Giorgio Santilli, Il Sole 24 Ore 7/11/2014, 7 novembre 2014
QUEI PROGETTI NEL CASSETTO PER PAURA DI UNA FIRMA
Ci sono 200 progetti anti-dissesto per un valore di 197 milioni che dormivano da 15 anni e che si sono svegliati alla sola minaccia - contenuta nel decreto sblocca-Italia - di revoca dei fondi. A svegliarsi sono stati, in realtà, gli amministratori locali che tenevano chiusi nel cassetto progetti e fondi. Dopo anni di "paura della firma", ora sono pronti ad accelerare e rimuovere ostacoli. È la conferma dell’irresponsabilità che uccide l’Italia da tre decenni. Parliamo di frane e dissesto, ma il discorso non cambia se guardiamo a ferrovie, depuratori o riuso urbano.
Intendiamoci. L’irresponsabilità e la paura della firma che paralizzano l’Italia da troppo tempo non sono solo il frutto dell’inerzia amministrativa di sindaci e governatori che per anni lasciano progetti fermi ignorando la valutazione costi-benefici della «opzione zero». O della miopia politica di chi non capisce che stare fermi alla lunga aggrava i problemi e allontana i cittadini dalle istituzioni. Ci sono anche governi che per anni si sono accontentati di mettere in legge di stabilità fondi senza preoccuparsi che fossero spesi, come se bastasse andare a sbandierare nel collegio elettorale un certo numero di milioni assegnati (teoricamente) al territorio. Ci sono troppi interventi con progetti indecenti e si continua a ignorare che senza un salto nella qualità progettuale non ci sarà un’accelerazione della spesa. C’è il patto di stabilità interno che finora ha agito stupidamente, tagliando investimenti e incoraggiando spesa corrente.
Ci sono Tar che fino a ieri potevano permettersi di bloccare opere prioritarie senza motivare sospensive e rinvii. Il giudice è soggetto soltanto alla legge, dice l’articolo 101 della Costituzione, ma preoccuparsi degli effetti delle proprie decisioni per la collettività è responsabile e doveroso. E infatti lo sblocca-Italia suona la sveglia anche per i giudici dei Tar, come dimostra lo sblocco del Bisagno a Genova. La norma appena convertita dal Parlamento prevede che il Tar potrà d’ora in poi accogliere la richiesta di sospensiva solo se i requisiti di estrema gravità e urgenza che motivano la sospensiva stessa «siano ritenuti prevalenti rispetto alle esigenze di incolumità pubblica evidenziate dalla stazione appaltante».
Un concerto gravissimo di irresponsabilità è giunto al capolinea. Restiamo ai piani per la difesa del suolo. Ora Palazzo Chigi e il ministro dell’Ambiente Galletti stanno mettendo in campo un piano nuovo di zecca contro il dissesto idrogeologico per il periodo 2014-2020 con nuove risorse che oscilleranno fra i 5 e i 7 miliardi (per oltre 5 miliardi a carico del Fondo sviluppo coesione). Ottima notizia - segno della sensibilità che questo governo ha dimostrato fin dal primo minuto per la questione - che però resterà un buon proposito sulla carta se prima non si sarà sbloccato gran parte del pregresso. Anche su questo fronte siamo alla resa dei conti. Come è possibile che un Paese, che affonda nell’acqua per poche ore di pioggia, si dimentichi di 400 progetti avviati fra il 1998 e il 2009 e di progetti per 2 miliardi di euro avviati nel 2009-2010? Come si fa a passare da una spesa di 200 milioni l’anno a una spesa adeguata di 600-800 milioni l’anno almeno?
L’unità di missione a Palazzo Chigi con il gran lavoro di monitoraggio che ha fatto, la riforma del patto di stabilità interno, le norme dello sblocca-Italia sui Tar e sulle revoche dei fondi bloccati sono passi importanti ma limitati se confrontati al mare di irresponsabilità da cui partiamo. Possono però essere il primo passo di un percorso decisivo se faranno capire anche in periferia che si chiederà conto di ogni progetto approvato e di ogni euro assegnato.