Alberto Cerruti, La Gazzetta dello Sport 7/11/2014, 7 novembre 2014
TANTI AUGURI ROMBO DI TUONO
Settanta, come l’anno dello scudetto del Cagliari e del Mondiale in Messico. Settanta, come le sigarette che gli hanno fatto compagnia ogni giorno. Ma soprattutto settanta, come gli anni che compie oggi nella sua sempre più amata Sardegna, vicino ai figli Nicola e Mauro, con le nipotine Virginia, Ilaria, Sofia e Gaia, tutti convocati stasera per una cena riservatissima dall’amico Giacomo. Gigi Riva confessa che questo traguardo gli scoccia più degli altri, perché la spalla e le caviglie gli rinfacciano le battaglie sui campi di tutto il mondo e anche per questo preferisce dribblare le celebrazioni. Dietro quella scorza da duro, però, c’è un cuore tenero che si scioglie quando si sente chiamare nonno dalla piccola Gaia di un anno e otto mesi, o quando parla al telefono con le sorelle Fausta e Lucia, solide radici di una bella famiglia in cui continuano a chiamarlo Luigi, o al massimo zio Luigi.
Skoglund il suo idolo Nel mondo del calcio, invece, per tutti è rimasto Gigi, o Giggirriva per i sardi che lo hanno adottato con la stessa fretta con cui lui si è innamorato della loro terra, scoperta suo malgrado a 18 anni quando lascia per sempre Leggiuno, sulle le rive del Lago Maggiore, dov’è nato e cresciuto dietro l’Eremo di Santa Caterina del Sasso. Numero undici scelto per emulare il suo idolo Skoglund, attaccante svedese dell’Inter, nel 1963 Riva è già titolare nella nazionale Juniores quando Lupi, il suo allenatore del Legnano, gli comunica in aereo che è stato venduto al Cagliari. «Piuttosto sto fermo un anno – gli risponde – ma lì non ci vado». E invece la sorella Fausta che gli fa da mamma, perché è già orfano di entrambi i genitori, lo accompagna a Cagliari e da lì non si muove più. Rifiuta tutte le offerte dell’Inter e della Juve, conoscendo nuovi compagni diventati amici per sempre. Quando non ha ancora la patente, si aggrappa dietro al tram per tornare da via Roma senza pagare. Vive con gli altri scapoli Cera, Nenè e Tomasini, impara a guidare una Fiat 600 presa in comproprietà con Cera e Cappellaro, va a cena a casa del pescatore Martino che gli insegna a mangiare il pesce con le mani, lasciando soltanto le lische. Scopre in anticipo il talento di De Andrè e intanto segna, facendo vincere il Cagliari che diventa sempre più grande. I “pecorai”, come erano chiamati nelle trasferte in continente gli uomini di Scopigno, entrano nella storia nel 1970 quando il Cagliari vince lo scudetto al vecchio stadio Amsicora.
Che sinistro Riva, tre volte capocannoniere, è il simbolo di una squadra e di un’isola e Gianni Brera conia per lui un soprannome che resiste nel tempo: «Rombo di tuono». Ala sinistra con un tiro violentissimo, rigorosamente mancino, forte di testa e potente fisicamente, considerato da tutti il miglior attaccante italiano del dopoguerra, Riva potrebbe giocare anche oggi in Italia e in Europa, perché era e sarebbe un attaccante moderno. Rivedere, per credere, i suoi gol su youtube non soltanto nel Cagliari, ma in Nazionale, l’altro suo grande amore. Debutta in maglia azzurra a 20 anni e quando entra al posto di Pascutti, a Budapest, il telecronista Nicolò Carosio lo chiama Simoni perché aveva il suo numero. E’ l’avvio di un’altra carriera, in cui firma uno dei due gol contro la Jugoslavia che nel 1968 regalano l’unico titolo europeo dell’Italia. Due anni dopo è vicecampione del mondo in Messico. Non ha paura di mettere la gamba che gli rompono due volte, riuscendo a segnare 35 gol in 42 partite, record che da 40 anni resiste a ogni tentativo di imitazione, come la Settimana Enigmistica, anche se lascia la Nazionale ad appena 29 anni dopo il suo secondo Mondiale, nel 1974 in Germania. Forse per questo, dopo aver fatto il presidente del Cagliari negli anni bui seguiti alla retrocessione, accetta con entusiasmo il ruolo di team manager azzurro offertogli dal presidente Matarrese.
Team manager azzurro Dalla fine del 1987, quando debutta in divisa federale sulla tribuna di San Siro per Italia-Portogallo, al triste capolinea mondiale del 2010 in Sudafrica è il prezioso e insostituibile dirigente per quattro presidenti e tre commissari, confessore discreto di sette commissari tecnici, dal primo Azeglio Vicini all’ultimo Marcello Lippi, e soprattutto difensore fedele e implacabile, lui che era stato uno straordinario attaccante, di decine e decine di giocatori che da sempre considera «la parte migliore di questo calcio». Consola Robi Baggio, il campione che lo ha entusiasmato di più, dopo il rigore sbagliato contro il Brasile nella finale mondiale del 1994 a Pasadena, protegge Cassano che con lui riga dritto, polemizza duramente con il suo vecchio compagno in nazionale Rivera per difendere Totti dopo la precoce eliminazione all’’Europeo del 2004. Ma dietro le foto e le dichiarazioni ufficiali spunta il suo vero animo sardo, concreto e silenzioso, che preferisce i fatti alle parole, con gli aiuti privati ai vecchi compagni meno fortunati di lui che non ha mai dimenticato. Si rivolge a un’assistente sociale di Cagliari per trovare un’abitazione decorosa alla figlia e al nipote dello scomparso Martiradonna, si batte per togliere letteralmente dalla strada Nenè, scusandosi quando declina i ripetuti inviti a partecipare a manifestazioni in pubblico. Tra una camminata e l’altra, spesso da solo, preferisce usare il telefonino per ricambiare gli auguri ai compagni tornati a vivere sul continente come Albertosi e Boninsegna, due scorpioni come lui. Perché i compleanni passano, l’amicizia e i ricordi no. E così basta risentire la sua inconfondibile voce nasale per rivivere le emozioni che Riva ci ha regalato. Un grande attaccante moderno che tutti hanno visto segnare, un uomo serio con valori antichi che pochi fuori dal campo hanno avuto la fortuna di conoscere davvero.