Filippo Facci, Libero 7/11/2014, 7 novembre 2014
CORSIVO
Esempio perfetto di informazione ai tempi di internet. Ieri pomeriggio molti siti riportavano che Totò Cuffaro è stato condannato per diffamazione ai danni di Antonio Ingroia: "Il politico siciliano, in tv da Santoro, disse che Ingroia aveva partecipato ad una cena con l’imprenditore Michele Aiello, condannato per associazione mafiosa". Tutti o quasi hanno riportato la notizia in questo modo, a fotocopia, e nessuno o quasi - tantomeno il Corriere della Sera - ha precisato un dettaglio: che la cena tra Ingroia e Aiello, il mafioso, vi fu. Solo che non fu nel periodo indicato da Cuffaro. Non solo. Ingroia e Aiello - aggiungiamo noi - si parlarono al telefono il 28 febbraio del 2003 alle 9.36. Non solo. Parlarono dei lavori edili che il mafioso Aiello, costruttore, stava facendo a Calatafimi (Trapani) nella masseria paterna di Ingroia, anche grazie a un finanziamento agevolato dalla legge sul terremoto del Belice. Poi andrebbero precisate cento cose: che Ingroia dapprima non sapeva della mafiosità di Aiello, che poi, quando lo seppe, fece il pesce in barile d’accordo col procuratore capo, che l’ex pm non ebbe conseguenze penali, che Aiello in precedenza si era intortato i magistrati di mezza Sicilia. La moraletta è che le cose vanno spiegate bene, senza associazioni maliziose, senza sciatteria: altrimenti ti condannano per diffamazione come è accaduto a Cuffaro, sì, ma è la stessa sciatteria che hanno usato i giornalisti nel riportare la notizia.