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 2014  novembre 06 Giovedì calendario

ORA I REPUBBLICANI DEVONO TROVARE UN CANDIDATO PER LA CASA BIANCA IN GRADO DI SCONFIGGERE HILLARY CLINTON (ANCHE SE LEI NICCHIA). ACCANTO AI VECCHI NOMI, DA CHRISTIE A ROMNEY, SPUNTANO NUOVI PERSONAGGI: RICK SCOTT E SCOTT WALKER


Festa grande martedì notte a Little Rock, a Des Moines, a Charleston, e nelle altre città dove i candidati repubblicani hanno scavalcato gli oppositori democratici e li hanno spodestati dal seggio senatoriale sulla strada della conquista della maggioranza al Congresso. La mappa politica degli Usa ridisegnata dalle elezioni di metà mandato mostra un paese che in sei anni di presidenza Obama si è progressivamente tinto del rosso repubblicano, con gli oppositori ricacciati verso una fascia sempre più sottile che abbraccia le grandi città della costa, e con violazioni di confine persino nel New England, fino a ieri considerata roccaforte inespugnabile del liberalismo americano.
La vittoria pone i repubblicani di fronte ad una scelta immediata sulla direzione strategica da seguire nell’immediato. Le fila del partito dell’elefante saranno tenute dai rispettivi leader della maggioranza alla camera e al senato: John Bohener e Mitch McConnell. Dietro quest’ultimo c’è però l’ombra di Ted Cruz, l’anima fondamentalista del partito, quella direttamente affiliata al partito del Tè, che da anni reclama il comando al vertice. Il giovane texano non a caso è stato l’ultimo tra i ranghi del partito a salutare l’incoronazione di McConnell martedì sera, e a riconoscergli l’autorità che gli spetta. Cruz sarà in prima fila al momento in cui saranno dichiarate le candidature per la prossima corsa presidenziale, e con lui risorgerà l’agenda del tea party, che in queste elezioni di metà mandato è stata messa un po’ da parte dai candidati, sostituita dall’attacco frontale all’amministrazione Obama che si è rivelato vincente.
FACCE NUOVE
L’esito delle urne ha però spinto alla ribalta nuove facce di politici poco conosciuti su scala nazionale, che da ieri hanno iniziato a nutrire legittime ambizioni di divenire i prossimi inquilini della Casa Bianca. Le urne erano ancora aperte quando strateghi repubblicani della portata di Karl Rove e Newt Gingrich hanno iniziato a puntare il dito sull’affermazione di governatori come Rick Scott, che ha imperversato sul territorio della Florida, relegando i democratici alla sola appendice di Miami. E poi Asa Hutchinson, che ha osato violare la roccaforte clintoniana dell’Arkansas; e soprattutto Scott Walker, il politico che ha sfidato e battuto il sindacato degli insegnanti in Wisconsin nel 2011, e che da allora è stato confermato due volte dagli elettori. Tra questi nuovi leader emergerà sicuramente un nuovo sfidante per le primarie repubblicane, da affiancare ai candidati dei quali già si sospetta la discesa in campo: il governatore del New Jersey Chris Christie, il libertario Ron Paul, l’eterna promessa Marco Rubio, e i redivivi Santorum, Perry e Romney, già sconfitti nella selezione del 2012.
GLI APPELLI
Anche in campo democratico il voto di martedì è destinato a lasciare un segno, il cui tracciato sarà visibile già nei prossimi giorni. Ieri si sono uditi appelli disperati per una repentina dichiarazione di candidatura da parte di Hillary Clinton, che da due anni ormai gioca a nascondino con l’annuncio. La leadership democratica vorrebbe lanciare con lei una immediata campagna di riscossa dell’immagine del partito così malamente calpestata dopo il voto, e dare l’avvio ad un nuovo corso. La ex first lady potrebbe invece decidere di aspettare ancora qualche settimana, forse fino all’inizio dell’anno, per prendere le distanze dalla sconfitta bruciante del suo partito, e da quella del suo presidente Obama. Ci sarà però da vedere con quale efficacia Hillary riuscirà a scavare una trincea con Obama, con il quale ha lottato sei anni fa nelle primarie democratiche, ma che ha poi finito con il servire per i successivi quattro anni come segretaria di Stato. C’è il rischio che i repubblicani puntino sulla continuità ideale e politica tra i due, e denuncino le sue ambizioni presidenziali come una prosecuzione dello status quo dell’attuale amministrazione.
Un eventuale debolezza di Hillary riaprirebbe la lista delle primarie del suo partito, e il primo candidato ad infilarsi nello spiraglio sarebbe ancora una donna: la battagliera Elizabeth Warren, che ad Obama deve l’ingresso nella politica, ma che dalla poltrona del senato sulla quale siede oggi ha sempre tenuto una distanza critica dall’amministrazione.