Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera 7/11/2014, 7 novembre 2014
TANGENTI, VALIGETTE PIENE DI SOLTI E AFFITTI GONFIATI. L’ACCUSA DI CORRUZIONE AL DEPUTATO MARCO DI STEFANO POTREBBE ESSERE SOLTANTO IL PRIMO PASSO DI UN’INDAGINE CHE COINVOLGE BEN ALTRI NOMI DELLA POLITICA ROMANA...
Quelle valigette piene di «documenti e valuta» occultate nel bagagliaio dell’auto che viaggiava dalla Francia all’Italia sembrano essere il simbolo dell’inchiesta che sta imbarazzando il Partito democratico. Perché l’accusa di corruzione contestata dai magistrati romani al deputato Marco Di Stefano potrebbe essere soltanto il primo passo di un’indagine che coinvolge ben altri nomi della politica romana.
Parlamentari della sinistra e della destra accomunati dall’amicizia e soprattutto dagli affari conclusi da Antonio e Daniele Pulcini, imprenditori immobiliari dai mille interessi finiti agli arresti domiciliari per aver pagato il direttore del Demanio del Lazio per «pilotare» un’assegnazione. Costruttori capaci di tessere una rete che partiva da Di Stefano quando era assessore al Demanio della Giunta regionale guidata da Piero Marrazzo, passava per Antonio Lucarelli capo della segreteria del sindaco Gianni Alemanno, arrivava a Fabio De Lillo, ora alla Regione Lazio per il Nuovo centrodestra, ma anche al senatore udc Mario Baccini, ai parlamentari eletti con il Pdl Basilio Giordano e Antonino Foti. Nel gennaio 2013, Pulcini racconta al telefono a un amico di essere «appena uscito dal Campidoglio, ho concordato un posto nella lista civica». Poi fa il conto delle migliaia di voti che può spostare.
Gli affari e le minacce
La tangente da un milione e 880 mila euro (oltre a 300 mila euro per il suo collaboratore) che Di Stefano avrebbe preso per far affittare alla «Lazio Service» (società controllata dalla Regione) due palazzi dei Pulcini al prezzo stellare di 3 milioni e 725 mila euro ciascuno, appare già sufficiente per comprendere quale fosse il modus operandi degli imprenditori. Anche perché quel contratto consentì poi la vendita degli immobili all’Enpam con una plusvalenza che superava il 50% dell’effettivo valore.
Le carte processuali messe a disposizione della difesa mostrano con quale disinvoltura Di Stefano svolgesse il proprio incarico, modificando atti pubblici e rendendo così indispensabile – pur consapevole che invece non c’era alcuna necessità – la locazione degli stabili. Ma rendono chiari anche i suoi movimenti all’interno del partito per ottenere il posto in Parlamento.
Intercettazioni e verifiche compiute dagli specialisti del Nucleo valutario della Guardia di finanza danno conto di quanto accadde dopo le primarie del Pd per la Camera dei deputati quando Di Stefano, primo dei non eletti, al telefono minacciava «la guerra nucleare, comincia da Zingaretti e li tiro tutti dentro», li accusava di essere «maiali, non è che puoi l’ultimo giorno, l’ultima notte buttar dentro la gente, dopo che dici che stai dentro» e candidamente affermava: «Ho fatto le primarie con gli imbrogli». È approdato alla Camera quando il sindaco di Roma Ignazio Marino ha nominato assessore Marta Leonori, che ha così liberato il posto e forse tacitato le minacce. Alla Leopolda era coordinatore del tavolo sui pagamenti elettronici.
Fondi esteri e mazzette
Chiedeva soldi Di Stefano, ma forse non era l’unico. L’indagine coordinata dal procuratore aggiunto Nello Rossi mira a verificare il ruolo di un faccendiere che avrebbe trasferito soldi in Lussemburgo, probabilmente provviste da destinare al pagamento di tangenti. Ma anche a chi fosse destinato il denaro fatto rientrare dall’estero nel febbraio 2013 da Daniele Pulcini. L’imprenditore ne parla al telefono con un’amica, fornisce dettagli su un viaggio in Francia che insospettisce i pm. Scrive il giudice nel provvedimento che autorizza le intercettazioni: «Pulcini, inizialmente intenzionato a recarsi a Nizza a mezzo aereo, ha poi optato per la soluzione stradale incaricando due soggetti. Appaiono emblematici i termini della tentata prenotazione aerea verosimilmente finalizzati a evitare, nella fase di rientro, possibili controlli aeroportuali, talvolta innescati sui bagagli. Non ultimo il fatto di voler evitare la collocazione in stiva di qualcosa di valore, comunque non trasportabile a mano. Potrebbe così spiegarsi la volontà di ricorrere al mezzo stradale nella fase di passaggio di confine tra Francia e Italia, verosimilmente attraversato con materiale e documenti di sicura importanza per Pulcini, probabilmente valuta».
Case, permessi e regali
In occasione delle elezioni la famiglia Pulcini metteva a disposizione dei politici amici i locali da usare come uffici. Secondo i controlli degli investigatori «uno degli utilizzatori potrebbe essere Fabio De Lillo». Agli atti è allegata la trascrizione di una conversazione con uno dei dirigenti del gruppo imprenditoriale.
De Lillo: «Mi diceva il geometra che erano pronti quel...».
Catitti: «Sì, ho tutto. Ho i due contrattini fatti uno per il primo mese e uno per il secondo in modo tale che non li andiamo a registrare e la letterina per l’Acea».
De Lillo: «Perfetto, sto mandando un collaboratore da voi alla reception, ritira lui il plico, me lo porta indietro, io lo firmo e da qui a lunedì vi rimando indietro i comodati d’uso».
Catitti: «Allora lo lascio in busta chiusa, a che nome?».
De Lillo: «De Lillo, sta arrivando, sarà lì in 10 minuti».
Nel provvedimento del giudice vengono annotati anche «svariati contatti di Daniele Pulcini con l’onorevole Mario Baccini dai quali emerge un rapporto piuttosto confidenziale. Le conversazioni oltre ad appuntamenti e incontri riguardano la richiesta a Baccini di interventi finalizzati a caldeggiare certe pratiche burocratiche riguardanti la posizione di una donna, evidentemente amica di Antonio Pulcini, nonché adempimenti aeroportuali nel territorio del Marocco ove lo stesso Pulcini progettava di recarsi in compagnia femminile».