Vitaliano D’Angerio e Federica Micardi, Tobia De Stefano, Il Sole 24 Ore, Libero 7/11/2014, 7 novembre 2014
PENSIONI, TOCCHERÀ AL GOVERNO CHIARIRE SE SARÀ DA APPLICARE O MENO IL TASSO DI CAPITALIZZAZIONE DEI MONTANTI CONTRIBUTIVI. GLIELO HA CHIESTO L’INPS. E DOPO LA LEGGE DI STABILITÀ, LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE E ORA È ARRIVATA LA DOCCIA GELATA ANCHE SUI CONTRIBUTI: «COSA SIGNIFICA? IN SOLDONI CHE QUANTO ABBIAMO ACCANTONATO ANZICHÉ RIVALUTARSI SI SVALUTA»
Il sole 24 Ore,
Il calcolo del coefficiente di rivalutazione delle pensioni sta per arrivare sulle scrivanie di ministero del Lavoro ed Economia. Toccherà al Governo chiarire se sarà da applicare o meno il tasso di capitalizzazione dei montanti contributivi che quest’anno, per la prima volta, è stato negativo (-0,1927%).
A chiedere l’intervento dei due ministeri sarà l’Inps, l’ente di previdenza presieduto da Tiziano Treu. «L’Inps ci sottoporrà un parere sull’applicazione del tasso annuo di capitalizzazione – fanno sapere dal ministero del Lavoro –. C’è da capire se un coefficiente di rivalutazione può essere comparato con un Pil negativo». Come si può infatti parlare di rivalutazione di pensioni se il tasso di riferimento è negativo? Un’aberrazione matematica non prevista dalla riforma pensioni varata dal Governo Dini nel 1995.
Effetto congelamento
La richiesta di delucidazioni targata Inps dovrebbe arrivare già oggi. La conseguenza immediata sarà un congelamento del tasso negativo: a quel punto l’Inps entrerà in stand by fino alla risposta dei due ministeri covigilanti. Presto per parlare di sterilizzazione ma, nei fatti, è questa la direzione intrapresa: bisogna annullare il paradossale effetto sottrazione dei soldi versati dai futuri pensionati, nel «salvadanaio previdenziale». Con quale strumento giuridico verrà eliminato questo fattore distorsivo è tutto da valutare. Oggi tra l’altro è l’ultimo giorno utile per presentare emendamenti alla legge di Stabilità da parte dei parlamentari (il Governo invece non ha limitazioni temporali). «A quanto mi risulta ci si sta muovendo perché già in questa legge di Stabilità possa essere inserita la modifica alla modalità di calcolo del tasso annuo di capitalizzazione in modo che non possa diventare negativo», a dichiararlo è Lello Di Gioia (Psi), presidente della commissione bicamerale di vigilanza degli enti previdenziali. L’incertezza sul coefficiente di rivalutazione delle pensioni ha rilanciato inoltre il tema della “busta arancione”, la stima del futuro assegno previdenziale che gli attuali vertici Inps hanno promesso di inviare entro dicembre, non è chiaro se solo ai pensionandi o a tutti i lavoratori.
Rischio povertà
A chiedere un immediato intervento di Governo e Parlamento sono stati ieri i sindacati. «Va attuata una correzione nel funzionamento del sistema contributivo, prevedendo un tasso di capitalizzazione minimo che impedisca la svalutazione del montante quando il Pil è negativo – hanno fatto sapere congiuntamente Cgil, Cisl e Uil –. Bisogna intervenire con urgenza correggendo tale grave anomalia per non impoverire ulteriormente il futuro pensionistico di milioni di italiani».
La posizione delle Casse
Andrea Camporese, presidente Adepp, l’associazione che rappresenta le Casse di previdenza dei professionisti sottolinea come la rigidità del Mef, che si è sempre opposto alla richiesta degli enti di riversare nei montanti degli iscritti il surplus generato dai rendimenti, sia un atteggiamento anacronistico. Posizione contro la quale la Cassa di previdenza degli agrotecnici ha reagito con successo: «Possiamo garantire ai nostri iscritti, già oggi, un rendimento minimo di 1,5% – fa sapere Roberto Orlandi, presidente dell’Ordine nazionale agrotecnici –. I ministeri avevano detto no alla nostra riforma ma il Consiglio di Stato ci ha dato ragione visto che abbiamo la sostenibilità a 50 anni e i conti in ordine».
