanti». Parola totemica, sogno. Insidiosa e magica, un po’ abusata. Ma provate voi a farne senza.
Tra i molti messaggi in arrivo, a Del Piero farà particolarmente piacere quello di Francesco Totti, consegnato in esclusiva a Repubblica (vabbè, lo chiama Alex e non Ale ma nessuno è perfetto). La vittoria di Berlino, evocata dal capitano della Roma che la condivise con quello della Juve, avversari e mai nemici, omologhi in un tempo senza più bandiere, è senz’altro la più importante nella storia di Del Piero. Che in Germania non era titolare, ma risolse ugualmente la semifinale contro i tedeschi e poi segnò uno dei rigori fatali alla Francia. Campione inarrivabile, è quasi superfluo ricordare i numeri che lo incarnano: la Coppa del mondo, sei scudetti più uno revocato, la Champions, l’Intercontinentale, una selva di record più densi e numerosi delle api in un alveare, 290 gol e 705 presenze in bianconero. Il profilo su Wikipedia sembra un volume dell’enciclopedia britannica. In confronto al racconto delle sue gesta, Dante era un tipo sintetico.
Impossibile scegliere i giorni di maggior gloria, i momenti di assoluta pienezza, i gol “alla Del Piero” o anche solo incredibilmente normali, ma di sicuro l’ultima volta con la maglia bianconera (Juve-Atalanta, 13 maggio 2012) non ha paragoni: lo stadio salutò Ale a partita in corso, come se quella partita neanche esistesse (era così). Ora gli anni sono trascorsi, le ruvidezze di quell’addio forse superate, in fondo la Juventus non aveva tutti i torti nel pensare a un altro tipo di futuro per se stessa e per il suo capitano: il tempo passa, l’importante è come.
La storia adesso è finita, anche se Ale non lo ammetterà mai. Ma non si esaurisce il suo essere il campione più juventino di sempre, sicuramente il più grande, e allo stesso tempo un patrimonio di tutti. Perché la bellezza non ammette proprietà privata, e le si deve dire solo grazie.
Maurizio Crosetti, la Repubblica 8/11/2014