Paolo Nori, Libero 7/11/2014, 7 novembre 2014
COME LA CODA DEL MAIALE
I primi tempi che pubblicavo dei libri, quando mi invitavano a dei convegni, tutte le volte poi mi trovavo lì che provavo a organizzare un discorso a braccio, che è bello, vedere uno che parla a braccio solo che io, nella mia testa, io sono uno che lavora per parentesi, cioè quando comincio un ragionamento quando sono a metà mi viene in mente una cosa che magari non c’entra tanto che però mi interessa e allora apro una parentesi e ci vado dietro solo che poi, quando chiudo la parentesi io è difficile che mi ricordi quello che stavo dicendo prima di aprir la parentesi e allora quei primi anni mi succedeva spessissimo che stavo lì, davanti magari a cento persone che mi ascoltavano, che avevo appena chiuso una parentesi e non mi ricordavo più come andare avanti e c’eran questi silenzi, che duravan magari qualche secondo, che io cercavo di riempire in qualche modo con dei rumori del tipo «Eeeeeeeeee», oppure «Mmmmmmm», e riuscivo a tirarla alla lunga al massimo per cinque, otto secondi, che sono lunghissimi, otto secondi senza dir niente con cento persone davanti che aspettan che tu dica qualcosa, e quando poi eran passati gli otto secondi che non mi era tornato in mente quello che dovevo dire io non reggevo più e dicevo la prima cosa che mi veniva in mente che non aveva quasi mai niente a che fare con quello che stavo dicendo prima di aprir la parentesi e poi andavo avanti e finivo il mio intervento e quando poi dopo, alla fine di tutto, uscivo dalla sala dove si era tenuto il convengo, mettevo il piede sulla scala, mi saltava addosso l’esprit de l’escalier, cioè mi venivano in mente i discorsi che avevo cominciato e non avevo finito, le cose che non avevo detto e che avrei fatto una così bella figura, se le avessi dette, e eran delle circostanze mortificanti, questi convegni, che han determinato il fatto che io, da un certo momento in poi, quando mi invitavano a questi convegni, io i discorsi da fare al convegno me li scrivo prima, così che posso aprire e chiudere tutte le parentesi che volevo e da quel momento lì l’esprit de l’escalier non ho più saputo dove stava di casa fino all’altro giorno quando mi hanno intervistato per radio, e mi hanno chiesto una cosa a proposito di un romanzo che ho scritto e che è uscito da poco e dove al protagonista succede una cosa che è successa anche a me, cioè lo ricoverano in coma per un trauma cranico e quando si sveglia si accorge che una delle medicine che gli danno è contro l’epiliessia, che ha avuto un attacco epilettico, e un po’ gli dispiace, di aver avuto un attacco epilettico, un po’ però è anche contento perché l’epilessia è una malattia che ha avuto anche Dostoevskij e questo crea un legame, per quanto labile, tra lui e Dostoevskij e questa settimana mi han chiesto per radio se c’erano degli altri legami, tra me e Dostoevskij e io ho detto che è stupefacente che le cose che Dostoevskij scriveva centocinquanta anni fa siano ancora così vive, dentro di me, come dentro tutti noi, e non ero tanto contento di questa risposta ma davo la colpa un po’ alla domanda solo che poi quando ho messo giù che è finita la telefonata, «La calvizie, - ho pensato, - dovevo dir la calvizie. Che bella figura che avrei fatto, se avessi detto la calvizie. Che peccato».