Alessandro Merli, Il Sole 24 Ore 6/11/2014, 6 novembre 2014
SUSSURRI E GRIDA CHE MINANO LA CREDIBILITÀ
I l dissenso sulle decisioni più importanti delle grandi banche centrali non è affatto una novità. Soprattutto negli ultimi anni, dalla crisi finanziaria globale in poi, quando i banchieri centrali hanno dovuto avventurarsi su un terreno largamente inesplorato e adottare misure senza precedenti. L’annuncio di questa settimana da parte del governatore della Banca del Giappone, Haruhiko Kuroda, di un nuovo massiccio stimolo monetario è stato votato in consiglio con la più risicata delle maggioranze, 5 a 4. La Banca d’Inghilterra, sia sotto Mervyn King, sia sotto Mark Carney, ha spesso approvato le sue decisioni con il voto contrario di uno o più dei suoi nove membri. Negli Stati Uniti, a fare il controcanto alla Federal Reserve, prima di Ben Bernanke e ora di Janet Yellen, sono i governatori delle Fed regionali, qualcuno più "falco", qualcuno più "colomba" della maggioranza, anche contemporaneamente. Non c’è quindi da stupirsi troppo se alla Banca centrale europea, dove il consiglio è composto di 24 membri, non domina l’unanimità. Ci sono tuttavia due differenze importanti, una di forma, una di sostanza, nei recenti dissensi alla Bce. La prima è che, mentre nelle altre banche centrali le divergenze prendono la forma di dichiarazioni pubbliche (oltre che, in qualche caso, la pubblicazione dei voti dei singoli consiglieri), a Francoforte, oltre che sul merito delle scelte di politica monetaria, parte dell’attenzione è stata deviata da una successione di fughe di notizie, sulla figura del presidente, Mario Draghi, sul suo "stile" e sulla ricorrente indiscrezione di una possibile volontà di dimettersi anzi tempo per ascendere al Quirinale. Al di là della veridicità delle indiscrezioni, sembrerebbe più opportuno ricondurre la discussione su binari meno personali, soprattutto dato lo stato non certo soddisfacente della situazione dell’eurozona. Il fatto che questo avvicini una decisione su una misura ritenuta da alcuni incettabile, come l’acquisto di titoli pubblici in una manovra di Quantitative easing (Qe), ha senz’altro contribuito alle recenti fibrillazioni. La pubblicazione dei resoconti delle riunioni a partire dal prossimo anno ovvierà solo in parte a questo problema, anche perché, nelle note, le "voci" dei consiglieri resteranno anonime. Tuttavia, non c’è dubbio che veicolare il dissenso attraverso le fughe di notizie e la personalizzazione rischia di compromettere la credibilità anche dell’istituzione, una delle poche in Europa ad avere funzionato nel culmine della crisi. Un pericolo che il cancelliere tedesco Angela Merkel ha ben presente. La differenza di sostanza, tuttavia, è più rilevante. Le posizioni in consiglio, soprattutto quelle dei 18 governatori delle banche centrali nazionali, nonostante le originarie aspirazioni europeiste di Tommaso Padoa-Schioppa, che non volle l’indicazione del nome del Paese d’origine nei segnaposto nella sala del consiglio, sono inevitabilmente legate alla "politica", in senso lato, dei rispettivi Stati. Soprattutto dopo lo scoppio della crisi dell’eurozona. Le votazioni a maggioranza, quindi, soprattutto se questa maggioranza dovesse rivelarsi limitata, hanno implicazioni politiche che vanno ben al di là di quanto accade, per esempio, in Giappone. E la politica che conta più di tutte è chiaramente quella tedesca. Alla Bce, osservava ieri in una nota Frederik Ducrozet, economista del Crédit Agricole, «la maggioranza non è un puro concetto aritmetico». O, per dirla con Holger Schmieding, della banca d’investimento tedesca Berenberg, gli investitori hanno assegnato alla Germania un ruolo speciale in seguito alla crisi dell’euro. Draghi è perfettamente consapevole di non poter prendere una decisione come il Qe a dispetto del suo «azionista di maggioranza», senza la copertura di Berlino, e quindi ha lasciato agli acquisti di debito pubblico un ruolo di ultima carta, da usare solo in un’emergenza estrema. Sui mercati qualcuno ritiene che quest’emergenza sia già arrivata da un pezzo e la Bce sia in ritardo, qualcun altro che dovranno essere i dati, nei prossimi mesi, se non nelle prossime settimane, a chiarirlo. Ma che a quel punto, la Bce non potrà esimersi da una risposta.
Alessandro Merli, Il Sole 24 Ore 6/11/2014