Vitaliano D’Angerio e Federica Micardi
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Libero
Non è proprio un bel momento per le pensioni degli italiani. Prima c’è stata la legge di stabilità che, dopo anni di campagne martellanti a favore della previdenza complementare, ha pensato bene di alzare l’aliquota fiscale sui rendimenti dei fondi dall’11,5 al 20%. E ora è arrivata la doccia gelata anche sui contributi che ogni anno versiamo per ritroavarceli poi negli assegni che ci accompagnano dopo la vita lavorativa. In sostanza, come ricostruisce il Sole 24 Ore, il ministero del Lavoro e l’Inps hanno inviato alle Casse di previdenza e al ministero dell’Economia una lettera dove chiariscono che il tasso annuo di capitalizzazione per la rivalutazione del montante del 2014 è negativo: pari al -0,1927%. Cosa significa? In soldoni che quanto abbiamo accantonato (il montante appunto) anziché rivalutarsi si svaluta. E così chi al 31 dicembre del 2013 aveva accumulato 150 mila euro di contributi sconterà un taglio di 289 euro (150.000 x 0,1927:100), chi ne aveva messi da parte 100 mila euro registrerà una perdita di 192, mentre chi poteva vantare un importo da 50 mila euro si ritroverà con una sforbiciata da 96. Una beffa che va ad aggiungersi al danno, cioè al fatto che al netto dell’inflazione le pensioni contributive hanno già perso potere d’acquisto. Piangono in tanti. Perché a rimetterci non sarà solo chi ha mosso i primi passi nel mercato del lavoro a partire dal primo gennaio del 1996 (le pensioni si calcolano con il contributivo per i lavoratori privi di anzianità al 31-12-1995 e per chi esercita la facoltà di opzione al sistema di calcolo contributivo), ma anche chi ha iniziato prima ma è caduto nell’allargamento delle maglie previsto dalla legge Monti-Fornero (dal primo gennaio 2012, anche ai lavoratori in possesso di un’anzianità contributiva di almeno 18 anni al 31-12-1995 sarà applicato il contributivo sulla quota di pensione maturate a decorrere dal 1° gennaio 2012).
IL MECCANISMO Manco a dirlo, tutto ruota ancora una volta intorno alla crescita che non c’è. E al meccanismo ideato dal legislatore nel 1995 (legge Dini) con l’intento lodevole di rivalutare i contributi versati negli anni. In soldoni: si pensò bene di legare la rivalutazione (presunta) all’andamento del prodotto interno lordo degli ultimi 5 anni. E infatti il comma 9 dell’articolo 1 della legge 335/1995 dice che «il tasso annuo di capitalizzazione è dato dalla variazione media quinquennale del prodotto interno lordo, (Pil) nominale, appositamente calcolata dall’Istat, con riferimento al quinquennio precedente l’anno da rivalutare (il tasso poi si applica al montante contributivo accantonato all’anno precedente, quello del 2014 per esempio vale per il montante accumulato al 31 dicembre 2013 ndr)». Così in virtù dell’andamento recessivo del prodotto interno lordo 2009-2013 (pesa come un macigno il meno 5,5% del 2009) l’ipotesi irrealistica di una rivalutazione che si trasforma in svalutazione è diventata realtà. Del resto bastava guardare la serie storica degli ultimi anni per capire come sarebbe andata. Si passa da un tasso di capitalizzazione per la rivalutazione dei montanti del 6,20% nel 1996 al 3,32 del 2009 fino allo 0,1643 del 2013.
LE SIMULAZIONI E non solo. Perché poi alla fine quello che più preme ai pensionandi del Belpaese è il tasso di sostituzione. A quanto ammonterà il nostro assegno previdenziale in rapporto all’ultima retribuzione? Purtroppo anche in questo caso abbozzare un sorriso è quantomeno imprudente. Ed è in buona parte ancora una volta colpa della crescita. «Secondo i dati forniti dalla Ragioneria generale dello Stato – spiega Alberto Brambilla, uno dei maggiori esperti del sistema pensionistico italiano – i tassi di sostituzione paiono più che buoni; si va dal 73 al 79% per i dipendenti e dal 64 al 71% per i lavoratori autonomi. Ma le proiezioni considerano uno sviluppo del Pil reale dell’1,57%, un’inflazione del 2% e una crescita delle retribuzioni reali dell’1,51%. Ma negli ultimi anni tutti i parametri sono cresciuti molto meno delle previsioni». Ecco i numeri. «In sette anni, tra il 2008, inizio della grande crisi economica, e il 2014 avremmo dovuto avere una crescita del Pil reale del 10,984% (la Dini prevede un Pil annuo pari all’1,5%) e invece la rivalutazione in termini reali dei montanti contributivi è stata pari al – 4,541%. Risultato, ad oggi, in termini di rivalutazione dei contributi versati, siamo sotto di circa il 16% (fonte: “Il Punto” Giornata nazionale della previdenza. Il meno 16% arriva dalla somma del 10,98 previsto con il -4,541 reale ndr)». E le cose non vanno meglio sul versante della modestissima crescita delle retribuzioni individuali. «Morale della favola – conclude Brambilla – i veri tassi di sostituzione dovranno essere rivisti al ribasso di almeno 10 punti, cioè sotto il 70% per i lavoratori dipendenti e sotto il 60% per gli autonomi, mentre i redditi e i salari su cui calcolare queste prestazioni saranno bassi ed in media, per il grosso dei lavoratori, (secondo i dati 2012 dell’agenzia delle entrate) non oltre i 1.100 euro netti al mese». E il 60% di 1.100 fa 660 euro: poco sopra la pensione minima.
Tobia De Stefano