Marco Morello, Panorama 6/11/2014, 6 novembre 2014
IL LUSSO DI VIVERE IN UNA «VILLA LEGO»
È come un mobile dell’Ikea di dimensioni esagerate, senza foglio d’istruzioni criptico a corredo e senza la fatica di doverlo trasportare e montare da soli. I pezzi di una casa prefabbricata, già realizzati in uno stabilimento, arrivano a bordo di vari tir. Prima i muri, poi gli impianti, le porte e le finestre, infine il tetto. Ad assemblarli provvede una squadra di operai specializzati con ritmi da record: in media dalle 8 alle 16 settimane, fino al 70 per cento in meno rispetto ai tempi larghi dell’edilizia tradizionale, del mattone su mattone.
La velocità, il passaggio dal progetto alle chiavi in mano, è uno dei vantaggi delle «prefab», per usare la stringata abbreviazione inglese. Gli altri: costi certi, poiché gli elementi dell’edificio sono realizzati al riparo dalle intemperie; prezzi parecchio più bassi, anche meno di mille euro al metro quadrato (rispetto a una media nazionale di 2.250 euro, secondo l’ufficio studi di Immobiliare.it), perché le aziende hanno tanti ordini e s’innescano logiche da economie di scala; efficienza energetica, visto che nei pannelli sono integrate le ultime soluzioni per l’isolamento termico; ampia disponibilità di modelli in legno, calcestruzzo, acciaio e affini da adattare alle proprie esigenze e al luogo in cui si trova il terreno edificabile. Ovunque in Italia, isole comprese. O almeno ovunque ci sia una strada che un camion sia capace di percorrere. Architettura per troppo tempo accostata ai postumi di un’emergenza, al ricovero provvisorio per terremotati, alluvionati e sfortunati affini, con l’ingresso del design sta iniziando a diffondersi anche nel nostro Paese, per ora soprattutto al Nord. «Sono assolutamente convinta che il settore crescerà anno dopo anno. C’è una committenza sempre più attenta all’ecosostenibilità, alla tecnologia, alla qualità, che è approdata alla prefabbricazione perché è in grado di rispondere a queste richieste» dice Valentina Moretti, classe 1982, architetto, nel curriculum esperienze negli studi di Mario Botta in Svizzera e Richard Meier a New York. È la creatrice del brand «More» («fa riferimento a qualcosa di nuovo che sta per arrivare»), nome suggerito da Oliviero Toscani che pure ha contribuito al progetto: «Sette modelli di case» spiega Moretti «assolutamente personalizzabili nelle dimensioni, finiture, organizzazione degli spazi interni». Perché un mito da sfatare è l’effetto fotocopia di queste costruzioni, il fatto che siano nemiche giurate dell’originalità, condannate a essere identiche tra loro: «Sono vestiti su misura cuciti addosso al cliente» racconta Cristian Barra, titolare dell’impresa edile Barra&Barra con sede a Cuneo e cantieri in tutto lo Stivale. Tra i desideri più eccentrici esauditi: quelli dell’ortodosso del Feng Shui, «che ha voluto il vialetto con una curvatura ben precisa e nessuna finestra nei pressi delle scale, per evitare che l’energia andasse dispersa». O quelli del fanatico dell’hi-tech: «Il suo obiettivo era comandare la casa dall’iPhone, spegnere la luce della cucina da New York. E che il Wi-Fi prendesse al massimo della potenza in ogni angolo. Missione compiuta».
Tra colossi internazionali, grandi e piccole realtà nostrane, le alternative sono ormai numerose. E anticicliche, come nel caso del legno: «Un’edilizia che non ha risentito in modo sensibile della crisi. Anzi ha rilevato una controtendenza» sottolinea Johann Waldner, presidente di Lignius, l’associazione nazionale delle case prefabbricate con questo materiale naturale. «Secondo i nostri indicatori, il trend degli ultimi cinque anni si posizionerà su un aumento del 50 per cento. Si arriverà dalle circa 5 mila abitazioni del 2010 alle circa 7.500 nel 2015 concentrate soprattutto nel Nord. Tutte in classe A: una casa in legno consuma l’80 per cento in meno rispetto a una standard in mattoni e cemento».
Oltreoceano, invece, il focolare domestico industrializzato, figlio di una catena di montaggio, è storia e boom prebellico: il libro illustrato Houses by mail (case per posta) racconta come tra il 1908 e il 1940 100 mila americani abbiano ordinato la loro residenza da un catalogo di Sears, l’Amazon dei tempi della carta. Lo sdoganamento definitivo, molto più recente, coincide anche qui con le contaminazioni con il design. Ecco che il Wall Street Journal fotografa il cambio di passo come «una spinta a trasformare una casa che arriva a bordo di un camion in un oggetto d’arte». Feticcio extralarge a cui a Manhattan il museo MoMA già nel 2008 dedicava una retrospettiva dal titolo emblematico: «La fabbricazione dell’abitare moderno». Proprio nella Grande Mela fioccano i progetti, tant’è che il New York Times evidenzia come non ci sia più differenza tra un edificio tradizionale e uno costruito altrove e poi assemblato. In orizzontale quanto in verticale: a Brooklyn dovrebbe sorgere il grattacielo prefabbricato più alto al mondo, al momento fermo per un intoppo legale. Sarà di 32 piani, due in più dell’attuale detentore del primato: un hotel nella provincia di Hunan, in Cina, tirato su in appena 15 giorni. L’Asia in perenne febbre demografica è d’altronde campionessa nelle «Lego-case», mentre in Europa, nei paesi scandinavi, in Germania e Inghilterra, è acquistabile Boklok, pacchetto di Ikea di edilizia a sandwich, low cost e arredabile con il mobilio del colosso svedese. L’esatto opposto di grandeur e scialacqui delle celebrità di Hollywood, da Will Smith ad Ashton Kutcher, che si sono fatti costruire lussuose case viaggianti bipiano. «Prefab» modello status symbol.