Mattia Carzaniga, Rivistastudio.com 4/11/2014, 4 novembre 2014
OPEN SIGNORINI
i salverà dalla Crisi?
In parte credo di sì, siamo perseguitati da una comunicazione ansiogena. Lo è anche la realtà corrente, certo, ma siamo tenuti a sopravvivere. Ho sempre pensato che i giornali non debbano venire meno a un dovere: l’evasione. Il divertimento non è un peccato, ma la stampa l’ha capito solo strumentalmente, senza crederci davvero. Da anni Corriere e Repubblica si sono convertiti al pettegolezzo per fare clic, nei famosi colonnini online si leggono cose che non metterei nemmeno io su Chi.
Signorini spiegato ai tanti non-signorinofili.
Il libro è per loro. Ho sempre letto sul mio conto cose sbagliate, su alcune ho sorriso, altre mi hanno fatto male. Fa parte del gioco e non replico: ognuno fa giornalismo coi suoi mezzi. Io racconto l’uomo che ha fatto della fatica la sua guida.
La fatica è anche il modo per riscattarsi dal mondo piccolo-borghese in cui sei cresciuto? I palazzoni dell’Hinterland, la vacanze col CRAL, l’invidia per l’amichetto ricco che se ne andava a Parigi e non a Cavi di Lavagna come te.
Non direi riscatto. Non ho mai avuto chiari i miei obiettivi, le cose sono arrivate e le ho perse da sole, forse anche per scarsa intelligenza nel definire i miei sogni. Ma son rimasto il figlio dei miei genitori, dalla cameretta di Cormano non me ne sono mai andato.
Pure in ufficio hai il poster della Callas.
Anche questa è la mia cameretta. C’è l’orsacchiotto di quand’ero bambino, le mie automobiline, la mucca lilla.
Scrivi: «Cedetti alle lusinghe del genere nazional-popolare».
Lavoravo in Tv con Chiambretti, intelligente, stimolante, mettici tutte le buone qualità. Ma era la nicchia, io volevo capire come funzionava il Paese Reale. Ero rimasto il bambino che guardava Pippo Baudo e la Carrà il sabato sera, mi chiedevo cosa c’era dall’altra parte della barricata radical-chic.
Cos’hai trovato?
Le regole del gioco, quello vero. In alcuni casi, sarebbe stato meglio non conoscerle.
Cos’è oggi il nazional-popolare?
Tutto quello che per troppo tempo è stato messo sotto accusa da una certa egemonia culturale. È il gusto per il divertimento, dopo anni di serietà coatta.
È anche Renzi?
Al momento, lui ne è l’icona indiscussa, schiaccia l’occhio a tutti gli strumenti utili a nutrire l’elettorato: la Tv popolare col chiodo di Fonzie e la messa con la famiglia la domenica mattina puntualmente fotografata dai paparazzi. Non arriviamo alla sublimazione trash del bunga bunga, ma la strada è la stessa.
l bunga bunga come genere letterario.
Mi piace pensare che nasca anche da una fascinazione intellettuale. Io me lo sono spiegato come l’esigenza di leggerezza da parte di Berlusconi. Sapeva che il suo divertimento di una sera autorizzava l’elettore a guardare il programma pecoreccio sul canale 83 senza sensi di colpa.
Restiamo in tema: un aggettivo per Berlusconi.
Buono. E solo. Intendiamoci, non è una vittima: se le è cercate, è responsabile di tutto quel che gli è capitato. Io ci ho messo la faccia, ho votato per lui e continuerò a sostenerlo nelle scelte politiche. Ma m’interessa l’uomo che nessuno conosce e di cui sono amico, quello che ti porta nella cappella con le urne dei suoi cari e dice: «Sapessi quanta forza mi dà venire qui al mattino e accarezzarle». È lo stesso spirito della cameretta di cui dicevamo.
Un aggettivo per Renzi, oltre a naz-pop.
