Carl Zimmer, National Geographic 11/2014, 5 novembre 2014
SUCCHIACERVELLI – [UN FILM DELL’ORRORE? NO, È LA NATURA, BELLEZZA]
Osservare una coccinella che si trasforma in zombie è strabiliante e triste al tempo stesso.
Di norma le coccinelle sono predatori sofisticati e voraci: un singolo individuo è in grado di divorare diverse migliaia di afidi nel corso della sua vita. Per trovare una preda, la coccinella fa ondeggiare le antenne, allo scopo di individuare i composti che le piante emettono quando sono aggredite da insetti erbivori. Dopo essersi fatta guidare da questi segnali, cambia il suo scanner sensoriale e inizia a cercare molecole che solo gli afidi liberano. Quindi si avvicina furtiva e colpisce, facendo a pezzi lande con mandibole uncinate. Le coccinelle sono anche ben protette nei confronti della maggior parte dei loro nemici. Il loro esoscheletro arrotondato rosso e nero, che piace tanto all’uomo, rappresenta, di fatto, un’ammonizione per i potenziali predatori: attento o te ne pentirai. Quando un uccello o qualche altro animale cerca di aggredirla, la coccinella stilla veleno dalle articolazioni delle zampe; l’aggressore percepisce il gusto amaro del sangue e la sputa.
I predatori imparano a riconoscere che le elitre rosse e nere veicolano un messaggio preciso: stai alla larga.
Un predatore protetto nei confronti di altri predatori: verrebbe da pensare che la coccinella viva la miglior vita possibile per un insetto, se non fosse per le vespe che depongono le uova nel corpo dell’animale mentre è ancora vivo. Una di queste vespe, Dinocampus coccinellae, misura circa tre millimetri. Quando una vespa è pronta per deporre un uovo, si posa vicino a una coccinella e inserisce velocemente il proprio aculeo nel suo addome, iniettando un uovo nel corpo della vittima insieme a un mix di sostanze chimiche. Alla schiusa dell’uovo, la larva si nutre dei fluidi presenti nella cavità addominale della sua ospite. Anche se la coccinella viene divorata poco per volta, all’esterno sembra sempre uguale: continua ad aggredire afidi con vigore, ma dopo aver digerito la preda il parassita che vive in lei si ciba e cresce grazie ai nutrienti così ottenuti. All’incirca tre settimane dopo, la larva della vespa è così cresciuta da essere pronta a lasciare l’ospite e trasformarsi in un individuo adulto. Così si contorce per uscire attraverso una fessura nell’esoscheletro della coccinella. Nonostante il corpo della coccinella sia ora libero dal parassita, il suo cervello rimane asservito a esso: mentre la larva di vespa si avvolge in un bozzolo sericeo sotto la coccinella, quest’ultima rimane immobile. Per la vespa si tratta di un’evoluzione assai positiva. Una larva di D. coccinellae in via di sviluppo nel suo bozzolo è estremamente vulnerabile. Le larve di crisopa e di altri insetti la divorerebbero immediatamente, ma se uno di questi predatori si avvicina, la coccinella inizia ad agitare le zampe, spaventando l’aggressore: di fatto si è trasformata nella guardia del corpo del suo parassita e continuerà a comportarsi così per una settimana, finché una vespa adulta non praticherà un foro nel bozzolo con le sue mandibole, per strisciar fuori e volarsene via. Solo dopo aver finito di servire il padrone parassita la maggior parte delle coccinelle zombie muore.
Non è la scena di un film dell’orrore. In buona parte dell’America del Nord – nei cortili di casa e negli appezzamenti vuoti, nei terreni agricoli delle fattorie e nei prati fioriti – le vespe stanno trasformando le coccinelle in guardie del corpo zombie. Ma la coccinella non è l’unica a subire questa sorte. Lo stesso destino riguarda anche un numero grandissimo di specie ospiti, che vanno dagli insetti ai pesci ai mammiferi. Questi animali sono al servizio del parassita che ospitano anche se, per farlo, devono letteralmente immolarsi e morire. In natura la stessa domanda si ripropone più e più volte: perché mai un organismo dovrebbe fare tutto il possibile per garantire la sopravvivenza del suo carnefice invece di battersi per la propria?
