Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  novembre 05 Mercoledì calendario

LA CLASSE NON È ACQUA. INTERVISTA A CHRISTIAN DE SICA

Saranno trent’anni che non entravo in questo albergo, mamma aveva una stanza qui». Christian De Sica, che di anni adesso ne ha 63, entra al Flora di Roma, e si guarda intorno a caccia di ricordi. Passiamo al bar: «Un giorno eravamo io e mamma, aspettavamo papà che girava Stazione Termini, e lì c’era Chaplin. Noi non sapevamo una parola d’inglese, per tutto il tempo Chaplin mi guardava e tirava su e giù la bombetta, per farmi giocare». La vita di Christian è tutta un aneddoto. Figlio di María Mercader (la donna che, prima di sposare Vittorio De Sica, ha lungamente condiviso il regista con la moglie legittima, Giuditta Rissone, a tempi parimenti spartiti, con lui che in taxi attraversava la città ogni notte per dividersi fra le due famiglie), a 18 anni fidanzatino di Isabella Rossellini, poi marito di Silvia Verdone, e lungo la strada infiniti incontri e amicizie celebri.
Momentaneamente dismessi i famigerati cinepanettoni che gli hanno fatto vincere 23 Biglietti d’oro, il 13 novembre De Sica torna al cinema con La scuola più bella del mondo, nei panni del preside «integerrimo, bigotto e prepotente» di un istituto toscano che – causa errore del bidello – crede di invitare per uno scambio una scuola africana, e ne arriva invece una campana, di Acerra, con il prof fancazzista Rocco Papaleo.

Com’era la sua, di scuola?
«Frequentavo il liceo classico al Nazareno, un collegio di Roma. Il primo giorno arrivo in Mercedes con l’autista e i miei compagni cominciano a tirarmi pizzette».
Brutto inizio.
«Il fatto è che mi ero ammalato alle tonsille e avevo perso un anno: era una classe nuova per me, loro pensavano che ero raccomandato. Ma ho capito subito come reagire: dovevo farmi amico il più simpatico della classe».
Che era?
«Carlo Verdone, ai tempi una pippa. Gli ho promesso le mie versioni di Greco, e in cambio lui si è messo in banco con me».
Era così bravo in Greco?
«No, meglio in Storia e Italiano. Le versioni le avevo comprate. Ma poi mi sono diplomato con un’ottima media».
L’università però non l’ha finita.
«Ho fatto 7 esami di Storia dell’arte: tutti 30, e due lodi; papà, che era ragioniere, si vantava una sacco. Poi però gli ho detto che sceglievo la scuola del night, e gli è preso un colpo».
Che cosa ricorda dei suoi professori?
«Quello di Matematica ci dava sempre 2 e voleva che scrivessimo tutte le frazioni cominciando dal trattino, altrimenti ci puniva. Quello di Filosofia teneva le olive in tasca e se le mangiava un po’ alla volta. Tutti fumavano. Io e Carlo li studiavamo, dopo abbiamo riportato questi tic e comportamenti al cinema».
Lei era figlio di una coppia «illegittima»: in un collegio di preti come l’hanno presa?
«Non ho avuto problemi, il prete mi ha iscritto con il cognome di papà: non avrebbe potuto, ma così ha fatto la gioia in casa».
Dopo, i suoi si sono anche sposati.
«In Francia, perché in Italia non c’era il divorzio. Siamo diventati tutti francesi per quel matrimonio, poi io ho chiesto a Pertini di tornare italiano. Mamma, poverella, a quel matrimonio teneva tanto. Ma quando ci è arrivata era già un po’ ciccionetta, lei che era stata così bella, e la coppia era “matura”. Il giorno delle nozze, lei fa a papà: “Vittorio, la supposta l’hai presa?”. E lui: “Marì, se mi rompi le scatole non ti sposo più”».
Che uomo era?
«Dolcissimo, ma anche un uomo dell’Ottocento. Vede, qui di fronte c’era una salsamenteria. Una volta, eravamo tutti in auto e mamma ci fa fermare per ritirare un pacchetto. Noi restiamo a bordo e quando lei torna, papà le dice: “È l’ultima volta che faccio la spesa”. Io invece, quando mi sono sposato, passavo l’aspirapolvere».
Con voi figli come si comportava?
«Bastava che mi fissasse e tremavo, anche se non ha mai alzato le mani. Mamma invece ci dava calci e si faceva pure male: io e Manuel eravamo più grossi di lei».
Torniamo in classe: ha avuto altri compagni famosi?
«Robertino Rossellini. Era una classe gagliarda».
Meglio allora di oggi, la scuola?
«È il mondo che è cambiato. Mia figlia Maria Rosa, unica della famiglia a non occuparsi di cinema, ha lanciato una sua linea di moda e trovato la sua strada. Mio figlio Brando invece è andato a Los Angeles a laurearsi in Cinema. Io sono un papà chioccia, mi dispiaceva, ma era giusto così. In generale, però, sono impaurito, questi ragazzi li vedo alla deriva, senza entusiasmo».
Per lei è stato più facile?
«Sono passato da ricco vero – di quelli che la gente ammirava quando giravano con i macchinoni in centro – a povero. Agli inizi, su un set a Vichy, saltavo il pasto per lasciarlo a Silvia, che era con me, poi mi rifacevo mangiando la sera. Dopo si andava a letto, si faceva l’amore, ero felice. Adesso non vedo speranza. E i soldi mancano ovunque. Una volta ci mandavano a prendere in automobile per portarci in Tv, adesso a Tale e Quale Show vado in Lambretta».
Gira tranquillamente per strada?
«Una volta Visconti disse a mio padre: “Ormai, non possiamo più fare film come Ladri di biciclette o La terra trema, perché ci siamo chiusi nei salotti”. Ecco, io preferisco stare in mezzo alla gente».
Lei ha scritto che «la cultura non fa bene alla salute». Ne è convinto?
«Ti fa la vita un po’ amara. Però, come diceva il protagonista di Umberto D., vecchio professore in pensione: “Se conosci la grammatica, certi errori non li fai”».