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 2014  novembre 07 Venerdì calendario

SOLO E RINGHIOSO PIÙ SARDO DEI SARDI IL TEMPO DI RIVA HOMBRE VERTICAL

[Gigi Riva] –
Compie oggi settant’anni Gigi Riva, ala sinistra della nazionale campione d’Europa nel ’68 e vicecampione del mondo nel ’70, e attaccante del Cagliari dello scudetto (’69/70). Pubblichiamo un estratto dall’introduzione di Gianni Mura al volume Bravi & Camboni di Paolo Piras (Egg edizioni, 248 pagine, 14 euro).
Un mercoledì Scopigno interruppe la partitella dopo che Riva era stato duro su Martiradonna. Non urlò, Scopigno (e quando mai?), ma gli disse: non fare il cretino, se manchi tu possiamo cavarcela ma se manca Mario domenica perdiamo. Gigi abbassò la testa e non disse nulla, sapeva di aver torto. Quel Cagliari aveva gli uomini contati, ma erano tutti uomini veri e bravi calciatori, in qualche caso ottimi. E comunque, anche se il termine non era ancora di moda, facevano gruppo. Gli scapoli mangiavano al Corallo, Riva i compagni lo chiamavano Hud (dal film Hud il selvaggio con Paul Newman). Succedeva che, senza preavviso, si alzasse da tavola e andasse a guidare sulla costa ad altissima velocità. «Dopo un giretto con Gigi ho fatto l’assicurazione sulla vita», mi ha raccontato Boninsegna.
Era un mondo adulto, si sbagliava da professionisti, commenterebbe l’avvocato Paolo Conte (milanista). Ma si sbagliava poco. Senza il coraggio e i gol di Riva, che riportavano al tempo nuragico dei re guerrieri, non ci sarebbe stato scudetto. Ma i gol di Riva non sarebbero bastati, se intorno non avesse avuto una squadra capace di incassare solo 11 gol in 30 partite. «In questi 11, contiamo anche un rigore e un autogol», ha puntualizzato Cera. Contiamoli pure, il numero resta sbalorditivo. (…) Allora non c’erano tante cose che ci sono oggi. Non sapevamo il minutaggio esatto del possesso palla in Juve-Cagliari. Né ci dicevano se una punizione di Riva andava a 107,4 o 112,6 km/ora. E quel colpo di testa, in tuffo, di Gigi alla Germania Est, quando Brera scrisse che la rete si gonfiò come investita da uno squalo, a che velocità andava? E infine, con tutto il rispetto, chi se ne strafotte? I numeri non dicono tutto, a parte quell’11. I numeri dicono poco. I numeri non spiegano per quali strade calcistiche o umane alchimie si arrivi a realizzare l’utopia di uno scudetto a Cagliari. Alla faccia del clima, dello scirocco, delle trasferte disagevoli, della forza anche politica (ci siamo capiti) degli squadroni del Nord.
Tra le alchimie umane bisogna mettere la Sardegna che sicuramente non è la stessa di quegli anni. (…) Sul culto dell’ospitalità, primu s’istranzu, mancari malu, diceva mio padre nel dialetto di Ghilarza, che spero di aver reso senza errori. Prima lo straniero, o l’estraneo, anche se è cattivo. Invece penso che il sardo, specie di mare, sia diffidente, e vorrei vedere, con tutte le fregature che ha preso, le promesse non mantenute, le speranze tradite. La diffidenza dura il tempo di capire chi sei tu che arrivi da su continente, e poi se superi l’esame la sua casa diventa la tua casa.
Riva, per sempre hombre vertical, lombardo ormai più sardo dei sardi, ha una storia sua, piena di dolori e risentimenti, quando mette piede a Cagliari. È solo e ringhioso come un cucciolo di lupo. Di famiglie, di case che si aprono, ne trova tante. E non vuole più muoversi da Cagliari. Ma gli altri? Avevano altre storie alle spalle, meno dolorose, eppure più delle metà di quelli dello scudetto è rimasta a Cagliari anche dopo. Quasi mezzo secolo dopo è ancora lì, e qualcosa vorrà dire.
Gianni Mura, la Repubblica 7/11/2014