Fare da guardia del corpo è solamente uno dei servizi di protezione forniti ai parassiti dai loro ospiti. Una mosca che infetta i bombi li induce a nascondersi nel suolo, in autunno, proprio prima di emergere per formare una pupa. Nel suolo, infatti, la mosca è protetta non solo dai predatori ma anche dai rigori invernali. In Costa Rica, il ragno tessitore Leucauge argyra attua strategie stravaganti per soddisfare le necessità di Hymenoepimecis argyaphaga, un’altra specie di vespa parassita. La vespa femmina incolla le proprie uova al corpo dell’ospite e la larva, dopo essere fuoriuscita, pratica alcuni fori nell’addome del ragno e ne succhia il sangue. Dopo un paio di settimane, quando la larva ha raggiunto le dimensioni finali, il ragno strappa la propria tela e ne costruisce una di forma completamente diversa. Invece di una tela con molteplici fili adatta a catturare insetti alati, la nuova tela è formata solo da pochi solidi refi che convergono verso un punto centrale. Avendo ucciso il suo ospite succhiandone il sangue, la larva tesse il proprio bozzolo su un refe che pende dall’intersezione dei fili della nuova tela: sospeso in aria, il bozzolo è quasi impossibile da raggiungere per i potenziali predatori.
I parassiti possono anche convincere il loro ospite a difenderli mentre sono ancora vivi nel suo corpo. Prima di infettare un ospite umano, Plasmodium, il protozoo che causa la malaria, trascorre le prime fasi del suo ciclo vitale all’interno di una zanzara. Per sopravvivere, la zanzara deve cibarsi di sangue, ma questo comportamento mette in pericolo la vita del protozoo, perché la zanzara vettore potrebbe essere schiacciata dalla mano di un’infastidita vittima umana, cosa che precluderebbe al plasmodio la possibilità di passare alla fase successiva del suo ciclo vitale, che si svolge nell’uomo. Per ridurre questo rischio mentre ancora si sta sviluppando all’interno del corpo della zanzara, il plasmodio la rende indifferente al sangue, inducendolo a cercare un minor numero di vittime ogni notte e a rinunciare più rapidamente alla caccia se per caso non trova una fonte di sangue.
Dopo aver completato la maturazione, il plasmodio, pronto per entrare in un ospite umano, manipola il comportamento della zanzara in direzione opposta alla precedente. Ora la zanzara è assetata e temeraria e cerca un numero sempre maggiore di vittime umane ogni notte, pungendole ripetutamente anche se è già sazia. Se la zanzara muore per mano umana, per il plasmodio non ci sono più conseguenze spiacevoli: il parassita si è già trasferito altrove. Mentre il plasmodio manipola il comportamento abituale del suo ospite per poter passare alla fase successiva del suo ciclo vitale, altri parassiti provocano cambiamenti assai più radicali, spesso con risultati fatali.
I pesci della famiglia dei Cyprinodontidae, per esempio, di norma si tengono lontani dalla superficie dell’acqua per evitare di essere divorati da uccelli limicoli che occupano le sponde dei fiumi e delle zone umide, dove sondano il fondo sabbioso alla ricerca di molluschi e insetti. Ma quando sono infetti da vermi platelminti questi pesci trascorrono più tempo in prossimità della superficie e talvolta si rotolano addirittura a ventre in su, facendo luccicare l’addome argenteo alla luce. I ciprinodontidi infetti hanno una probabilità assai maggiore di essere predati dagli uccelli rispetto agli individui sani. E, guarda caso, l’intestino di un uccello è proprio il luogo in cui questi vermi vogliono andare a finire per raggiungere lo stadio adulto e riprodursi.
Un metodo non tanto diverso viene adottato sulla terraferma dal parassita succhiacervello più famoso di tutti. Oltre ad altre specie di mammiferi, anche ratti e topi possono essere infettati da Toxoplasma gondii, un organismo unicellulare parente del plasmodio della malaria, parassita in grado di formare migliaia di cisti nel cervello del suo ospite. Per passare alla fase successiva del proprio ciclo vitale, il toxoplasma deve entrare nell’intestino di un gatto. Da solo non potrebbe trasferirsi dal cervello di un ratto all’intestino di un gatto, ma se il ratto che lo ospita viene mangiato da un felino, ecco che il parassita può riprodursi. Gli scienziati hanno scoperto che i ratti infettati dal toxoplasma perdono il timore dell’odore di gatto. Alcuni ratti infetti sono anzi incredibilmente incuriositi dall’odore dell’urina di gatto, cosa che fa di loro facili prede a portata di zampa, aumentando le probabilità che il toxoplasma continui il suo ciclo vitale.
