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 2014  novembre 07 Venerdì calendario

MA CHE MODI! – [L’ONDA DEL PREMIER INDIANO SPAZZA VIA LA VECCHIA POLITICA]


MUMBAI. La Modiwave, l’onda di Narendra Modi, ha spazzato in meno di cinque mesi quasi ogni bastione di resistenza al suo potere dentro e fuori dall’India. «Io sono un miliardo e 250 milioni di indiani». È giunto a dire il neo premier in un recente discorso pubblico. Gli Stati Uniti hanno subito steso tappeti rossi dopo avergli più volte negato il visto come persona indesiderata per il suo ruolo nei mass media di musulmani in Gujarat, nel 2002, e Obama l’ha invitato a cena con Michelle.
Dicono di lui che possiede lo charme di un incantatore di serpenti nel covo di cobra della politica indiana, dell’eroe popolare uscito da un set dei film di Bollywood, del guru-dittatore che governa senza alzare la voce, rigido e flessibile all’occorrenza, efficiente e diffidente. Fatto sta che anche la stampa, un tempo ostile e ricambiata, ha trovato gratificazione nei nuovi modi di Modi, improvvisamente ingentilito quasi suadente, come quando ha fatto complimenti a tv e giornali per aver divulgato la sua campagna per l’India pulita, o Swaach Bharat. Ma da tempo il 64enne Modi twitta, chatta, si manifesta via ologramma online a comizi e meeting di partito, usa Facebook e Whatsup, e sopra tutto sogna di dare l’accesso Internet a tutte le famiglie indiane, per ottenere certificati, informazioni sul prezzo delle sementi, aprire un conto in banca, trovare le opportunità di lavoro e le quote riservate di posti pubblici alle diverse caste. Una rivoluzione cibernetica e culturale impensabile col soporifero stile di Manmohan Singh, l’uomo del Congresso dei Gandhi che lo ha preceduto senza lode sulla poltrona di primo ministro.
Modi cambia al ritmo di 4, 5 al giorno le sue impeccabili giacche kurta abbottonate su stiratissime camicie a maniche corte, ma anche nello stile è latore di un medito messaggio semplice e diretto per la gente dell’India: «Cominciamo a ripulirci come hanno fatto i nostri connazionali all’estero, e poi presentiamoci al mondo col peso della nostra antica cultura applicata al moderno». La chiamano la filosofia di Mr Clean, anche se l’irriverente Mulayam Yadav, eminenza grigia del governo dell’Uttar Pradesh, si è domandato quando e come avrà tempo di governare se passa il suo tempo tra docce, sarti e guardaroba.
Durante un amichevole tè cerimoniale per le feste di Diwali nella sede del Partito, al quale sono stati invitati più di 500 giornalisti e proprietari dei media, Modi ha rotto il ghiaccio dicendo che la stampa indiana ha usato «la penna come una scopa», inteso come un complimento, visto che tiene al suo Swachh Bharat più che a ogni altra operazione di marketing politico della sua travolgente campagna, dall’idea degli avveniristici «treni proiettile» al motto Make in India, produci in India. L’impatto è stato immediato in un Paese dove 20mila scuole statali non hanno bagni e 636 milioni di esseri umani vanno a fare i loro bisogni fuori dalla casa, con gran parte delle 25mila violenze l’anno contro le donne consumate da parenti, vicini, conoscenti del villaggio che le seguono nel loro unico angolo di intimità.
Modi è cresciuto in una famiglia modesta vendendo migliaia di tè alla stazione della sua città del Gujarat, un lavoratore bambino come i milioni più sfortunati di lui che ancora oggi passano spesso nelle mani dei trafficanti di schiavi. Ma a casa sua Narendra aveva un cesso privato e come lui tutti i fratelli in un modo o l’altro hanno studiato e si sono sposati con donne e uomini di casta più alta.