Lucido: ha fregato quelli che pensavano fosse un fenomeno temporaneo. E solo, anche lui. Quel tipo di potere consapevole, determinato, con una visione ben precisa, chiama per forza solitudine.
Papa Francesco. (Preciso: i nomi sono ordine casuale).
Per formazione, rimango più affascinato dalla dottrina di Ratzinger. Bergoglio è un altro esempio di nazional-popolare, affascina le masse. Mangia alla mensa del Vaticano e il giorno dopo esce ovunque la foto di lui al tavolo con gli operai: so per mestiere che un fotografo lì non ci può mettere piede, se non ingaggiato da qualcuno. Chi si aspetta aperture sui gay o sulla comunione ai divorziati, se le può sognare.
Tim Cook di Apple ha fatto coming out, scrive, per convincere anche solo un ragazzo o una ragazza che è meglio non nascondersi. Tu per chi?
Il coming out serve principalmente a chi lo fa, almeno per me. Non bisogna forzare le persone a dichiararsi, lasciar loro intendere che dopo sarà più bello. Perciò non son d’accordo con Cook quando dice che l’omosessualità è una benedizione di Dio: spesso è dolore, solitudine, io ho vissuto entrambi. Per il resto, non m’interessa la militanza sul campo, non mi sento rappresentato dai tableaux vivants dei Gay Pride. Esiste una realtà omosessuale fatta di normalità, che non ha bisogno del boa di marabù o delle ciglia finte.
Qui non si parla solo di carri e travestiti.
Naturale, e in ogni caso rispetto chiunque lotti per queste battaglie. Ma credo nella giusta causa nel campo più generale dei diritti, non solo in virtù dell’orientamento sessuale.
Han detto che eri lo spin doctor di Berlusconi, che Chi è un house organ. Son queste le cose false sul tuo conto?
Un tempo m’incazzavo, ora ci sorrido. Non sono il burattinaio di nessuno. Sono amico di Silvio e Marina Berlusconi come di Renzi. Con Marina andiamo a mangiare nelle osterie del Lodigiano, lì non si parla certo di politica, nessuno ci becca mentre beviamo lambrusco.
Non esiste dunque una scatola nera coi segreti di Signorini.
Non ho mai smentito quel genere di letteratura. È chiaro che occupare certi posti ti può mettere nelle condizioni di usare il potere che ti viene concesso, a me non interessa. Io mi faccio gli affari miei, non frequento i cosiddetti poteri forti, non vado alle feste.
È un nannimorettismo: mi si nota di più se…
Non è calcolo. Al Circolo della Stampa con gli imprenditori non ci vado manco pagato.
La copertina che sogni di fare.
[Mi mostra il timone del numero a cui sta lavorando] Chiudo il giornale tra tre giorni, e come vedi lo spazio della cover è ancora vuoto. Aspetto sempre la storia che mi faccia ribaltare i numeri in corsa, con buona pace dei miei giornalisti.
L’ultimo libro letto.
Sempre due per volta. Ora Memorie di una geisha, che ho già letto cinque anni fa. E Le leggende delle Dolomiti, storie di elfi e gnomi di montagna.
Il film.
Philomena di Stephen Frears, tre volte. La mamma che cerca il figlio gay perduto e scopre che è morto, l’esclusione del compagno dell’uomo dal lutto: immedesimazione altissima. Per il resto non vedo molti film, preferisco le telenovele. Non perdo una puntata del Segreto. Ho anche scritto una lettera a Donna Francisca, le ho chiesto una foto con l’autografo. Son quella roba lì, sfacciatamente mélo. Pure nella vita. Nel libro lo scrivo, è tutto vero.
Tutto.
Pure la prima marchetta, con quel Robert. L’avevo rimossa, pensa.
Anche il gran sesso con Valeria Marini.
Un amico mi dice: è per quello che sei diventato frocio.