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 2014  novembre 07 Venerdì calendario

UN PAESE CHE NON FA I CONTI CON LA REALTÀ


L’Italia? È il Paese più ignorante al mondo secondo l’indagine appena conclusa da Ipsos, “I pericoli della percezione”. Uno studio svolto in 14 Stati, dall’Australia al Canada, dal Giappone alla Corea del Sud, dalla Francia alla Svezia. Dove per ignoranza si intende una visione scorretta della realtà, basata più sui pregiudizi che sui fatti. L’Italia svetta: è prima nella classifica finale per la scarsa accuratezza con cui i suoi abitanti interpretano il mondo. La seguono a ruota gli Stati Uniti e la Corea del Sud. I virtuosi, cioè i meno “ignoranti”, sono giapponesi, tedeschi e svedesi.
Ma che cosa non sanno gli italiani? Praticamente tutto. Non c’è un dato sul proprio Paese che riescano a padroneggiare: per fare qualche esempio, sovrastimano la presenza di immigrati, di musulmani, la disoccupazione, la quantità di persone anziane. Dall’altra parte sottostimano il numero di cristiani e la percentuale di votanti. Come non bastasse, non sanno quale sia l’aspettativa di vita di un bambino appena nato e quante sono le adolescenti già diventate madri.
Le domande – poste online tra il 12 e il 26 agosto 2014 dal Global @dvisor, strumento di ricerca che monitora mensilmente fino a 24 Paesi – sono state rivolte a un campione di circa mille persone per ciascuno Stato (salvo Belgio, Ungheria, Polonia, Corea del Sud e Svezia, dove il campione è stato di circa 500), di età compresa tra i 16 e i 64 anni.
«Questi risultati non ci stupiscono affatto», spiega Luca Comodo, direttore della Divisione politico-sociale di Ipsos. «È risaputo che l’Italia è un Paese con scarsi tassi di lettura, in cui le persone sono poco informate. Quasi la metà della popolazione non legge nemmeno un libro all’anno, i giornali vendono meno copie oggi di quante ne vendessero nel Dopoguerra (4,5 milioni contro 6)».
Neanche internet ci salva dall’ignoranza: «Sul web si trova di tutto, ma gli utenti non sanno usare con cura le fonti quindi la confusione sui fatti aumenta». Risultato: si tende a ingrandire i fenomeni che fanno paura, quelli di cui si sente più parlare, senza andare a verificare come stanno davvero le cose. E così gli italiani pensano che il 30 per cento della popolazione sia immigrata, quando il dato effettivo si ferma al 7.

Sindrome dell’accerchiamento. A onor del vero, tutti i 14 Paesi coinvolti dalla ricerca sovrastimano l’immigrazione, ma l’Italia è prima in classifica con un errore del 23 per cento. Sbagliata anche la stima dei musulmani che vivono in Italia: il 20 per cento è la percezione, il 4 per cento la realtà. Ma in questo caso è la Francia il Paese più “ignorante”, l’Italia è solo sesta. Sempre parlando di religione, l’altro abbaglio riguarda il numero di cristiani presenti nei vari Stati: tutti i Paesi (a parte la Germania) tendono a sottostimare questo dato, come se si sentissero “accerchiati” dai musulmani. Invece la realtà è ben diversa: in Italia l’83 per cento della popolazione è cristiana. Ma gli intervistati si sono fermati al 69.
L’elenco di errori continua: prendiamo la disoccupazione. Gli italiani pensano che il 49 per cento dei connazionali sia senza lavoro, praticamente una persona su due. «Una sovrastima clamorosa, oggettivamente insostenibile», dice Comodo. «Il dato effettivo è pari al 12 per cento. Nessun altro Paese ha un dislivello così alto tra la percezione e la realtà sul tema del lavoro: questo fa capire quanto poco gli italiani siano informati».
Ma non è tutta colpa delle persone: «Questa cultura poco fattuale è radicata nel Paese, coinvolge in primis la classe politica», precisa Comodo. «Quando mai i politici si siedono attorno a un tavolo con dei numeri? Non riescono nemmeno a mettersi d’accordo sui dati oggettivi. Si ragiona sempre a partire da opinioni e pregiudizi, è chiaro che questo atteggiamento poi si diffonde a cascata».
Le conseguenze. La diagnosi, insomma, è seria: «Questo studio conferma l’immagine di un Paese un po’ arretrato e in difficoltà a capire le dinamiche attuali. Il problema è che una percezione distorta ha comunque delle conseguenze reali: i famosi pericoli che danno il titolo alla ricerca». Quali sono? «Enfatizzare le situazioni negative porta a chiudersi, ad autoescludersi. Il rischio che corre l’Italia è di avere paura di affrontare il futuro».