Eugenio Scalfari, la Repubblica 8/11/2014, 8 novembre 2014
QUEI BOSS DELLA CAMORRA SPAVENTATI DA UN LIBRO
Lunedì si chiude davanti al tribunale di Napoli il processo contro i boss camorristi che hanno minacciato pubblicamente di morte Roberto Saviano e la giornalista del Mattino e ora senatrice del Pd Rosaria Capacchione. Si tratta di Francesco Bidognetti, Antonio Iovine, che nel frattempo si è pentito, e altri dei quali Saviano scrisse la prima volta su Repubblica del 6 luglio 2007 e sui quali tornò in molte altre occasioni, indicandoli come i principali rappresentanti della nuova camorra casalese.
La tesi di Saviano, che da allora è diventata un punto centrale della politica italiana, sostiene che i fenomeni mafiosi e camorristi condizionano l’intera politica e l’intera economia del nostro Paese e determinano la corruzione, l’evasione fiscale, il lavoro nero. Se si cambiasse questa situazione si trasformerebbe assai probabilmente l’intero assetto della vita pubblica italiana.
Questa tesi — nella quale anche io credo — è diventata un punto centrale della nostra politica, ma ho sbagliato ad usare il verbo “è diventata”. In realtà avrebbe dovuto diventare ma purtroppo non lo è affatto. Le reiterate denunce di Saviano sono rimaste in gran parte lettera morta, la lotta alle mafie avviene soltanto con parole e si concentra su fenomeni antichi che risalgono a più di quindici anni fa.
È oggi che bisognerebbe operare ed è questa la ragione per cui l’esito del processo di Napoli contro la banda dei Casalesi è fondamentale.
Tra l’altro è in gioco anche il modo con il quale vive ormai da anni Roberto Saviano: un incubo permanente, una scorta a sua sicurezza che limita la sua libertà fino all’ultimo respiro, un’esistenza rapsodica che lo obbliga a cambiare ogni giorno il suo domicilio, impedendogli una residenza stabile, una famiglia, una serena compagnia. Questa situazione lo ha obbligato da circa due anni a trasferirsi per lunghi periodi all’estero e in particolare negli Stati Uniti dove le misure di sicurezza nel suo caso sono meno asfissianti e gli consentono un sia pur limitato spazio di libertà che l’ha comunque obbligato ad una assenza dall’Italia. Un sacrificio che i suoi amici sanno quanto gli pesi.
Ho visto Roberto tanti anni fa in una trasmissione televisiva, mi sembra fosse condotta da Daria Bignardi che l’aveva invitato a parlare del suo libro “Gomorra” appena uscito.
Lessi il libro che mi piacque e mi colpì molto; poi vidi il film che ne fu tratto, dove il protagonista Toni Servillo incarnava alla perfezione la duplicità delinquenziale della nuova camorra. E infine ci conoscemmo e diventammo amici.
Dal processo di Napoli è emerso quanto importante sia stato il ruolo della stampa libera, di Saviano e del suo libro nella lotta alla camorra, tanto da spingere i boss a minacciare di morte Roberto. Per questi motivi non può sfuggire a nessuno l’importanza del processo e del verdetto che i giudici pronunceranno lunedì.
Eugenio Scalfari, la Repubblica 8/11/2014