Maria Elena Vincenzi, la Repubblica 7/11/2014, 7 novembre 2014
CASO CUCCHI, PARLA UN AGENTE DI POLIZIA PENITENZIARIA ASSOLTO IN PRIMO GRADO E IN APPELLO: «NON SIAMO AGUZZINI, CUCCHI È STATO PESTATO PRIMA DI ARRIVARE IN CELLA. PER ME QUESTI CUNQUE ANNI SONO STATI UN CALVARIO, SIAMO VITTIME ANCHE NOI»
[Intervista] –
«Si deve indagare su altri orari e altre situazioni. Ma non tocca a me suggerirle». La Corte d’Assise d’Appello, una settimana fa, ha stabilito che l’agente della polizia penitenziaria Antonio Domenici non è colpevole per la morte di Stefano Cucchi. Lo stesso avevano fatto i giudici di primo grado. Ora dopo cinque anni, come aveva già fatto un suo collega nei giorni scorsi, ha deciso di parlare.
Partiamo dalla sentenza. Come l’ha vissuta?
«Per me è stata una conferma. Il mio avvocato, Massimo Mauro, aveva chiesto addirittura l’assoluzione perché il fatto non sussiste. I giudici hanno confermato l’insufficienza di prove. Per me è la fine di un incubo».
Come sono stati questi 5 anni?
«Un calvario. Nessuno può capire cosa vuole dire sapere di non avere fatto nulla ed essere etichettato come un aguzzino, un nazista».
Che cosa ricorda di Stefano Cucchi?
«Era eufemisticamente malmesso. Io l’ho visto poco. Quella mattina ho fatto solo ciò che mi competeva: aprire e chiudere le camere di sicurezza di piazzale Clodio. Lui è stato portato da noi e in aula dai carabinieri».
Che cosa vuole dire «eufemisticamente malmesso»?
«Si vedeva che stava male».
Aveva lividi, lesioni?
«Non lo so. L’ho visto poco». Si lamentava mentre era in cella?
«Non lo so. C’era confusione: c’era molta gente, proprio per questo se fosse successo qualcosa, qualcuno lo avrebbe notato».
Eppure c’è un testimone che dice di averlo sentito urlare. E di aver visto dallo spioncino le divise della penitenziaria.
«È stato ritenuto inattendibile».
Ma che motivo avrebbe avuto di mentire?
«So solo che sono successe delle cose che mi hanno stupito. Samura Yaya era stato arrestato per droga eppure ha avuto il permesso di soggiorno».
Perché lei non ha mai parlato?
«Perché sono indignato. Quello che la famiglia Cucchi sta cercando è la loro verità, non quella delle carte. Si deve indagare su altri orari e altre situazioni. Che non spetta a me suggerire. Noi abbiamo avuto grossi problemi, cambiato luogo di lavoro. Le nostre famiglie hanno sopportato telefonate e citofonate nel cuore della notte. E ancora oggi si mette in dubbio quello che 22 giudici, di cui 4 togati, hanno sancito dopo 5 anni di processo».
Ma lei è un uomo delle istituzioni. Non crede che parlare con i pm e i giudici fosse doveroso?
«Le ripeto: noi siamo arrabbiati. Le vittime siano anche noi. Messi sul banco degli imputati senza motivo. Così hanno fatto anche i pm: si sono fossilizzati sulla loro verità che era quella e quella doveva essere. Sarebbe stato inutile parlare anche con loro».
E la sua verità quale è?
«Che Stefano Cucchi è morto per colpe non addebitabili a me».
Lei è un agente della polizia penitenziaria. È normale che un ragazzo muoia mentre è in custodia dello Stato?
«No. Ma bisogna vedere anche in quali condizioni era».
Ora c’è la Cassazione. Un altro giudizio. Ha paura?
«Non abbiamo fatto nulla. Non possiamo avere paura».
In questi anni ne ha avuta?
«Abbiamo avuto paura della gogna mediatica. Non del giudizio. Per fortuna i giudici non si sono fatti condizionare».
Maria Elena Vincenzi, la Repubblica 7/11/2014