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 2014  novembre 07 Venerdì calendario

IL CASO DELL’ARGENTINO IGNACIO MONTOYA, ALIAS GUIDO CARLOTTO, FIGLIO DI DUE GENITORI DESAPARECIDOS, NIPOTE DELLA PRESIDENTE DELLE NONNE DI PLAZA DE MAYO: «DA QUANDO HO SAPUTO CHE I MIEI GENITORI FURONO UCCISI DAI GENERALI CONVIVO CON LE MIE DUE IDENTITÀ»

«Scoprire di avere un’altra identità è stata un’emozione, però non uno shock. Forse perché i genitori che mi avevano adottato mi hanno reso un uomo sereno, forse perché la mia identità era già precisa. Ma sono sempre io. Solo due cose sono cambiate: ora ho una famiglia grande, all’italiana, vista l’origine della mia madre biologica, mentre quella argentina era più ristretta; e il successo che riscuoto come pianista è incomparabilmente più forte. Dove vado a suonare adesso, con la mia orchestra, c’è sempre la stessa musica, ma molta più gente».
Lo chiamano senor Ignacio. Ma se gli dicono Guido, si gira lo stesso. Ignacio-Guido Montoya Carlotto, nipote di Estela, la leader delle Abuelas di Plaza de Mayo, le nonne che combattono per i desaparecidos dell’Argentina, è a Roma dove ha incontrato il Papa. Tre mesi fa, Ignacio non conosceva il suo vero passato. Poi i dubbi. La campagna delle Abuelas per svelare le ignominie della dittatura militare. La ricerca. E infine, decisiva, inoppugnabile, la prova del Dna. Ignacio Montoya ha scoperto di essere Guido Carlotto. Nipote di Estela Carlotto, nientemeno che la presidente delle Donne di Plaza de Mayo. Ma ha scoperto, soprattutto, di essere figlio di Laura e che anche suo padre era stato ammazzato dai generali.
C’era una presenza impalpabile ieri, all’ambasciata argentina a Roma, al ricevimento in onore di Estela e Ignacio-Guido: quella di Laura, la donna che 36 anni fa partorì suo figlio in un centro clandestino di detenzione a La Plata. Militante della gioventù peronista, quando fu sequestrata scoprì di essere incinta di 3 mesi. Riuscì a far sapere alla madre di essere viva, dicendo che se suo figlio fosse nato maschio lo avrebbe chiamato Guido, come il padre, il marito italiano di Estela. Sei mesi dopo, agosto 1978, i militari convocarono la Carlotto, allora maestra elementare, per consegnarle il cadavere della figlia Laura – «quasi un privilegio», dice adesso – uccisa con una raffica di mitra alle spalle.
Oggi Ignacio-Guido ha i riccioli neri che cominciano a imbiancare. Ma la sua favola felice non turba il suo volto da ragazzo che con pudore racconta una storia da brividi: «I miei genitori adottivi mi hanno cresciuto con amore – risponde a Repubblica – e in assoluta buona fede mi hanno reso la persona che sono oggi. Quando la mia coscienza sociale è emersa, ho sentito la storia dei desaparecidos come mia. Mi hanno così confermato che ero stato adottato, cosa che ignoravo. E nel giro di due mesi ho saputo chi erano i miei veri genitori, e completato la mia identità».
Estela, prorompente: «Oggi sono esattamente tre mesi che conosco mio nipote. Per me lui è perfetto». Ignacio-Guido, timido, non si pronuncia. È sposato, ha la sua carriera di musicista, un duo di tango, un trio itinerante, l’amore per Astor Piazzolla e Keith Jarrett. Una fede anche calcistica (il River Plate, contrapposto al San Lorenzo di Bergoglio): «Sì, con il Papa ho parlato di calcio. E tutti noi (“eravamo in 18 persone, il clan dei Carlotto”, dice Estela) eravamo molto contenti. È un Pontefice dal carattere forte, una persona tenace, capace di dare una svolta alla storia della Chiesa». Estela, 84 anni, accarezza Ignacio-Guido. Se lo coccola con lo sguardo. I due confabulano. «Tutte noi Abuelas stiamo cercando i nostri nipoti – spiega –. Il ritrovamento di Ignacio ha scatenato in Argentina e in tutto il mondo reazioni inaspettate. Noi sappiamo che lui è Ignacio, ma è anche il nostro Guido!».
La vicenda dei Carlotto apre in realtà uno squarcio sulla vicenda dei desaparecidos. Che rischia di toccare l’Italia più in profondità di quanto si pensi. Spiega il ministro Carlos Chernak, diplomatico argentino: «Nell’elenco dei carnefici c’erano anche italiani. Licio Gelli lavorava qui in ambasciata con passaporto diplomatico. Alcuni che la giustizia argentina sta ancora cercando per estradarli possono trovarsi qui. E così alcuni dei bambini spariti, oggi uomini di 30-38 anni, portati allora in Italia. Se qualcuno, come Ignacio, avesse dubbi sulla sua identità, ci contatti». L’Argentina ha cominciato ad aprire gli archivi della giunta. La Chiesa sta già consegnando materiali sui bambini rubati. Il Papa è favorevole. Ai Carlotto, Bergoglio ha detto: «Se puede!». Si può.
Marco Ansaldo, la Repubblica 7/11/2014