Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  novembre 07 Venerdì calendario

SULL’EURO IL PD CI RIPENSA. DALLA DICHIARAZIONE DI QUALCHE MESE FA DI VINCENZO VISCO – «IO SONO QUELLO CHE HA FATTO L’EURO CON CIAMPI E OGNI MATTINA MI SVEGLIO CHIEDENDOMI SE FOSSE LA COSA GIUSTA» – A QUELLA DI IERI AL FOGLIO DI ALFREDO D’ATTORRE: «L’EURO COSÌ COM’È OGGI NON È PIÙ SOSTENIBILE». PASSANDO PER FASSINA, BAGNAI, BOCCIA, BARCA ETC

Quel che sta avvenendo dentro un pezzo del Pd era semplicemente impensabile qualche mese fa: il “tabù euro” viene messo in discussione. Il perché del blocco psicologico sulla moneta unica lo spiegò, era il dicembre scorso, Stefano Fassina: “L’euro è stato il progetto più ambizioso che s’è data la famiglia progressista europea alla quale appartengo: il suo fallimento sarebbe una sconfitta storica”. Conclusione ironica: “Magari non è lo scenario peggiore...”. Di fronte al settimo anno quasi consecutivo di recessione, però, e con l’aiuto non secondario di una liberatoria irrilevanza interna regalatagli dal trionfo di Matteo Renzi, pezzi di mondo democratico hanno cominciato a pensare fuori dalla scatola della “sconfitta storica”.
Più di qualcuno, per esempio, ha pensato di avere le traveggole sentendo Vincenzo Visco, in un convegno di qualche mese fa, dire all’ingrosso la seguente frase: “Io sono quello che ha fatto l’euro con Ciampi e ogni mattina mi sveglio chiedendomi se fosse la cosa giusta”. È il recupero di una posizione (e di una competenza tecnica) ben presente nella sinistra italiana dei decenni scorsi. Basti pensare alla sentenza scolpita da Luciano Barca, economista del Pci e padre di Fabrizio, durante il dibattito in Direzione sul Sistema monetario europeo, l’antenato dell’euro: “È solo la mascheratura di una politica di deflazione e di recessione anti-operaia”. Era il dicembre 1978.
Le ragioni storiche della presenza italiana nella moneta unica le spiegò lo stesso Visco proprio al Fatto Quotidiano nel 2012: “Avere dentro Paesi come l’Italia ha reso l’euro una moneta più debole di quanto sarebbe stata altrimenti e ha permesso a Berlino di esportare”. L’analisi collima con quanto ripete spesso Fassina (che oggi parla di “uscita cooperativa dall’euro”): “Se non si svaluta la moneta, si svaluta il lavoro”. Il cambio reale viene riequilibrato abbassando i salari: se siete italiani, greci o spagnoli sapete di cosa si parla. Finora, però, la speranza della “famiglia progressista” italiana è stata che Berlino rinsavisse e cominciasse a fare una politica solidale coi partner dell’Eurozona. Non è accaduto, non sta accadendo e si comincia a prenderne atto. Gianni Cuperlo, già cantore delle virtù europee, domani sarà a Pescara a un convegno organizzato dall’associazione A/Simmetrie dall’economista (e collaboratore del Fatto) Alberto Bagnai, il più importante divulgatore anti-euro: “Dobbiamo valutare l’ipotesi di un’uscita”, ha risposto Cuperlo, durante l’ultimo corteo della Cgil, a una domanda sul tema.
Ma questo ripensamento non c’è solo nella cultura ex comunista. Basti leggere quello che dice al Fatto un iper-europeista come Francesco Boccia, amico e compagno di corrente di Enrico Letta, autore del libro Morire per Maastricht: “Cosa serve a questa Unione? Servono gli eurobond, servono investimenti comunitari, servono politiche fiscali coordinate e solidali: noi dobbiamo chiedere queste cose e non discutere dello zero virgola. Se questo non si può fare, allora è un fatto che l’esperienza dell’euro è fallita e bisogna uscirne”.
Non è solo la moneta come strumento tecnico – e come tale mai neutro – ad essere messa in discussione, ma anche le sue implicazioni politiche. Alfredo D’Attorre, deputato vicino a Pier Luigi Bersani, ieri ha dichiarato al Foglio che “l’euro così com’è oggi non è più sostenibile”. A fine giugno, invece, aveva tenuto in un convegno del Pd un intervento in cui la moneta unica era illustrata come una delle funzioni della “rivincita del capitale” iniziata negli anni di Reagan e Thatcher, una rivincita talmente completa da aver catturato nei suoi schemi buona parte della sinistra. Conclusione: “Ci avviciniamo al momento in cui bisognerà uscire dall’evocazione del ‘dover essere’ dell’Europa che vorremmo e guardare fino in fondo l’Europa che c’è”, il momento in cui “la sinistra, se vorrà ricostruire un rapporto coi ceti popolari, non potrà sottrarsi alla ri-nazionalizzazione di parte consistente delle politiche oggi trasferite a livello europeo”. La domanda, ora, è se questo compito sia svolgibile nel post-partito di Renzi. O contro di lui.
Marco Palombi, il Fatto Quotidiano 7/11/2014