Membri livorosi del Congresso appena sconfitto dicono che il premier ha usato solo per calcolo l’arma della sua umile origine, così da raccogliere i voti di un serbatoio elettorale vastissimo com’è quello delle Obc, o altre caste arretrate, ma che in realtà il premier appartiene a un censo superiore, i Modh Vanik, comunità braminica dei Modh Ghanchi, a loro volta suddivisi in diverse categorie secondo i mestieri. Vero o no, la storia di Modi è una delle tante che spiegano l’influenza del «progresso» sul fattore censo. I Modh Ghanchi erano infatti pressatori d’olio, e vivevano attorno ai piccoli giacimenti di oro nero dove si formavano villaggi misti e maleodoranti. Con l’esaurimento delle riserve e il processo di industrializzazione, ognuno dei Ghanchi si è cercato un altro luogo e mestiere: i genitori di Modi quello dei chaiwalla, venditori di tè.
In India l’origine spesso rivela tratti della personalità dell’uomo nei suoi comportamenti secondari, destinati a formare l’insieme del carattere e dell’immagine. Gli avi di Modi, costantemente unti e olezzanti, hanno cambiato con il mestiere anche la propria igiene e con essa quella dei figli. Mai avrebbero mandato piccolo Narendra a fare il chaiwalla con un abito troppo macchiato, perché nessuno avrebbero comprato le sue bevande. È stata una delle tante lezioni di vita che il premier ha arricchito durante le lunghe adunate di indottrinamento religioso e morale nelle «parrocchie» dei templi hindu, o nei campi della Rss, la più grande associazione civile del sangha religioso, controversa e messa più volte al bando fin dalla sua origine alla metà degli anni Venti, quando il suo fondatore viaggiò in Europa e restò folgorato dai principi di difesa della razza di Hitler e dall’organizzazione dei Ballila di Mussolini.
Rinnegare, o meglio, ignorare gli aspetti più reazionari e ortodossi della Rashtriya Swayamsevak Sangh, l’Unione nazionale dei volontari, è parte della nuova strategia di risciacquo in Gange della vecchia immagine di Modi. Obiettivo a breve: trasformare l’India nella nuova Bengodi della libera impresa, e più in là sfidare alla pari gli avversari del grande scacchiere economico internazionale. Ma per ospitare ingegneri, tecnici e manager stranieri, americani, europei, giapponesi e cinesi, (Make in India), andrà esteso ovunque il modello Gujarat: ripulire i villaggi, costruire strade decenti, creare infrastrutture per le industrie e sistemi di irrigazione.
Dopo aver vinto con queste promesse le elezioni generali di maggio, portando il partito nazionalista Bjp ad avere la maggioranza assoluta, la spinta propulsiva del suo modello si è ripercossa nelle urne per il rinnovo dei governi di due Stati che un tempo non gli appartenevano. Uno è il piccolo Haryana, cuore della cow belt del fondamentalismo induista a due passi da Delhi, l’altro il grande Maharastra, col suo capoluogo-capitale commerciale dell’India, Mumbai. Anche se non ha i numeri per una maggioranza assoluta come quella nazionale, qui il Bjp di Modi ha solo l’imbarazzo della scelta, a cominciare dall’alleanza con la destra estrema hindu dello Shiv Sena, che controlla milioni di voti ma non può più dettare condizioni.
Infatti anche ex sostenitori del Congresso come l’Ncp di Sharad Pawar, sono pronti a saltare sulla sua barca, senza contare le strizzatine d’occhio che altri membri del passato regime gli stanno rivolgendo ogni giorno sui social media, come l’ex ministro Shashi Tharoor, autore di complimenti via twitter per la campagna Pulisci l’India, e il capo ministro del Jammu and Kashmir Omar Abdullah, che si è messo a spazzare personalmente le strade di Srinagar. Ma ecco dietro di loro altri congressmen come Digvijata Singh e Ghulam Nabi, «ammirati» dal responso di Modi all’emergenza delle recenti alluvioni, nonché il governatore dell’Assam Tarun Gogol, favorevole al programma del premier di sostegno alle comunità rurali, il Saansad Adarsh Gram Yojana. Perfino l’acerrimo nemico dell’Aam Aadmi Party, il paladino dell’uomo comune Kejriwal, lo ha lodato per la visita ai soldati sul confine durante la festa di Diwali.
