Rossana Campisi, Gioia 6/11/2014, 6 novembre 2014
COMING OUT A 16 ANNI
Chi non avrebbe voluto dire una sorta di “no, grazie, non voglio lavorare in banca, vorrei solo disegnare, caro papà. Voglio viaggiare, mica fare la mamma, caro marito. Voglio un uomo accanto e non la carriera, sono una donna infelice, cara amica”. Eppure tutti zitti. O quasi. I nostri coming out latitano, sommersi. Mica facile esser se stessi. A sbucare fuori però sono altri, e lo fanno sotto le luci di tutti quelli mancati: “sono omosessuale”. Sembra quasi una excusatio non petita, è una confessione sempre più diffusa e, soprattutto, sempre più precoce. Ce lo dice un sondaggio di Stonewall, gruppo inglese per i diritti gay, secondo il quale, negli ultimi 40 anni, l’età è scesa dai 37 ai 16 anni. Ce lo dicono, in Italia, ragazzi, psicologi, perfino coincidenze letterarie: i libri scritti sugli adolescenti gay alle prese col debutto in società affollano un nuovo scaffale. «Io l’ho capito alle medie, ho perso la testa per la mia migliore amica. Ma non lo accettavo. Così mi sono messa con un ragazzo, ma fuggivo persino gli abbracci. Poi è successo di nuovo, primo anno delle superiori. Lì ho capito. Mi ero innamorata di una tipa che mi ha chiesto di stare insieme. Io sono scappata per una settimana. Ero scossa, era la conferma che non ero “normale”. Ma poi è iniziata la storia, avevo 16 anni. I miei l’hanno dedotto da soli e l’hanno accettato. I suoi, no. Oggi aiuto a scuola ragazzi più piccoli che vogliono uscire dall’ombra. Non è facile accettarsi, poi magari finisci cacciato di casa e ospite da amici». Nadia, 19 anni, di Brescia, è una dei tanti Trevor, l’adolescente americano che ha dato il titolo a un’opera teatrale, a un cortometraggio, a un romanzo (tutto a firma James Lecesne; il libro è pubblicato in Italia da Rizzoli, 11 euro), e infine a un telefono amico che riceve in media 30.000 chiamate l’anno (la versione americana dei nostri arcigaymilano.org, telefonoamicogay.it, gayhelpline.it).
Trevor ha tentato di condividere con tutti la sua identità e poi ha tentato il suicidio con le aspirine. Secondo le ricerche, se un ragazzo trova almeno una persona che lo ascolti, la probabilità di suicidio scende del 30 per cento. «E le persone non mancano per fortuna», assicura Margherita Graglia, psicoterapeuta esperta sul tema che segue associazioni e scuole, nonché autrice di Omofobia (Carocci). «L’età del coming out si è abbassata a 14-16 anni perché girano più informazioni e i ragazzi si confrontano. Se temono i genitori, sanno che tra i coetanei e soprattutto in Rete trovano solidarietà. Si aprono prima di tutto con l’amica o l’amico del cuore, poi con la sorella o il fratello, infine con la madre, prima del padre. I genitori che venivano da me per “cambiare il figlio”, oggi vogliono solo relazionarsi con il loro ragazzo omosessuale, le cose cambiano». Persino in classe, dove il coming out è roba quasi quotidiana. E se questa apertura creasse ambiguità in mezzo alle confusioni dell’età? La domanda è lecita. «Ma infondata», precisa Elisabetta Ruspini, sociologa e autrice di Maschi alfa, beta, omega (Franco Angeli). «Confessare il proprio orientamento sessuale è la fine di un percorso intimo. È chiarezza, antidoto alla confusione, coraggio che anima soprattutto i ragazzi, vista la frequente violenza fisica omofobica maschile. Anche se poi penso che non dovremmo mai aver nulla da dichiarare agli altri, uno è come è».
Secondo un gruppo di ricercatori di Montreal, il coming out abbassa i livelli di cortisolo, l’ormone responsabile dello stress. Eppure, il day after, dopo la botta di energia e lo slancio della confessione, può essere un paesaggio di cocci. Dipende solo da quanto il contesto disapprova e “stigmatizza”. «C’è chi posticipa il debutto a quando lascerà il paesino per disperdere la “diversità” tra le folle quando si trasferirà all’università», aggiunge Margherita Graglia. O anche al liceo, com’è accaduto a Edouard Louis, il 19enne autore di II caso Eddy Bellegueule (Bompiani), romanzo autobiografico che ha scosso la Francia mesi fa. Oggi Eddy/Edouard frequenta l’Ecole normale di Parigi e ha tagliato i ponti col passato omofobico di famiglia, amici e del suo villaggio in Piccardia.
Se non nelle metropoli, c’è chi scappa in Rete. “Cercando la parola lesbi ca non ho trovato siti porno stavolta, ma il tuo sito, grazie”: Milena Cannavacciuolo, 39 anni, coming out a 19 nella Napoli del 1990 (con un’amica), racconta una delle tante email che riceve al giorno da quando, due anni orsono, ha aperto www. lezpop.it, un magazine online di “cultura pop in salsa lesbica”. «Hanno in media 14 anni, primo amore la compagna di banco o la migliore amica, mi fanno tutte la stessa richiesta: grazie al sito ho trovato il coraggio, ora lo dico a lei e a casa? Ma a quell’età non posso spingerle come kamikaze, devono sentirsi pronte a gestire un rifiuto».
Non moltissimi anni fa, i coetanei di queste ragazzine che provavano certi sentimenti cercavano di “correggersi” percorrendo il cammino della cosiddetta normalità, tra fidanzamenti, lauree, matrimoni, mutui. Per più d’uno, poi, il coming out è arrivato da adulto, come una sorta di tempo supplementare: con la necessità di buttare per aria tutto. “La vera cosa che invidio alla gioventù di oggi è che loro si stanno dando il tempo di capire: vivono, si innamorano senza porsi limiti di sorta”, scrive Carlo Gabardini nella prefazione di Trevor. “Hanno la libertà di diventare consapevoli e di trovare famiglie meno restie”, aggiunge Paolo Rigliano, psichiatra e autore di Gay e lesbiche in psicoterapia (Cortina ed.).
Sì, vero, ma siamo solo nel bel mezzo del cammino: basta rileggere le parole della prof di Francesca in L’altra parte di me (Piemme, 15 euro) di Cristina Obber. “Alla tua età è facile fare confusione, credimi. È solo una fase transitoria dello sviluppo, che passerà”. «Ma amori come quelli di Francesca e Giulia in realtà ce ne sono tanti», spiega l’autrice. «Un giorno ho visto due ragazze molto affettuose alla macchinetta del caffè dell’università. Ho chiesto da quanto tempo stavano insieme. Vista l’intensità, pensavo da un paio di mesi. Invece avevano 22 anni e dall’età di 15 erano felicemente una coppia. È stata la loro storia a ispirarmi. Molte ragazze vorrebbero scrivere qualcosa di positivo su questo tema e alla fine ho deciso di farlo io per loro. Anche per rassicurare famiglie che, come quelle di Francesca, vogliono proteggerla. Ma la ragazza è sicura che, se loro l’accettano, anche il mondo l’acceterà. Io le capisco queste madri, hanno vissuto nella mia epoca. E in giro c’è tanta finta accettazione. Ai matrimoni dei parenti l’invito è ancora solo per una persona». I più comprensivi poi aggiungono, a voce: “Porta la tua amica”.