Sergio Romano, Corriere della Sera 7/11/2014, 7 novembre 2014
PERCHÉ ESSERE EUROPEISTI SECONDO SERGIO ROMANO: «CREDO CHE IL MERCATO UNICO SIA LA MIGLIORE DELLE RISPOSTE POSSIBILI ALLA GLOBALIZZAZIONE E ALL’INGRESSO SULLA SCENA MONDIALE DELLE ECONOMIE ASIATICHE. CREDO CHE IL MERCATO UNICO E LA MONETA UNICA SIANO FATTORI COMPLEMENTARI DI UNO STESSO PERCORSO»
Nel corso di una conversazione divenuta libricino (La vita oltre l’euro, ed. Rubbettino) l’imprenditore Ernesto Preatoni si dice sconcertato al sapere che autorevoli commentatori (e cita lei per tutti) «sono fideisticamente pro euro e pro Europa sulla base dell’argomentazione secondo cui la Ue sarebbe politicamente più forte della somma dei singoli Paesi del vecchio continente». Prende ad esempio la vecchia Unione Sovietica che, pur essendo stata reputata una superpotenza (economica?) avrebbe fatto patire la fame alla sua gente, con ciò lasciando intendere che è meglio la frantumazione susseguitane. Non so se a suffragio della tesi il paragone calzi, ma in chi ha desiderio di approfondire la tematica di specie (io sono fra quelli) c’è di che interrogarsi. Solo che a mio avviso è bene che le risposte ai dubbi non si facciano attendere troppo giacché sono molti quelli che vedono l’Unione Europea come una pallina dell’albero di Natale: fragile.
Alessandro Prandi
alessandro.prandi51@gmail.com
Caro Prandi,
sono europeista anche per altre ragioni. Credo che il mercato unico sia la migliore delle risposte possibili alla globalizzazione e all’ingresso sulla scena mondiale delle economie asiatiche. Credo che il mercato unico e la moneta unica siano fattori complementari di uno stesso percorso. E per quanto concerne l’euroscetticismo italiano, in particolare, credo che i partigiani del ritorno alla lira rimpiangano gli anni in cui i governi si servivano della svalutazione per aumentare le esportazioni e continuare a spendere in modo dissennato. Chi sogna il passato dimentica che quella politica economica è alle origini della cinica imprevidenza con cui la classe politica ha finanziato se stessa, i suoi partiti, le sue clientele elettorali, e ha accumulato, in ultima analisi, uno dei maggiori debiti pubblici del mondo. Non è tutto. Se qualcuno ancora crede che il ritorno alla lira ci permetterebbe di conquistare nuovi mercati internazionali, non tiene conto di almeno due fattori. In primo luogo potremo svalutare, ma i nostri debiti, fra cui le obbligazioni emesse dall’avvento della moneta unica, saranno pur sempre in euro. E, in secondo luogo, nulla impedirà ai partner commerciali dell’Italia di proteggersi dalle sue svalutazioni competitive con l’aumento dei dazi.
Quanto al confronto con l’Unione Sovietica, caro Prandi, non mi sembra calzante. La debolezza dell’Urss non fu dovuta all’intrinseca debolezza delle grandi costellazioni statali. Fu dovuta a una ideologia che non permetteva di fare buon uso delle straordinarie ricchezze del Paese e condannava i suoi cittadini a mediocri livelli di vita. L’Unione Sovietica sopravvisse al fallimento del comunismo grazie a due guerre: quella vinta contro la Germania nazista e quella fredda fra le democrazie occidentali e il blocco comunista. La prima creò un orgoglioso sentimento patriottico che garantì al regime per molti anni, ancora più del comunismo, una sorta di disciplinata coesione nazionale. La seconda congelò gli equilibri emersi dal precedente conflitto e assicurò all’Europa cinquant’anni di pace.