Angela Frenda, Sette 7/11/2014, 7 novembre 2014
MAI FIDARSI DI UNO CHEF, SOPRATTUTTO SE È MAGRO
Per capire di cosa stiamo parlando, basta sfogliarlo: di foto dello chef ne troverete solo due (più una quasi coperto dalla sua brigata). Il libro del cuoco più bravo d’Italia (il numero tre nel mondo) è stato scritto per essere, davvero, un libro sulla sua cucina. Poco, molto poco, sul suo personaggio. Perché Massimo Bottura è fatto così. Se una cosa decide di affrontarla, lo fa a modo suo: serio, visionario, perfezionista. Ma soprattutto lo fa portandosi dietro un messaggio: quello che chi diventa famoso come lui e prende tre stelle Michelin non può (ma anche non vuole) lasciarsi alle spalle il compito di parlare del suo Paese. E infatti il titolo lo dice molto chiaramente: Vieni in Italia con me (Phaidon, in Italia per L’Ippocampo, in questi giorni in libreria). Tutt’altro titolo, invece, negli Stati Uniti: Never trust a skinny italian chef. Il come sia nato, Bottura l’ha spiegato a un divertito Charlie Rose nel suo show, durante il suo tour di promozione negli Usa: «L’idea mi è venuta una volta entrando nella cucina di un ristorante a Los Angeles. Lessi un cartello con quella scritta: mai fidarsi di uno chef italiano magrolino. E dopo aver riso pensai: ma perché? No, io devo fare del mio meglio perché tutti mi credano! Ma è stato anche un modo per prendere le distanze da tutto. Essere in grado di ironizzare su se stesso è una qualità fondamentale per chi fa il mio lavoro. Insomma, non dobbiamo mai dimenticarci che siamo pur sempre solo dei cuochi…». Charlie Rose ha apprezzato, così come sembra stiano facendo gli americani, ai quali il libro sta piacendo molto. «Negli Stati Uniti, quando l’ho presentato, sono impazziti. Credimi…», dice Bottura emozionato. E vederlo in tv a raccontare l’Italia e la cucina italiana in un perfetto inglese e con l’aria di un italiano che non sembra Fantozzi, beh, emoziona anche chi si trova casualmente a osservarlo.
Prendete Oops, mi si è rotta la crostatina. Nel libro la fotografia è quasi alla fine, a pagina 263. Eppure, è uno di quei piatti che forse meglio rappresentano lui e la sua filosofia visionaria. Ma soprattutto racconta tanto dei suoi ragazzi, «che ogni giorno interpretano quello che penso. Anzi, sanno già quello che penso», racconta Bottura quasi stupendosi. «Credo sia chiaro a tutti, no, che questo non è un libro su di me… Basta dare un’occhiata alla copertina: senza tempo (di pelle marrone, ndr). Che può essere di un volume dell’800 o degli anni ’50. Poco modaiola, poco civettuola. Ma perché questo non è un libro di tendenza, di moda. Questo, è un libro sulla creatività che viene espressa, ogni giorno, all’Osteria Francescana. E infatti i protagonisti sono loro, la mia brigata».
E lo chef? «Ah, mi si vede pochissimo, giustamente. Perché non volevo una roba di autocelebrazione. Basta, ce ne sono già troppe in giro. È sufficiente guardare gli scaffali delle librerie. Una scelta di campo e di comunicazione. Il mio obiettivo, infatti, è che tutti sapessero che cosa in questo periodo sta esprimendo la cucina contemporanea: il cuoco che mette da parte il suo protagonismo per fare spazio alla tecnica. Che sublima la materia prima. Non l’ego dello chef». E qui parte la sinestesia (il suo modo di pensare a voce alta divenuto oramai famoso tra amici e non). Anche quando illustra il concetto di “libro di servizio e di racconto”. «Perché», spiega, «è tutto sulla creatività. Anche le ricette, le abbiamo messe alla fine. Il cuore di questo lavoro è quello di raccontare i nostri piatti e come sono nati. Perché sono nati. Capirne il processo creativo». Tanto per fare un esempio, Charlie Rose è impazzito quando Bottura gli spiegava la sua metafora del bicchiere: «Il cuore della mia cucina? Sono riuscito a sintetizzarla in un bicchiere con la ricetta della Compressione di pasta e fagioli. Sul fondo ci ho messo la crème royale di foie gras, il mio omaggio a Alain Ducasse. In cima una spuma di rosmarino, in onore al mio altro grande maestro, Ferran Adrià. E in mezzo? In mezzo ci ho messo mia madre, mia prima vera grande fonte di ispirazione, e la sua passione per la crosta di formaggio nella pasta e fagioli. Io, insomma, in definitiva ho tolto la pasta e ho messo le croste nella crema di fagioli, giusto al centro».
Lavoro di squadra. Perché questo libro è più una raccolta di emozioni che un libro di ricette, che sono scritte volutamente alla fine in un carattere più piccolo di quello usato per la narrazione di ricordi, storie e aneddoti. E così eccoci nella cucina dell’Osteria del Campazzo dove Bottura ha acceso i primi fornelli assieme alla rezdora (in emiliano la regina della casa) Lidia Cristoni. La moglie Lara, sedotta grazie a una vellutata di carciofi. La pazza notte dei World’s 50 Best Restaurants nel 2014, quando nacque anche una delle ricette più note di Bottura, il “bollito non bollito”, che nella mise en place ricorda lo skyline di New York. Ricordi, racconti, pensieri… Ma pochissima mediaticità. Soprattutto televisiva. Come ammette lo chef: «La mia cucina non è come quelle che fanno vedere ora in tv, dove si viene umiliati e si urla. Noi condividiamo tutto, dal duro lavoro alle risate. A questi ragazzi della mia brigata dico sempre esprimete voi stessi, siate coraggiosi, rimanete concentrati sul vostro sogno, solo così potrete realizzarlo».
Radici forti. La cosa divertente di questo primo libro di Massimo Bottura è che in questo caso, accanto ai suoi “pensieri animati”, per la prima volta i lettori potranno trovare in appendice anche le ricette originali dei piatti che hanno reso famosa l’Osteria Francescana. E, magari, vincendo il timore reverenziale, provare a rifarli. «Perché no? Il motivo per cui ho scritto questo libro», spiega sempre lo chef stellato, «è che dopo le insistenze di amici, colleghi e di mia moglie Lara, ho capito che era venuto il momento di fare ordine proprio tra le mie idee. E sforzarmi di mettere tutto nero su bianco. Giorno dopo giorno. Concetto dopo concetto. Ecco, posso dire tranquillamente che vent’anni della mia carriera sono in questo libro». I piatti: Pollution, riso cacio e pepe, Pane, burro e alici, Una faraona non arrosto, Ossobuco…. Ma anche il suo mondo: il Futurismo, Pollock, Thelonious Monk, New York e l’America in genere, l’amore per le macchine, Bob Dylan, la mamma Luisa, la moglie Lara. Poi, soprattutto la sua terra: l’Emilia Romagna. Perché quando finisci di sfogliare Vieni in Italia con me capisci che Bottura è uno degli chef che in questo momento uniscono al meglio tradizione e cucina moderna. Basta assaggiare le sue tagliatelle al ragù. Più buone (forse) di quelle della mamma. Stavolta forse è proprio il caso di fidarsi di questo chef magrolino.