In che modo le mutazioni e la selezione naturale riescano a dare origine a poteri così raccapriccianti rappresenta un mistero avvincente per i biologi evoluzionisti. Un concetto utile per inquadrare il problema lo fornisce il biologo Richard Dawkins, autore di un libro che è diventato una pietra miliare del genere: Il gene egoista. Nel libro, Dawkins sostiene che i geni si evolvono per produrre con maggior successo copie di se stessi, cioè per replicarsi. I nostri corpi, nell’ottica dei geni, non sono altro che veicoli che consentono loro (ai geni) di rimanere inalterati nel passaggio da una generazione a quella successiva. L’intero set di geni che compone ciascuno di noi è chiamato genoma. La somma totale di tutte le parti e funzioni corporee che il nostro genotipo crea per promuovere la sua causa – voi, io e chiunque altro – si chiama fenotipo. Dawkins pensa che non dovremmo restringere il concetto di fenotipo solamente al corpo fisico. Il fenotipo include anche comportamenti causati dai nostri geni.
I geni di un castoro codificano per le sue ossa, per i muscoli e per la sua pelliccia. Ma codificano anche per i circuiti cerebrali che inducono il castoro a rosicchiare alberi per costruire dighe. Se una mutazione genica genera un castoro che costruisce dighe ancora migliori, allora quel particolare fenotipo può andare incontro a una migliore probabilità di sopravvivenza e, in media, a un maggior successo riproduttivo. Di conseguenza la mutazione diventerà più comune nel corso di molte generazioni. In un’ottica evoluzionistica, la diga, e persino lo stagno che essa crea, è un’estensione dei geni del castoro tanto quanto lo è il suo corpo. Se il potere di un gene può estendersi alla manipolazione dell’ambiente, si domanda Dawkins, non potrebbe forse estendersi anche alla manipolazione di un’altra creatura vivente? Dawkins sostiene di sì, e come primo esempio cita i parassiti. La capacità di un parassita di controllare il comportamento di un ospite è codificata nei suoi geni.
Se uno di questi geni mutasse, il comportamento dell’ospite cambierebbe. A seconda del tipo di cambiamento, la mutazione potrebbe favorire o sfavorire il parassita. Una mutazione in un parassita che influenzi a suo vantaggio il comportamento di un ospite diverrà più comune. Se, per esempio, una vespa acquisisce una mutazione che impone alla coccinella ospite di incominciare a comportarsi da guardia del corpo, la sua prole – che risulterà portatrice di quel tratto genetico – prospererà, perché molti meno individui saranno uccisi da predatori. Dawkins ha esposto queste idee nel libro Il fenotipo esteso, pubblicato nel 1982. Negli anni Ottanta gli scienziati avevano studiato attentamente solo pochi esempi di parassiti in grado di manipolare il comportamento dei loro ospiti. Ma se l’ipotesi era corretta i parassiti avrebbero dovuto ospitare geni in grado di dominare negli ospiti quei geni che di solito ne controllavano le azioni.
Oggi la scienza riesce finalmente a gettare luce sulla capacità di alcuni parassiti di controllare la mente. Frederic Libersat, dell’Università Ben-Gurion, sta analizzando i funesti attacchi della vespa gioiello Ampulex compressa. La vespa punge uno scarafaggio trasformandolo in uno zombie sottomesso, poi accompagna la vittima intontita in un nido, trascinandola per le antenne, come un cane al guinzaglio. La vespa depone un uovo sull’addome della vittima e lo scarafaggio rimane immobile mentre la larva della vespa esce dall’uovo e gli si insinua nell’addome. Qual è il segreto ascendente che la vespa esercita sulla propria vittima? La vespa insinua il proprio aculeo nel cervello dello scarafaggio, dirigendolo verso le regioni che danno avvio ai movimenti. La vespa irrora i neuroni con una miscela di neurotrasmettitori, che funzionano come droghe psicoattive. Gli esperimenti di Libersat suggeriscono che i neurotrasmettitori spengono l’attività dei neuroni che normalmente rispondono al pericolo, inducendo lo scarafaggio a fuggire.