Insomma, coi suoi 56 pollici di torace dei quali va fiero e le 14-16 ore al giorno di lavoro. Modi e ormai un mito in questo Paese dove l’aura del carisma viene considerata di natura divina. I seguaci sono giunti a gridare «Har Har Modi», Ode Ode, come quando ci si rivolge al dio Shiva. Ma è prima di tutto tra altri uomini in carne ed ossa che va ricercato parte del segreto della sua onda montante. E qui entra in scena il suo partner politico da oltre tre decenni, Amit Shah, di 14 anni più giovane, uno stratega astuto di recente nominato – grazie a Modi – presidente del Bjp.
La loro amicizia sembra un’eccezione per un solitario come Modi che ha abbandonato sua moglie poco più che ventenne, dopo poche settimane di matrimonio «non consumato», per intraprendere a tempo pieno la vita del sevak, il servitore del prossimo. Il destino, o il karma come direbbero loro, li fa fatti incontrare negli anni Settanta tra corridoi e palestre paramilitari della Rss di Ahmedabad, abbigliati nelle tipiche uniformi coi pantaloncini corti color cachi e i fèz. Modi era stato incaricato da uno dei suoi capi brigata (funziona più o meno come nei boy scout) di introdursi nell’ala politica dell’organizzazione, il Bjp. Sebbene più giovane, Shah già ci militava e si offrì di aiutarlo a reclutare giovani. Da allora il premier è inseparabile da quest’uomo grassottello ex campione di scacchi decisamente fuori esercizio rispetto a lui, che invece fa yoga tutti i giorni e mangia solo vega.
Le loro foto affiancate con al centro il simbolo del loto del Bjp, sono sempre più frequenti sui muri degli uffici di partito e pubblici, e il riservato Shah comincia ora a uscire dall’ombra dov’è rimasto volontariamente relegato per decenni, da capo stratega delle campagne elettorali, da ministro del Gujarat e prima ancora da informatore quando Modi fu mandato a Delhi per fare il segretario del Bjp e lui da Ahmedabad lo aggiornava sulle manovre dei nemici. Per questo il fido Amit è molto più che un braccio destro o un consigliere; è colui che da decenni conserva i suoi segreti, gli elimina le rogne (venne perfino arrestato per una operazione «sporca» condotta dalla polizia quando era ministro degli Interni del Gujarat) e prepara la scacchiera degli uomini chiave da mettere nelle caselle giuste. Insomma, un vero sevak pronto a soddisfare il suo maestro fino all’ultimo, e – a da sé – servire con lui il Paese.
Di certo i ripetitivi riferimenti allo spirito di servizio per il prossimo, in un mondo cinico come quello odierno, finirebbero per diventare stucchevoli se non rivelassero come funziona in pratica l’applicazione degli antichi concetti vedici al sistema di divisione dei ruoli nella società. La casta Obc alla quale appartiene burocraticamente Modi, nei Veda corrisponde infatti a quella dei Sudra, o «servitori del dharma hindu», la quarta categoria di esseri umani partendo dall’alto, coi bramini o sacerdoti a formare la testa, gli kshatryia o guerrieri il tronco, i Vaishyas o mercanti le gambe e infine i Sudra nel ruolo simbolico di piedi. Fuor di metafora, il Sudra Modi sta concedendo, come ha fatto in Gujaral, terre e servizi alle grandi compagnie di casta mercantile, mentre per compiacere sacerdoti e militari si appresta a riscrivere i testi scolastici troppo inclini al secolarismo e all’indulgenza verso le mode occidentali.
Ma per ora, siamo già troppo avanti con il programma.
Raimondo Bultrini