Alexander Stille, la Repubblica 7/11/2014, 7 novembre 2014
A GIUDICARE DALLA SCONFITTA SUBITA DAI DEMOCRATICI AMERICANI, PARE CHE IL SENTIMENTO DI DELUSIONE NEI CONFRONTI DI OBAMA ABBIA PREVALSO SULLO SPIRITO PRAGMATICO DEL MENO PEGGIO. ANCHE SE ALLA GENTE I REPUBBLICANI PAIONO AVERE UNA VOCAZIONE A RENDERE IL PAESE INGOVERNABILE
Forse avrei dovuto capire che i democratici andavano verso un disastro elettorale quando un mio amico, un elettore di sinistra, mi ha chiesto due o tre mesi fa: «Obama ti ha deluso? Ricordo l’euforia, le grandi speranze per l’elezione del 2008, le promesse sui grandi temi – rovesciare la crescente disuguaglianza nel Paese, creare una società post-razziale, sviluppare l’energia verde, garantire un’assicurazione sanitaria per tutti, riformare la legge sull’immigrazione. Quello che abbiamo ottenuto sembra così poco...».
«Dipende da come la vedi», gli ho risposto. «Se consideri dov’era il paese alla fine dell’amministrazione Bush, Obama non ha governato male: siamo usciti da una terribile recessione, non ci siamo invischiati in un’altra inutile guerra e adesso più di dieci milioni di persone hanno un’assicurazione sanitaria che prima non avevano. Ma è chiaro che, se usi come metro di valutazione le speranze che erano state riposte in Obama, chiaramente il giudizio è deludente».
Sembrerebbe, a giudicare dalla sconfitta subita da tanti candidati democratici, che il sentimento di delusione abbia prevalso sullo spirito pragmatico del meno peggio. Le possibilità di vittoria per molti senatori ed esponenti democratici sono diminuite proporzionalmente con il gradimento del presidente, calato recentemente sotto il 40 per cento, circa 30 punti in meno di quel 69 per cento che aveva al momento del giuramento nel gennaio del 2009.
All’opinione pubblica piacciono ancora meno i repubblicani al Congresso – hanno un consenso inferiore al 20 per cento – dal momento che hanno dedicato tutti i loro sforzi a rendere il paese ingovernabile. Ma il loro calcolo cinico ha funzionato: in una elezione nazionale quando l’elettorato è scontento è il presidente insieme con il suo partito a pagarne il prezzo. Secondo gli exit poll, circa il 60 per cento degli elettori andati alle urne martedì pensano che il paese sta andando «nella direzione sbagliata». E questo è un campanello d’allarme per il partito che è al governo.
«Ha perso molta della sua base elettorale perché ha promesso tutto e ha fatto troppo poco», ha commentato Charles Lipson, professore di scienze politiche all’Università di Chicago, intervistato dal quotidiano conservatore The Washington Times. «Ci sono molte ragioni per essere delusi», ha sottolineato.
Il rischio serio per i democratici – nel 2016 e non solo ora – è che la nuova maggioranza progressista risultata vincente con Obama nel 2008 e nel 2012 rischia di sgretolarsi. I democratici sono stati sconfitti in posti come il Colorado e la North Carolina – e hanno quasi perso in Virginia, nonostante un candidato estremamente popolare – tutti Stati tradizionalmente repubblicani che, nelle due ultime elezioni presidenziali, erano passati sul fronte opposto.
I cambiamenti demografici negli Stati Uniti sembravano promettere un futuro dorato per i democratici. La crescente popolazione ispanica, che ormai ha superato quella dei neri come principale minoranza in America, si era orientato sempre di più verso il partito dell’Asinello, in opposizione alle politiche dei repubblicani, troppo ostili sui temi dell’immigrazione. E la nuova generazione di giovani – quelli cresciuti nel mondo della rete – era decisamente obamiana. Ma con queste elezioni di midterm il vento sembra essere decisamente cambiato.
Secondo un sondaggio dell’Istituto di politica della Harvard University, gli elettori tra 18 e 29 anni hanno preferito i repubblicani ai democratici 51 al 47 per cento: un ribaltamento totale rispetto al 2010, quando i democratici godevano di un vantaggio di dieci punti. «È tutto falsato, Obama non ha fatto quello che aveva promesso ma i repubblicani non sono meglio» era il commento di uno studente dell’università statale di New York a un giornale dell’ateneo, confermando di non aver alcuna intenzione di andare a votare.
La delusione degli ispanici è ancora più inquietante. La percentuale di chi si identifica con il partito democratico è scesa dal 70 al 63 per cento, nonostante il fatto che il partito repubblicano si sia dichiarato contrario in modo netto alla riforma dell’immigrazione. Dieci anni fa, molti leader repubblicani – tra i quali il presidente Bush – si sono dimostrati moderatamente aperti all’idea di concedere la cittadinanza ai circa 11 milioni di immigrati entrati illegalmente negli Stati Uniti dove, però, ormai vivono e lavorano da molti anni. Ma negli ultimi sei anni, hanno sempre più socchiuso quella porta, fino a chiuderla del tutto.
Per adesso, comunque, a rimetterci è Obama. In campagna elettorale, durante un incontro pubblico, il presidente è stato contestato da una donna che gli ha rimproverato di non aver condotto in porto l’annunciata riforma dell’immigrazione. Dimostrando un certo grado di frustrazione, Obama ha risposto: «Questa signora dovrebbe contestare i repubblicani perché sono loro a bloccare la riforma che stiamo promuovendo al Congresso».
Se permane questo senso di disillusione, i problemi per i democratici potrebbero diventare seri. I repubblicani appaiono davvero molto motivati a riprendersi il potere mentre gli elettori democratici sembrano decisamente sfiduciati. «Non c’era quasi nessuno quando sono andata a votare», mi dice un’amica, «e quando sono uscita dalle urne ho incontrato una conoscente. “Sei andata a votare?”, le ho chiesto. “No”, mi ha risposto, “sono venuta in un centro estetico a farmi una pedicure”».
La partecipazione al voto di martedì è stata solo del 36 per cento, la più bassa da oltre 70 anni. I repubblicani hanno trovato una formula vincente: non far funzionare il governo in modo da generare il cinismo e l’insoddisfazione che simultaneamente fa aumentare l’astensionismo e promuove una visione neoliberista del mondo. Grazie a certe recenti decisioni della Corte Suprema (a maggioranza repubblicana) sono caduti quasi tutti i limiti al finanziamento privato alla politica. La voce dei ricchi è sempre più forte. E questo fa apparire inutile il voto del cittadino qualunque.
Alexander Stille, la Repubblica 7/11/2014