La perizia neurochirurgica della vespa gioiello è stata documentata nei dettagli, ma il quadro generale è ancora oscuro. Il veleno della vespa è un cocktail di sostanze diverse, e Libersat e colleghi devono ancora determinare quali di queste sostanze influenzino il comportamento dello scarafaggio, e in che modo. Finora, però, la loro ricerca conferma in pieno la teoria di Dawkins sul fenotipo esteso: i geni che codificano per le molecole di veleno arruolano lo scarafaggio nel piano di sopravvivenza della vespa, fornendo una culla ideale per i piccoli di questo insetto. In pochi casi si è cominciato a individuare i geni del parassita che controllano il comportamento dell’ospite. I baculovirus, per esempio, infettano i bruchi del bombice dispari (o limantria) e un certo numero di altre specie di falene e farfalle. Il parassita invade le cellule del suo ospite e le induce a produrre nuove particelle virali. All’esterno il bruco appare normale, ma il cibo che mangia non è destinato a trasformarsi in tessuto utile: è destinato invece a produrre nuove particelle di baculovirus. Quando il virus è pronto ad abbandonare il suo ospite, i bruchi vanno incontro a una modifica radicale: diventano agitati e si nutrono in continuazione. Poi incominciano ad arrampicarsi. Invece di fermarsi in posti sicuri al riparo dai predatori, i bruchi infetti strisciano più in alto, sugli alberi. I baculovirus veicolano geni che codificano per diversi enzimi. Quando sono pronti a lasciare il loro ospite, alcuni geni si attivano nelle cellule del bruco producendo un flusso di enzimi che digeriscono l’animale trasformandolo in una poltiglia fluida. Mentre il bruco si dissolve, ammassi di virus precipitano sulle foglie sottostanti, pronti per essere ingeriti da nuovi bruchi ospiti. Secondo Kelli Hoover e David Hughes della Penn State University e i loro colleghi, il comportamento di arrampicata dei bruchi sembrerebbe un esempio perfetto di fenotipo esteso. Per verificare l’idea di Dawkins, i due ricercatori hanno esaminato i geni dei baculovirus con l’obiettivo di riuscire a trovarne uno che controllasse l’arrampicata dei bruchi.
Quando i ricercatori hanno silenziato un unico gene nel virus, chiamato egt, il virus ha continuato a infettare le cellule del bruco e a replicarsi come faceva in precedenza, trasformando addirittura i bruchi in gelatina come prima. Ma i baculovirus privi di una copia del gene egt non riuscivano a indurre i bruchi a scalare gli alberi. In genere il comportamento di un animale è influenzato da un numero maggiore di geni, ciascuno dei quali contribuisce per una minima parte a comporre il quadro finale. Così è probabile che molti parassiti controllino i propri ospiti servendosi di una moltitudine di loro geni.
Dunque cosa sappiamo della vespa D. coccinellae e della sventurata coccinella sua ospite? Mentre trasforma la sua vittima in un’accondiscendente guardia del corpo, la vespa potrebbe agire come se fosse il fenotipo esteso di un altro organismo ancora. I ricercatori hanno scoperto che quando una vespa inietta un uovo in una coccinella vittima, inietta anche un cocktail di molecole e altro, compreso un virus che si replica nelle ovaie della vespa. Alcuni indizi suggeriscono che sia questo virus a immobilizzare la coccinella, proteggendo il bozzolo della vespa dagli intrusi. Il virus e la vespa hanno gli stessi interessi evolutivi: trasformare una coccinella in una guardia del corpo produce più vespe, e più vespe generano più virus. Così i loro geni lavorano assieme per trasformare la coccinella nella loro marionetta. La vespa D. coccinellae può non essere il burattinaio che un tempo si pensava. Può darsi invece che nasconda un altro burattinaio dentro di sé.